Chi saranno i nuovi capi dello Stato e del governo

giornale La Repubblicadi Eugenio Scalfari, 14-Apr-13 Governo di scopo : governo che sia votato per il suo programma di impegni prefissati e che duri fintantoché lo scopo non sarà stato raggiunto. Giorgio Napolitano ha preso ufficialmente congedo dalla sua carica nel momento stesso in cui il comitato dei “saggi” da lui nominato gli ha consegnato il documento con le proposte su alcuni problemi da lui stesso indicati per risolvere questioni economiche, sociali e istituzionali che saranno trasmesse al suo successore come eventuali linee-guida nella misura in cui il nuovo inquilino del Quirinale vorrà tenerne conto.
Ero andato a salutarlo un paio di giorni prima; spero di vederlo più spesso quando tra poco sarà senatore a vita. Ci conosciamo da molti anni e siamo da tempo legati da sentimenti di amicizia. Ho ancora una volta tentato di fargli cambiare opinione su una eventuale prorogatio del suo mandato, ma mi ha elencato molte e solide ragioni per le quali riteneva impossibile accettarla: avrebbe profondamente turbato l’ordinamento costituzionale senza produrre alcun concreto vantaggio per uscire dallo stallo che stiamo attraversando. Le sue motivazioni mi hanno convinto e tuttavia non sarà facile riempire il vuoto che la scadenza del suo settennato lascerà.
Napolitano è uno dei pochissimi presidenti della nostra Repubblica ad essere stato, dal momento della sua elezione, rigorosamente super partes. Nessuno degli altri, salvo Luigi Einaudi e Carlo Azeglio Ciampi, lo è stato. Non lo fu Gronchi e neppure Segni né Saragat né Leone né Pertini né Cossiga e neppure Scalfaro.
Napolitano sì, lo è stato ed ha instaurato un metodo di ascolto non soltanto delle forze politiche ma anche di quelle sociali e della pubblica opinione e un’attenzione all’Europa, alle potenze internazionali, alla cultura in tutte le sue manifestazioni, che ha scarsi riscontri nei suoi predecessori.
Non sarà facile sostituirlo ma per fortuna non impossibile.
Basterà trovare una persona che non abbandoni quel metodo che fa del capo dello Stato un punto di riferimento capace non solo di rappresentare l’unità nazionale nel senso pieno del termine, ma in particolare delle ragioni dei ceti più deboli, degli esclusi, dei giovani, delle minoranze, garantendo a tutti la libertà, l’eguaglianza dei punti di partenza, l’interesse generale, l’indipendenza delle istituzioni, la separazione dei poteri costituzionali.
Cioè la presenza e il rafforzamento della nostra ancora gracile democrazia.
Questo è stato Giorgio Napolitano. Auguriamoci che il suo successore proceda nel segno della continuità.
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Nelle attuali circostanze il compito primario e urgente del nuovo Presidente è di dar vita ad un governo dotato di una solida maggioranza; un governo di scopo e di lunga durata, capace di mantenere la nostra credibilità internazionale, di collaborare ad un mutamento della politica economica europea per uscire dalla recessione e soprattutto di stimolare la crescita economica e l’occupazione.
L’Italia soffre in questa fase della nostra storia d’una crisi di fiducia della politica. Il popolo disprezza i partiti ed anche le istituzioni da essi indebitamente occupate. C’è una sfiducia profonda che crea un distacco assai pericoloso tra il paese reale e quello cosiddetto legale. Questo distacco è in parte motivato ma in parte va al di là del giusto accomunando tutti i partiti in un medesimo giudizio negativo che non corrisponde alla realtà.
Questo è comunque il dato di fatto che va superato attraverso riforme importanti e sostanziali cambiamenti. Bisogna che avvenga in modo evidente la “disoccupazione” delle istituzioni da parte dei partiti. Fu uno degli obiettivi di Enrico Berlinguer nei primi anni Ottanta del secolo scorso, ma non ebbe alcuna attuazione. Sono trascorsi trent’anni da allora e la situazione è addirittura peggiorata. Ho visto con piacere che Fabrizio Barca ripropone quell’obiettivo come il principale per uscire dal pantano della corruzione e superare la sfiducia nella politica. Ha ragione, purché alle parole questa volta corrispondano i fatti.
Nel frattempo – non sembri un paradosso perché non lo è – né al Quirinale né alla guida d’un governo di scopo vadano dirigenti di partito. Credo che queste siano le due condizioni indispensabili affinché i partiti riacquistino la fiducia, anch’essa indispensabile affinché la democrazia funzioni nella sua pienezza, le istituzioni tornino a riscuotere consenso dal popolo e i partiti riprendano a svolgere il ruolo prezioso di raccordo tra il popolo sovrano e i poteri costituzionali.
Il capo dello Stato deve avere piena conoscenza della Costituzione, tutelare la separazione dei poteri ed una leale collaborazione tra di loro, avere la necessaria credibilità internazionale, capacità di ascolto, intuizione politica, forza di carattere e di iniziativa. Non serve un notaio al Quirinale, ma un uomo di garanzia e di equilibrio. Ce n’è più d’uno che possiede questi requisiti e una biografia che li documenta. Ce ne sono in particolare tra i membri della Corte costituzionale, nelle accademie delle scienze ed anche in quelle figure (purtroppo ormai pochissime) che sono ritenute “riserve della Repubblica”.
Le forze politiche che siedono in Parlamento trovino l’intelligenza di scegliere la persona più adatta al compito e mettano da parte i loro interessi particolari. Se sapranno e vorranno farlo questo sarà il primo passo verso la loro necessaria rigenerazione.
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Il governo delle larghe intese auspicato da Napolitano non solo è possibile ma necessario. Bisogna tuttavia intendersi su che cosa significano le larghe intese.
Bersani è stato molto chiaro su questo aspetto della questione, distinguendo le intese su riforme istituzionali e costituzionali da quelle propriamente politiche. Proprio da questo punto di vista ho scritto prima che anche il governo che dovrà essere al più presto insediato non potrà essere guidato da un dirigente di partito. Ci vorrà anche lì una persona, uomo o donna che sia, proveniente dalla società civile. L’esempio Ciampi del 1993 si attaglia anche in questo caso ad essere imitato. Potrà avere, quel governo, nella sua composizione anche qualche personaggio politico come ministro, ma non come premier. È dunque necessario che sia un governo del Presidente. Un governo politico (non esistono governi tecnici perché hanno bisogno di ottenere la fiducia duratura del Parlamento) che sia votato per il suo programma di scopo e duri fintantoché lo scopo non sarà stato raggiunto.
Maurizio Crozza in una sua recente trasmissione ha mimato un duetto tra Bersani e Berlusconi (video), ritmato da due frasi: Berlusconi dice “ti compro l’anima” e Bersani risponde “ma non te la vendo”. È così. Un governissimo è impossibile.
Il voto di fiducia ciascun partito lo darà a quel programma fatto di punti concreti che, essendogli stati affidati dal capo dello Stato, non comportano uno schieramento politico e non raffigurano una grande alleanza. Si chiamarono un tempo “convergenze parallele” e di questo infatti si tratterà.
Una volta realizzati gli obiettivi, ma soltanto allora, il capo dello Stato potrà sciogliere le Camere per indire nuove elezioni, essendovi già – tra gli scopi realizzati – una nuova legge elettorale.
Il percorso è dunque chiaro sia per quanto riguarda la persona adeguata da eleggere tra quattro giorni al Quirinale, sia per il governo nominato dal nuovo capo dello Stato dopo le consultazioni che riterrà di fare.
Grillo e il suo movimento. Stando ai sondaggi di Mannheimer, i 5 Stelle sono in leggero ma costante declino. I sondaggi fotografano l’esistente, sia pure con incerta attendibilità, ma è un fatto che gli eletti grillini in Parlamento non sono più un monolite e lo saranno sempre di meno.
Potranno però essere – e l’hanno già dimostrato per il fatto stesso di esserci – uno stimolo potente al cambiamento se daranno anch’essi una mano per attuarlo.
Potrebbero per esempio condividere l’elezione d’un presidente della Repubblica proveniente dalla società civile e perfino un premier di analoga provenienza votando almeno su alcuni provvedimenti da essi condivisi o proposti. I parlamentari 5 Stelle non possono rinchiudersi nell’autosufficienza, il Parlamento comporta inevitabilmente una partecipazione altrimenti tanto sarebbe valso per i grillini scegliere l’astensione dal voto anziché un movimento-partito. Anche Grillo lo capirà, anzi da qualche indizio sembra lo stia già capendo. Nelle cose giuste che a volte dice e sostiene, merita d’essere ascoltato; il resto sarà la realtà a suggerirgli di cambiare. Nessuno vuole comprargli l’anima, partecipare non significa venderla.
Quanto al Pd, esso rappresenta allo stato dei fatti il solo partito che abbia tuttora un’anima e un corpo, ammaccati tutti e due ma tuttora vivi e operanti. Purtroppo quell’anima e quel corpo, in questa fase di crisi, si sono decomposti in varie correnti. Punti di vista diversi possono essere una ricchezza, correnti organizzate attorno ad interessi di potere sono invece l’anticamera della dissoluzione.
Se Bersani sarà il promotore sia d’un capo dello Stato con le caratteristiche sopra indicate e sia d’un governo del Presidente, lui e il suo partito ne usciranno rafforzati.
Emergono nel frattempo le personalità di Barca e di Renzi e questo è un altro segno di cambiamento, ma non sono i soli emergenti e si vedrà al prossimo congresso di quel partito.
Qualche osservatore obietta che si sente odore di centralismo democratico, cioè di vecchio comunismo. Occorre però analizzare la sostanza del centralismo democratico che ha due modi di essere praticato: uno è il tentativo d’una nomenclatura oligarchica di trasmettere slogan e ordini obbligatori da eseguire alla base dei militanti. L’altro è un movimento che viene dal basso, che elabora e indica i temi che la società richiede e li trasmette agli organi centrali del partito affinché diano a quei temi aspetto concreto ed entrino a comporre la visione del bene comune di quel partito. Questo è l’aspetto positivo e augurabile.
Il futuro dirà quale strada sarà percorsa. Molto dipende dal Bersani dei prossimi giorni e dal partito nei prossimi mesi.

Piccoli mutamenti, niente di preoccupante

Al vostro  spirito di osservazione così come alla mia curiosità,  non sarà sfuggito un piccolo mutamento che in questi giorni si nota benissimo nelle campagne, sotto le vigne, sui terreni smossi e sui terreni coltivati, ma anche sui bordi delle strade: l’espandersi di una margheritina gialla.

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Questa piantina che sta colonizzando tutti i terreni coltivati e incolti, ho ricercato, si chiama Crepis sancta. Si tratta di una pianta originaria dell’Europa sud-occidentale che ha avuto una espansione rapidissima nelle zone mediterranee italiane nell’ultimo secolo.
Gli esperti dicono che la causa di tale fenomeno deriva dall’uso intensivo dei diserbanti e dei pesticidi che hanno eliminato la gran parte delle specie vegetali spontanee tipiche delle nostre campagne. La margheritina gialla abituata a vivere nelle zone desertiche è invece, particolarmente resistente agli effetti dei vari pesticidi. Sempre gli esperti concludono che non dobbiamo preoccuparci. Chissà,  eppure  la presenza di quelle  piante inutili come l’assordante gracidare delle rane, mi davano sicurezza.