È anche l´ammissione esplicita di una sconfitta annunciata. Una fuga dalle responsabilità. Una dichiarazione di impotenza programmatica. Ma è soprattutto la più smaccata e plateale rinuncia a governare un processo di crescita economica e sociale, in una prospettiva responsabile di sostenibilità: cioè di rispetto dell´ambiente, della sicurezza e della salute collettiva.
Tanto il nucleare era diventato il perno di una “politica generale” per la maggioranza parlamentare di centrodestra, quanto appare adesso l´opzione scellerata e impraticabile di un´effettiva minoranza elettorale. Forse non c´è metro di paragone più concreto e preciso per misurare la distanza fra Paese (il) legale e Paese reale nell´Italia di oggi, colpita dallo tsunami politico e morale di un governo autoritario privo di autorevolezza che pretende di imporre la forza del dispotismo su quella della ragione. Con tutta la solidarietà umana per l´ammirevole popolo giapponese, possiamo solo consolarci con la considerazione che – come all´epoca di Chernobyl – anche questa catastrofe è servita almeno a fermare la corsa verso il rischio atomico.
E pensare che, subito dopo il disastro di Fukushima, il nostro governo aveva proclamato – per bocca del sedicente ministro dell´Ambiente – che “la linea italiana rispetto al programma chiaramente non cambia”. Poi, nel Parlamento e nella società civile, era scattata la cosiddetta “pausa di riflessione”. Fino alla moratoria suggerita dal ripensamento del ministro Tremonti, a cui segue ora questa fermata obbligatoria per fugare gli spettri del nucleare e le paure del referendum in una sorta di esorcismo nazionale.
Con l´abrogazione delle norme sulle nuove centrali, non si abroga però il diritto dei cittadini di schierarsi contro questa scelta e contro questa politica. Ne fanno fede in pratica tutti i sondaggi d´opinione, registrando e documentando una consapevolezza diffusa, largamente maggioritaria, prodotta da una radicata ostilità e ulteriormente accresciuta nelle ultime settimane da un´inversione di tendenza perfino nell´elettorato di centrodestra. Questo non può essere perciò un trucco, un sotterfugio, un escamotage per eludere o aggirare la volontà popolare. Il capitolo si deve chiudere definitivamente qui. Né tantomeno sarebbe lecito strumentalizzare lo stop sul nucleare per boicottare i quesiti referendari sulla privatizzazione dell´acqua e sul legittimo impedimento: altrimenti, avrebbe ragione Antonio Di Pietro a parlare di “truffa” più o meno organizzata.
Per una coincidenza che non è certamente occasionale, la resa del governo arriva proprio all´indomani del richiamo ufficiale dell´Unione europea all´Italia sulle fonti rinnovabili. Contro le alchimie del decreto che porta la firma del ministro Romani, la Commissione di Bruxelles sollecita un meccanismo di incentivi più chiaro e più certo, in modo da non compromettere gli investimenti e non danneggiare il programma comune. Ed è questa la strada maestra da percorrere con determinazione, all´insegna del solare e dell´eolico, per sostenere lo sviluppo economico nel settore e nell´intero sistema produttivo.
Sappiamo bene che le rinnovabili, da sole, non risolvono la questione energetica. E sappiamo anche che, oltre al risparmio e all´efficienza, occorre utilizzare un mix di fonti in rapporto al trend di mercato e all´evoluzione tecnologica. Ma sappiamo pure che, allo stato attuale, il nucleare costa ancora troppo e non è sicuro; che il problema dello smaltimento delle scorie non è affatto risolto; e che la sicurezza dei cittadini, della loro salute e della stessa sopravvivenza, viene prima di qualsiasi altro interesse. Referendum o meno, l´ordine delle priorità non cambia.
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