Osimo calls World: Gabriella Gobbi

Gobbi Gabriella nata in Osimo il 6 gennaio 1966.

Osimana doc, nata e cresciuta davanti la scuola media “C.G.Cesare”, il padre è il maestro Carlo e la sorella è la nostra collega consigliera comunale Cecilia.
Gabriella da anni risiede in Canada, dove si è affermata come prestigiosa ricercatrice e docente universitaria presso il dipartimento di psichiatria della McGill University di Montreal,

Gabriella Gobbi “cittadina onoraria osimana” dal 2013

Mi chiamo Gabriella Gobbi e vivo a Montreal, in Québec, Canada. Sono Professoressa Ordinaria di Psichiatria alla McGill University, dove dirigo un laboratorio di ricerca per nuove terapie per le malattie mentali e sono Psichiatra presso l’ospedale universitario della McGill, chiamato McGill University Health Center. Ho anche fondato una piccola impresa che si chiama Cosmas Therapeutics e sviluppa nuovi brevetti inventati nel mio laboratorio.
Sono arrivata in Canada, e precisamente a Montreal (Québec) il 28 Febbraio 1998. Un po’per caso. Mi ero laureata in medicina e specializzata in psichiatria all’Università Cattolica di Roma, ma la mia passione era fare ricerca nel campo delle malattie mentali, avevo dunque iniziato un Dottorato di Ricerca nel 1996 tra Roma e Cagliari con l’intenzione di fare un periodo all’estero.
Durante un congresso a Nizza nel 1997 avevo incontrato un professore che lavorava alla McGill University e si occupava di temi di ricerca che a me interessavano. Gli chiesi se potessi passare un anno nel suo laboratorio e lui con molto entusiasmo mi accettò.
Partii con due valige, una con vestiti e dei maglioni regalati dai miei amici Marabini per sopravvivere all’inverno canadese ed un’altra valigia con dei libri poiché allora non esistevano i libri ed articoli scientifici in versione PDF. Avevo uno dei primi computer portatile Mac in bianco e nero che pesava 2.5 kg, e le poche persone che viaggiavano con un portatile dovevano mostrare la fattura alla dogana aeroportuale per dichiararlo come bene non-esportabile.
Avevo una borsa di studio italiana di circa 770 euro al mese (1.500.000 lire al mese).
Subito dopo vinsi una prestigiosa borsa di studio di post-dottorato del governo canadese e dopo un anno e mezzo ebbi la proposta da parte dell’Università di diventare professoressa assistente (assistant professor).

In Canada, una volta che hai un posto universitario di professore in una facoltà di medicina, l’ordine dei medici locale riconosce automaticamente la laurea in medicina e la specializzazione. Dunque, nel giro di meno di due anni mi ritrovai professoressa e medico- psichiatra in Canada, senza passare attraverso estenuanti esami, come richiesto in altri Paesi.
La scelta fu molto tormentata. Da una parte non avevo mai progettato di emigrare in un Paese così lontano lasciando la mia cultura, famiglia, affetti ed amici, dall’altra parte però tornare in Italia a 33 anni significava fare una vita di gavetta e di “porta-borse” per almeno 10 anni, con la speranza forse, un giorno, di avere un posto all’Università.
Il mio sogno infatti era poter dedicare la mia vita alla ricerca scientifica e curare i pazienti al tempo stesso, ed in Canada avevo la possibilità di realizzare questo sogno. Avevo maturato la vocazione e passione di fare la scienziata-medico sin dai primi anni universitari a Roma e non potevo rinunciare a questa chiamata.
In più nell’anno della scelta mia madre si ammalò gravemente, complicando ancora di più una decisione così complessa.
Il cammino dell’emigrazione e dell’integrazione in una nuova società è tortuoso e non lineare. Ci sono diverse fasi che vanno dall’entusiasmo iniziale, al rifiuto dei nuovi valori e costumi del nuovo Paese, sino all’integrazione. L’integrazione è un processo in divenire che richiede prima di tutto un cammino psicologico in cui il vecchio e il nuovo debbono integrarsi, ed i valori con cui siamo cresciuti e ci hanno guidato sin da piccoli debbono lasciare spazio a nuovi mondi ed accogliere nuovi punti di vista.
Il Canada è un Paese facile da vivere, basato sul rispetto per l’immigrato, che rappresenta una risorsa socioeconomica e non una minaccia. È un paese di aperture, dove ognuno può trovare un proprio posto.

È un Paese che lascia spazio ai giovani e cerca attivamente la parità tra uomini e donne, soprattutto nei settori in cui le donne hanno poco accesso come i livelli accademici più alti o le posizioni di responsabilità a livello politico e manageriale.
Nel Québec, soprattutto per i medici, è obbligatorio parlare sia il francese che l’inglese. Il francese, grazie ai miei professori Rossana Pesaro (scuole medie) e Pino Attili (ginnasio), lo avevo imparato bene. L’inglese lo avevo studiato da privatista, poiché al Liceo Classico si offriva una solo lingua nei primi due anni (ginnasio), per cui mi ha richiesto uno sforzo maggiore per impararlo. Il Québec, tuttavia, è una società che accoglie tutte le culture del mondo e la gente
è abituata a sentire accenti diversi, per cui non ho avuto mai difficoltà a farmi capire e capire gli altri. A volte ho anche sperimentato che cosa volesse dire il “dono delle lingue”, ossia quel dono che permette di farsi comprendere e comprendere anche se la conoscenza oggettiva della lingua è limitata. Ho curato pazienti provenienti da ogni angolo della Terra, senza mai incontrare nessuna barriera.
Montreal, dopo Toronto e Miami, è la città con più italiani in Nord-America, ci sono circa 350.000 italiani fra vecchie e nuove migrazioni. Nel 2004 insieme al Consolato di Montreal abbiamo fondato il gruppo dei ricercatori italiani in Québec, che raccoglieva più di 100 ricercatori. Si sono create molte solide amicizie ed anche collaborazioni scientifiche e culturali.
Inoltre, collaboro spesso con le associazioni di marchigiani in Québec e parlo italiano con i pazienti italiani.

Il matrimonio con Robin nel 2009 e la nascita di mia figlia Emma, mi hanno ulteriormente obbligata a crescere ancora di più in questo cammino di inclusione ed integrazione. Una figlia italo-canadese ti richiede ogni giorno non solo di parlare tre lingue diverse in casa, ma anche di trasmettere e di far conoscere i valori e le culture che fanno parte della tua storia. I figli però anche insegnano ai genitori moltissimo. Per esempio, mia figlia ha molte amiche asiatiche e mi
ha permesso di conoscere una cultura che conoscevo poco e che, con sorpresa, ho trovato molto affine. Inoltre, mia figlia mi rimprovera spesso poiché uso termini nel linguaggio corrente o faccio commenti che portano in sé connotati razzisti e sessisti.
Dopo tanti anni di emigrazione ci si abitua alla mancanza, e le cose che prima sembravano essenziali dell’Italia poi diventano accessorie. Però ci sono delle esperienze che mi sono mancate terribilmente in questi anni: non avere visto crescere i miei nipoti Gemma, Filippo e Caterina e trovarmeli ogni volta che venivo in Italia più grandi e cresciuti. Quando ci penso sento una terribile nostalgia e mancanza, poiché sono delle fasi di vita che non torneranno mai più. Poi mi mancano le mie amiche storiche che mi hanno accompagnato nei momenti belli e meno belli di vita.
Ad Osimo ho frequentato le elementari, medie e poi il Liceo Classico. Ho imparato molte cose, e ringrazio in particolare la Prof.ssa Guendalina Marini di Italiano, il Prof Piero Mutinelli di Scienze ed il Prof. Attilio Coltorti di Storia dell’Arte, le cui lezioni così appassionanti sono ancora vivide nella mia memoria. Di certo non tornerei indietro. Il sistema italiano si regge su riforme datate, con un programma non adatto ai tempi di oggi e poca apertura all’innovazione e scienza. Il
mondo sta cambiando velocemente; senza conoscere l’economia, l’informatica, le basi dell’intelligenza artificiale, robotica, genetica si crea un nuovo analfabetismo dove gli individui saranno delle pedine del mondo economico, dei detentori dei “big data” e “social media”. Penso che la scuola italiana debba fare un lungo cammino per integrare la classicità, a cui per ragioni storiche è legata, e modernità-innovazione, altrimenti i nostri giovani non saranno competitivi in un panorama internazionale.
Debbo invece tantissimo alle esperienze dello scoutismo nell’Osimo Uno. Lì ho imparato a conoscere me stessa e misurami con le mie abilità e limiti. Ad esempio, le mie capacità organizzative (o leadership) e manageriali le ho imparate e scoperte facendo lo scoutismo. Ho imparato inoltre moltissime discipline dall’hebertismo alla topografia, all’animazione liturgica e pioneristica. Ho imparato a suonare la chitarra, recitare, cantare. Sono delle competenze che non ho più avuto occasione (e tempo!) da dedicare, per via degli studi di medicina e di un lavoro super-esigente che non permette altri hobbies o studi complementari. Lo scoutismo mi ha poi insegnato ad essere me stessa, e relazionarmi con gli altri per quello che ero, cosa che la scuola mi aveva offerto molto poco. Poi ricordo i campi di specializzazione nazionali ed internazionali che mi hanno aperto le prime finestre sul mondo. Nel mondo anglosassone questo insegnamento “globale” fa parte del curriculum scolastico o extrascolastico a caro prezzo, mentre in Italia dobbiamo compensare queste carenze con un sistema di volontariato e associazionismo.

Osimo è cambiata dagli anni 80 e 90, i centri commerciali hanno preso il posto della centralità del Corso e i giovani hanno abbandonato il giretto in Piazza. Dopo il deserto nel centro storico dei primi anni 2000, mi ha fatto piacere rivedere Osimo più animata e con gente in centro. Le attività culturali sono tornate, ma non sono certo quelle di cui ho goduto nella mia adolescenza, quando Osimo aveva una ricca stagione teatrale, operistica e di danza che mi hanno permesso di acquisire una conoscenza culturale vastissima. Il mio primo lavoro remunerato (13 Euro o 25.000 lire) fu la comparsa all’opera “La Gioconda” nel 1983 al Teatro La Fenice. Sarebbe bello poter offrire di nuovo questa ricchezza culturale ai nostri giovani e farli sognare per un avvenire migliore. Senza sogni non c’è futuro.
La cosa che più vorrei vedere cambiata nel nostro Paese è una maggiore responsabilità civile e partecipazione al Bene comune, attenzione verso i giovani che sono il motore della nostra società ed il nostro futuro, nonché una maggiore attenzione al ruolo delle donne. Quando studio storia con mia figlia, ogni capitolo del libro di testo parla di almeno una donna che ha fatto la storia. A 10 anni i bambini e bambine studiano l’importanza delle leggi degli anni 80 in Québec a favore delle donne, che hanno potenziato asili per tutti a prezzi abbordabili ed assistenza finanziaria a
donne che hanno figli per permettere loro di lavorare e rivestire un maggiore ruolo nella società.
In Italia vige ancora un impercettibile potere maschilista, difficile da essere scalfito.

Infine, come ultimo messaggio, vorrei dire ai miei giovani concittadini di seguire i propri sogni e le strade che la vita presenta, anche se inaspettate. Nel mio laboratorio accolgo molti giovani italiani e italiane che sono tornati a lavorare in Italia con una mentalità completamente nuova.
Ognuno dovrebbe amare il proprio Paese, che può cambiare non criticando i politici e amministratori, ma impegnandosi nel nostro piccolo a rispettare la società civile, pagare le tasse, offrire un posto di lavoro ad un giovane, ad una donna, un immigrato. Rispettare la meritocrazie chi è più bravo di noi. La cosa bella della società nord-americana è che chi è bravo/a diventa un modello/a per altri e non una persona da distruggere ed annichilire. La vita offre sempre un posto per esprimere i nostri talenti e aiutare gli altri, rendendo il mondo “un po’migliore di come
lo abbiamo trovato”.


Ciao Gabriella. Ogni tanto, in Osimo,  ci arriva l’eco di prestigiosi riconoscimenti che continui a ricevere (come il premio intitolato al prof. Lal Samarthji, o quello della  fondazione canadese “Graham Boeckh”, e da ultimo il premio Venezia Award) dando prestigio, di riflesso, anche alla nostra città di cui sei cittadina onoraria.
Premi che credo siano poca cosa rispetto alla gratificazione per il bene che riesci a procurare, grazie alla ricerca ed ai tuoi studi,  alle persone che  soffrono di disturbi psichici , offrendo loro terapie opportune.
Ti immagino nelle corsie dell’Ospedale  con la stessa sensibilità, professionalità, umanità e calore – come lo eri al tempo del gruppo scout – che accompagni e curi queste persone fragili nelle loro esistenze ferite.
Grazie Gabriella, osimana  che si fa valere per le strade del Mondo.
Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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