Bondi si appella ai “vecchi compagni”

 

  Il post-comunista Sandro Bondi scrive in nome dei vecchi tempi. E soprattutto in quello del suo futuro.

una settimana di mercato

 

Intanto è iniziato il mercato per il voto di fiducia del 14 dicembre.

 

 

 Paola

7 giorni ancora

“Il crollo di Pompei è il simbolo della temperie del nostro tempo, dell’atmosfera in cui viviamo che vede da un lato sempre più il crollare dell’etica e dall’altro dell’estetica, cioè troppo spesso si incrociano le brutture morali e le bruttezze.” 

Questa l’analisi ( e come  non concordare ) di Mons. Ravasi? Intanto i crolli dei muri di Pompei e le cadute del governo e dei nostri politici continuano a fiorire giorno dopo giorno senza sosta… Esternazioni, toni, frasi razziste si moltiplicano sulla bocca di uomini e donne che hanno stravolto il ruolo e il servizio per cui sono stati eletti dai cittadini.
Manca poco al 14 dicembre e stiamo aspettando la “caduta”. Speriamo segni la fine di una delle peggiori anomalie italiane: un Presidente del Consiglio che vendendo fumo e attraverso fiumi di parole tutto ha fatto tranne che il bene del Paese e della maggior parte dei cittadini.
Eppure qualcuno continua a dire che il governo Berlusconi ha fin qui operato bene, “nonostante la campagna denigratoria”. Mamma mia! Mi ritrovo costretta a delineare parte della serie infinita del male operato dal Governo Berlusconi. A questo governo si offre solo il pollice verso. Ci hanno messo sei mesi per nominare un Ministro dello Sviluppo Economico. Erano di certo molto impegnati nell’impedire l’avanzamento dei processi del Cavaliere con leggi ad personam, lodi che si son rivelati al momento presente incostituzionali. Hanno, nel frattempo, con il silenzio della Lega, fatto approvare una sorta di indulto.
Hanno fatto approvare la riforma della Scuola. Quale Scuola? Siamo al penultimo posto delle classifiche Ocse per investimenti nella scuola (però i soldi per le private li trovano) con un Ministro dell’Istruzione che agisce solo come operatrice di tagli.
Il tema dei rifiuti. A Napoli? Avevano proclamato di aver risolto il tutto, ridicolizzando l’operato di Prodi, due anni fa. Due anni dopo ci risiamo, con la differenza che nel frattempo è successo pure a Palermo. A dir la verità Bassolino e Jervolino hanno le loro responsabilità, come pure ogni singolo cittadino.
Abruzzo? Dico Abruzzo e non solo Aquila. La ricostruzione è praticamente ferma o procede a rilento, vi sono ancora persone negli alberghi, nonostante i proclami di Silvio. Ora si scopre che le case che sconfiggono il terremoto, non possono nulla contro la pioggia e il freddo. E allora è come stare in un container super accessoriato.
Evasione fiscale? Aumentata del 9,2 per cento. Fisco? Aumentato di mezzo punto, nonostante la promessa di “non mettere le mani in tasca degli Italiani”. I giorni in cui il cittadino lavora per pagare le tasse sono aumentati. E allora? Colpa della crisi dice Berlusconi. Nel frattempo regioni province e comuni sempre più con casse vuote introducono nuove tasse o le aumentano per sopravvivere.
Giustizia? Di fatto non viviamo in u Paese dove la Legge è uguale per tutti.
Tralascio il grave problema del lavoro, ma che cosa ha fatto questo governo per il lavoro? Niente.

Il futuro è dei giovani e del lavoro: con la CGIL in piazza

Aderisco pienamente  alla manifestazione nazionale indetta dalla Cgil, anche se impegni di lavoro mi impediscono di partecipare di persona.

” Ora più che mai, davanti alla fuga di responsabilità del governo di fronte ai bisogni del paese, è necessario ribadire i temi della democrazia e del lavoro. ”

Paola Andreoni

 

Qualcuno che con grinta e determinazione ha il coraggio di indignarsi: grazie Annarella.

Ogni tanto  qualcuno sbotta. Non è stato un giovane ribelle ma un’ottantaquatrenne  signora. E’ successo a Roma, davanti a Montecitorio, dove una signora ottantaquattrenne,  con i capelli d’argento e la borsa della spesa d’ordinanza, ha contestato due deputati della maggioranza intenti a rilasciare dichiarazioni alla televisione. Immortalata dal Tg satirico “Striscia la Notizia” è diventata in breve tempo il fenomeno del web perché è riuscita a mettere in difficoltà gli esponenti della casta, rompendo la tradizionale compostezza di persone abituate a stare davanti alle telecamere per recitare la solita cantilena imparata a memoria. In pochi minuti la “nonnina ribelle” ha demolito il castello di chiacchiere degli onorevoli politicanti e al contempo ha dato una lezione ai giornalisti. I fatti si sono svolti in questo modo. Durante la ripresa video di un’intervista con una deputata del PDL , la veterana signora è intervenuta dicendo in dialetto romanesco:

“Ma che cultura de governo? Ma che sta’ a di’? Ve comprate ‘a ggente. …So 16 anni che ci portate disgrazia …Io non vi rispetto perché siete dei mascalzoni. Perché non mandate via quei zozzi segnati in paga? So tutti divorziati e poi vanno a pija ‘a communione…Un bel discorso, incanta la gente, incanta i serpenti”.

L’incursione si è ripetuta poco dopo con Benedetto Della Vedova. Infiltrata tra i giornalisti ha posto l’unica vera domanda giornalistica:

 “Ma siete sicuri che gli elettori vi hanno dato ‘sta fiducia?”.

Crisi economica, le priorità del Pd osimano

Anche se non abbiamo dati concreti sui posti di lavoro bruciati e siamo sprovvisti di cifre circa i lavoratori osimani  in cerca di lavoro e di quelli sopratutto donne e giovani che hanno smesso di cercarlo,  la percezione è che anche nella nostra realtà cittadina la crisi non è affatto passata e che la situazione occupazionale si è aggravata. Non c’è famiglia osimana che non ha un giovane o altro familiare alle prese quotidianamente con la drammatica realtà della disoccupazione e/o della cassa integrazione. 
Questa è la situazione  anche nella nostra  città altro che i facili ottimismi del governo e di chi prima ha negato la crisi e poi si è affrettato a dire che era già alle nostre spalle. 
La  questione del lavoro e del rilancio dell’economia sono  le priorità emerse dall’assise nazionale del PD  svoltasi a Varese la scorsa settimana e  anche a livello locale per il  Partito Democratico osimano queste sono le priorità a cui  dare risposte.  Per questo motivo il PD osimano si impegnerà  a fare proposte e ad  intervenire sul bilancio di previsione del Comune per il 2011 al fine di salvaguardare e rilanciare il sistema di welfare locale ed il contenimento del costo di tutte le tariffe dei servizi comunali che incidono direttamente  sui bilanci delle famiglie e su quelli delle   imprese locali.

Paola

 

Pier Luigi Bersani, nella sua dichiarazione di voto sulla fiducia al governo.

Come facciamo a prendere sul serio un discorso debole, pieno di promesse risapute, che non arrivano mai? Mi chiedo come sia possibile prendere sul serio quanto ha Berlusconi. Non c’è un fatto nuovo, solo promesse che non si realizzano mai …”. 
Pier Luigi Bersani

Berlusconi regge e mantiene il comando, al Paese restano i problemi.

Il centrodestra è finito. Berlusconi voleva dimostrare di avere una maggioranza autosufficiente ma ha fallito e dovrà spiegare alla Lega che per andare avanti ha bisogno dei voti di Fini e di Lombardo.

Nel suo imbarazzante discorso alla Camera, invece di trarre un bilancio di questi due anni, ha continuato a raccontare false promesse  e ad annunciare nuovi miracoli.

 

Paola

11 minuti di “conforto”

Ricevo da Corrado Novelli , condivido e pubblico

11 minuti spesi bene ad ascoltare cose di buon senso…ma questo ci serve: buon senso non i presunti fenomeni 
 Nel discorso mancano forse le morti sul lavoro che sono emergenza solo quando c’è al governo il centro sinistra
Nel discorso mancano forse i suicidi nelle carceri che sono emergenza solo quando c’è al governo il centro sinistra
Un pensiero di conforto a chi ha votato Berlusconi….

http://tv.repubblica.it/dossier/crisi-maggioranza/bersani-berlusconi-impresario-del-teatrino/53891?video=&pagefrom=1
 
Corrado

L’Italia che peggiora: economia in crescita lenta, Governo fermo.

Il rapporto del Centro Studi di Confindustria uscito questi giorni evidenzia i seguenti dati reali e presunti della performance dello stato dell’economia italiana:
– Pil 2010: 1,2%;
– Pil 2011: 1,3%;
Posti di lavoro persi 450.000;
Tasso di disoccupazione a fine 2011 9,3%
– Consumi fermi +0,4% nel 2010 e +0,7% nel 2011;
– Sommerso che rappresenta il 20% del Pil;
Evasione fiscale che supera i 125 miliardi.
Inoltre:
Il fatturato e gli ordinativi dell’industria italiana sono scesi nel mese di luglio: fatturato –2,9%, ordinativi -3%. Il confronto con il mese di luglio 2009 registra per il fatturato un aumento dell’8,9% e per gli ordinativi un aumento dello 0,7%;
Il debito pubblico in Italia nel mese di luglio ha toccato il record di 1838,296 miliardi (17 miliardi in più rispetto a giugno) e le entrate tributarie sono calate del 3,4% rispetto allo stesso periodo del 2009 (dati della Banca d’Italia);
– Le prospettive occupazionali posizionano l’Italia al penultimo posto con un -8%, avanti solo alla Grecia. In Europa si posiziona al primo post la Germania e nel mondo la Cina con un 51%;
La produttività in Italia crolla di circa tre punti percentuali nel periodo tra il 2007 ed il 2009 (dati Istat);
– L’Ocse sottolinea che la disoccupazione giovanile in Italia è arrivata alla soglia del 25,4% (un giovane su 4 è disoccupato) con un aumento di 5 punti rispetto al 2007. Il 50% dei giovani che lavorano sono precari. Il tasso di disoccupazione è salito all’8,7% con un aumento rispetto al 2007 del 2,2%;
Due milioni di giovani nullafacenti che non studiano e non lavorano senza una prospettiva certa del loro futuro.

Questa la fotografia – non rassicurante – della situazione economica dell’Italia.
A differenza della Germania e della Francia, che hanno approvato una manovra molto ampia di risanamento dei conti pubblici e sostegno alla crescita, l’Italia è intervenuta soltanto per porre sotto controllo il debito pubblico ( blocco degli stipendi dei lavortori del pubblico impiego) senza interventi e riforme strutturali finalizzate a sostenere la crescita economica e a razionalizzare la spesa pubblica.
La manovra economica dell’Italia si è caratterizzata solo per i tagli indiscriminati che non hanno distinto gli sprechi dalle spese produttive in settori strategici come il sapere (conoscenza, ricerca, scuola e università).
Ancora una volta Berlusconi&Governo sottovalutano la crisi della nostra economia. Il loro messaggio continua ad essere: “l’emergenza è finita”, “siamo fuori dalla crisi”,  “occorre ottimismo”.
Adesso i  dati economici, parlano chiaro, la tendenza dell’economia italiana non è migliorata verso la crescita, anzi, le cose stanno peggiorando. Berlusconi non è riuscito nel suo intento, la crisi del suo governo di centro destra, la mancata nomina del ministro allo sviluppo economico, sono altri segni del suo fallimento.

 A chi per giustificare il Governo dice che non ci sono le risorse. Rispondo che quella della limitatezza delle risorse è una falsa giustificazione in quanto le risorse per investire e sostenere l’economia si possono trovare attraverso ( ricetta Prodi-Visco ):
– La tassazione delle rendite finanziarie al 20% con esclusione dei titoli di stato;
– Il riequilibrio della tassazione tra i ceti più deboli ed le persone più ricche. Con tale misura si aumenta anche la domanda di consumo;
– La tassazione delle transazioni finanziarie, cosi come è stato proposto da Visco e Bersani, almeno a livello europeo.
– La lotta all’evasione fiscale, rendendo trasparenti tutti i redditi cosi come avviene per i lavoratori dipendenti ed introducendo quelle misure introdotte da Prodi e Visco e che irresponsabilmente l’attuale Governo le ha eliminate.

In questa situazione di immobilismo il Paese “peggiora”, soffre e soffrono soprattutto i ceti più deboli, i disoccupati, i lavoratori precari e coloro che rischiano di perdere il posto di lavoro.

Bersani invita al risveglio:”Rimbocchiamoci le maniche, per l’Italia”

L’intervento del Segretario del PD, Pier Luigi Bersani, alla chiusura della Festa Democratica nazionale.

Il fisco classista che blocca il Paese

di Eugenio Scalfari • 05-Set-10 C’è una crisi dell’occupazione con 200 mila precari della scuola e 500 mila lavoratori a rischio. Serve una manovra che punti ad un trasferimento tributario dalle fasce deboli a quelle opulenti.
La recessione e la crisi economica a w sono dunque scongiurate: parola di Bernanke e di Trichet, cioè dei due banchieri centrali più potenti dell’Occidente. I tassi del Pil e della produzione industriale (automobile escluso) vengono rivisti al rialzo sia in Usa che in Eurolandia. Insomma il peggio sarebbe passato anche se sono gli stessi Bernanke e Trichet a metter le mani avanti: sì, il peggio è passato, dicono, ma camminiamo tuttora su terre incognite, la crisi sociale è ancora davanti a noi, la ripresa c’è ma non è omogenea; inoltre è aumentata la disparità di intenti tra i governi e specie in Europa ogni paese va per conto suo, perciò non si può allentare la guardia.
Del resto, appena quindici giorni fa sia Bernanke sia Trichet in pubbliche dichiarazioni avevano affermato esattamente il contrario. Prevedevano rallentamento produttivo, rivedevano al ribasso i tassi del Pil sulle due sponde dell’Atlantico, temevano stasi degli investimenti e diminuzione dei consumi specie nei settori sensibili delle costruzioni, segnalando con preoccupazione le posizioni debitorie di molti paesi e gli effetti che avrebbero potuto avere sui mercati finanziari e monetari. Il minimo che si possa dire di queste tesi contraddittorie dei due massimi banchieri centrali è che la loro visione della realtà è alquanto confusa e l’arco delle loro divisioni è quanto mai oscillante. Non so se se ne rendano conto, ma il loro comportamento sta diventando grottesco, il barometro di cui dispongono sembra uno strumento impazzito dal quale forse è più saggio prescindere.
 Chi invece non ha dubbi di sorta è il nostro ministro dell’Economia. Intervistato ieri da Repubblica dichiara senza esitazione che siamo fuori dalla crisi. Dai problemi no, ma dalla crisi sì. I problemi per Tremonti consistono nel coordinamento delle politiche economiche tra i governi europei. L’Europa è ancora un arcipelago ma è arrivato il momento che diventi un blocco continentale guidato da un unico cervello, cioè dal Consiglio dei ministri europei (Ecofin) di cui la Commissione di Bruxelles è l’organo esecutivo. L’Ecofin si riunirà domani e varerà questa trasformazione epocale: la nascita del cervello economico europeo cui spetterà il compito di tutelare la stabilità già in atto e di avviare su scala continentale la politica della competitività che consentirà all’Europa di competere con successo sia con l’America sia con i colossi emergenti dell’Asia.
Va da sé che il canone della competitività risiede soprattutto nella fine della lotta di classe e nell’accordo tra capitale e lavoro da realizzarsi azienda per azienda, contratto per contratto. La sorpresa finale nell’intervista del ministro a Massimo Giannini consiste nell’apertura a tutte le parti sociali e a tutte le forze parlamentari, dopo aver comunque ricordato che il governo Berlusconi durerà come minimo fino al 2013 e probabilmente anche di più. Ricapitoliamo: un’Europa ormai in marcia accelerata verso l’unità economica e politica; un’Italia che, a dispetto del suo enorme debito pubblico, viaggia in perfetta e solida stabilità; il traino della locomotiva tedesca, modello di riferimento per tutti; una riforma fiscale nel nostro paese che privilegi le famiglie, il lavoro, le imprese e sposti il prelievo dalle persone alle cose. Nel frattempo bisognerà abolire tutti i divieti e tutte le regole salvo quelli esplicitamente riconfermati. Così Tremonti e così secondo lui l’Europa. Restano però molto lacune in questo paesaggio dipinto di rosa, molti interrogativi ed anche qualche marchiano errore da correggere.
Per cominciare: l’Europa vive in un complesso mondiale e in particolare in un ambito occidentale dove gli Usa giocano una partita decisiva. A parte le montagne russe sulle quali continuano a viaggiare sia Bernanke sia Trichet, il dato certo consiste nell’enorme debito pubblico del governo americano, nel deficit fiscale che continua a gonfiarlo, nel lago di liquidità che la Fed dovrà incrementare per sostenere la ripresa e nel debito con l’estero altrettanto elevato e preoccupante. Washington per ora tira avanti su questa strada in attesa delle elezioni di medio termine del prossimo novembre, ma subito dopo dovrà fare delle scelte. Rigore e rientro del debito in proporzioni accettabili, diminuzione del deficit con l’estero, dollaro debole per scoraggiare le importazioni, oppure inflazione. Inflazione consapevole, inflazione voluta e manovrata per diminuire il peso dei debiti e svalutare i crediti.
Queste scelte, quali che saranno, non risparmieranno l’Europa la quale a sua volta dovrà affrontare in modi appropriati le decisioni americane. Chi deciderà le risposte europee? L’Ecofin, risponderebbe Tremonti. La Germania, risponde la realtà. Deciderà la Germania, concedendo alla Francia qualche compenso in termini di cariche nella gestione dell’Unione. Ma se questo non bastasse è molto improbabile che l’arcipelago europeo possa trasformarsi nell’auspicato blocco continentale. In realtà lo schema tremontiano sembra ancora scritto sull’acqua, in attesa di eventuali incognite che non dipendono dall’Europa e tantomeno dall’Italia.
Su quanto sta accadendo nel nostro paese la diagnosi del ministro dell’Economia è a dir poco parziale. C’è una crisi dell’occupazione che coinvolge soprattutto i giovani e i precari. C’è una crisi del Mezzogiorno. C’è una stasi nei consumi e negli investimenti. E non ci sono risorse disponibili. Ne ha parlato con lucida competenza Tommaso Padoa Schioppa in un’intervista a 24Ore di venerdì scorso, nella quale tra l’altro loda il rigore di Tremonti. L’intervistatore domanda: «In Italia c’è chi rilancia i tagli fiscali. è una ricetta possibile?». Risposta: «Quando si fanno proposte che invece di ridurre il deficit lo aumentano, mi piacerebbe che si spiegasse come si fa a mantenere i conti a posto. Altrimenti la risposta è «no». «Sembra di sentire Tremonti» commenta l’intervistatore. Padoa Schioppa risponde: «Tremonti è stato fin dall’inizio consapevole del fatto che l’Italia non aveva margini di manovra. E questo è un fatto positivo».
L’ex ministro dell’Economia di Prodi vede una continuità con la politica del suo successore, basata su un dato di fatto: l’Italia non ha margini di manovra. Ma è un dato di fatto immodificabile? In un paese che comunque si colloca tra i primi dieci paesi ricchi del mondo? Qual è la risposta e c’è una risposta plausibile? E una ricetta attuabile? Prima di affrontare questo tema è però opportuno fornire ancora una fotografia di quanto sta per accadere nelle prossime settimane, anzi nei prossimi giorni. Ci sono 200 mila precari nella scuola che per decisione del ministro Gelmini saranno lasciati col sedere per terra. Ci sono 500 mila lavoratori che si troveranno di fronte a problemi occupazionali molto complicati da risolvere. Infine, in attesa che sia nominato il titolare del ministero dello Sviluppo dopo quattro mesi di vuoto, il calendario dei tavoli di crisi aziendali che riguardano il destino di 14 mila lavoratori è affollatissimo. Tra questi segnalo il caso Eutelia, l’Ideal-Standard, lo stabilimento Fiat di Termini Imerese, il caso Oerlikon, Indesit, Burani, Merloni e molti altri.Dal 7 al 23 settembre queste vertenze dovranno esser decise in un modo o nell’altro. Questo è il quadro. Tutto in ordine, ministro Tremonti? Fruttifera cooperazione tra capitale e lavoro sotto l’egida dell’intramontabile governo Berlusconi?
Le risorse ci sono, bisogna solo aver voglia di trovarle. La prima via da perseguire riguarda la lotta contro l’evasione che in gran parte si identifica con il mercato sommerso. Dette i primi risultati quando il fisco era nelle mani di Vincenzo Visco, adesso continua a darne: nell’esercizio in corso siamo nell’ordine di nove miliardi di recupero, non è poco ma in queste dimensioni somiglia a una goccia d’acqua nel mare anche perché al recupero dell’evasione esistente fa da controfaccia un’evasione nuova è aggiuntiva, sicché lo stock che si sottrae al fisco rimane più o meno immutato.
La seconda strada da percorrere per recuperare risorse consiste nella lotta contro gli sprechi. Qui ci sarebbe molta polpa, gli impieghi improduttivi rappresentano una quantità ingente della spesa pubblica e i tagli disposti nelle leggi finanziarie 2009 e 2010 avevano infatti questa motivazione. Il metodo adottato tuttavia è stato piuttosto infelice. I tagli ai ministeri sono stati disposti in modo lineare, sicché sono state penalizzate nella stessa proporzione sia spese improduttive sia spese necessarie che anzi avrebbero dovuto essere accresciute. Quanto ai tagli su personale, la scelta di spremere gli impiegati pubblici fu giustificata dal fatto che gli aumenti stipendiali ottenuti in passato erano maggiori di quelli ottenuti dagli impiegati privati. Giustificazione assai difficile da provare e comunque contestatissima. L’insieme di queste misure non ha recuperato molto in fatto di sprechi ma abbassando il livello complessivo della spesa ha comunque compresso ulteriormente la domanda interna con effetti visibili sui consumi. Altri effetti depressivi provengono dal taglio dei trasferimenti ai Comuni e alle Regioni, con conseguenze sulle tasse locali e sulla qualità dei servizi.
Esiste infine una terza strada da percorrere per recuperare risorse ed è un trasferimento del carico tributario dalle fasce deboli alle fasce opulenti e dal reddito al patrimonio. In un paese dove le diseguaglianze sono enormemente aumentate negli ultimi vent’anni, un’operazione del genere dovrebbe esser fatta ma la casta politica fa finta che sia impraticabile. Diciamo che non è popolare perché colpirebbe in modo continuativo le corporazioni più potenti, le clientele più spregiudicate e una fascia di elettori preziosa per l’attuale maggioranza. La verità è che la politica fiscale in atto ha connotati tipicamente classisti, colpisce in basso anziché in alto ed ha di fatto trasformato la progressività fiscale in una vera e propria regressività, con tanti saluti al principio costituzionale. Eppure una modifica fiscale nel senso d’un ritorno al principio della progressività contribuirebbe fortemente al rilancio della domanda e della crescita. Contribuirebbe altresì al taglio effettivo degli sprechi e all’aumento della competitività. Però non sta scritta nelle tabelle di questo governo, perciò fino a quando non ci saranno mutamenti politici sostanziali la finanza e la fiscalità classiste resteranno inalterate, con buona pace per chi sostiene che la lotta di classe non esiste più.

Elezioni? Un dovere farsi trovare pronti, e lo sia in modo unitario tutta la sinistra.

Le elezioni anticipate sono ormai un ipotesi più che reale e per questo tutto il centro Sinistra e i movimenti che a questo si richiama hanno il dovere di farsi trovare pronti.
E’ ora di mettere da parte, di superare le divisioni e le scissioni che non hanno fatto altro che indebolire  la sinistra italiana  e trovare nuovo slancio per creare valori di sinistra capaci di rispondere in maniera efficace alle sfide dei giorni nostri.
Credo che questi valori che vanno riportati al centro della vita politica del Paese siano i  temi del lavoro, la questione sociale, la difesa della democrazia e delle istituzioni, mettere in primo piano la questione morale che oggi è più che mai attuale.
Questi temi devono essere al centro dell’ azione politica per ridare speranze a questo Paese, ai suoi giovani: perchè una alternativa credibile c’è ed è pronta. E come diceva qualcuno più importante di me: UNITI si vince  (e si deve governare).

Savonarola

Il partito della P3 può perdere le elezioni.

di Eugenio Scalfari 22 Agosto 2010
Saranno presentati in Parlamento nei prossimi giorni i cinque dossier programmatici sui quali il governo è intenzionato a chiedere la fiducia: la riforma della giustizia, il federalismo, il fisco, il Mezzogiorno, la sicurezza. Si aspettava questo annuncio dopo l’ennesimo “consiglio della Corona” svoltosi venerdì scorso a Palazzo Grazioli.
Nella conferenza stampa tenuta subito dopo da un Berlusconi palesemente stanco e incattivito nonostante il consueto trucco di scena, il documento scaturito dal vertice è stato presentato come una sorta di ultimatum all’ala dissidente dei finiani, un pugno sul tavolo del premier di nuovo sicuro di sé: o mi date la fiducia senza cambiare una virgola o si vota a dicembre. Ma le cose non stanno esattamente così.
La mozione di fiducia verrà posta sul documento uscito dal vertice o su una sua parafrasi e i finiani hanno già dichiarato che lo voteranno senza problemi. Ma poi le varie leggi sui cinque punti in programma dovranno essere presentate, discusse e approvate dal Parlamento con le procedure previste dai regolamenti. Il voto di fiducia preliminare non lega le mani di nessuno, fa soltanto slittare la crisi dall’inverno alla primavera 2011. I motivi di questo sostanziale rinvio – anche se parzialmente smentito da Berlusconi nel secondo atto del vertice tenutosi ieri – sono svariati. Fini ha bisogno di tempo per organizzare le sue forze e la sua strategia, tuttora piuttosto incerta.
Berlusconi dal canto suo teme uno smottamento massiccio del consenso in suo favore. Le attuali intenzioni di voto registrate da numerosi sondaggi fino all’inizio di agosto danno il Pdl tra il 26 e il 28 per cento, di fatto alla pari con il Pd e il sorpasso leghista in tutte le tre regioni padane, Piemonte, Lombardia, Veneto. Di qui la tregua provvisoria con Fini e il rinvio della crisi. Ma la situazione politica non cambia, la scissione finiana non rientra, la “golden share” della coalizione di centrodestra resta saldamente nelle mani della Lega.
A Bossi importa poco dei programmi sul fisco e sul Mezzogiorno; li considera secondari rispetto al federalismo e del resto rientrano entrambi nella competenza di Tremonti che ha con Lega un legame ormai consolidato. Quanto alla sicurezza, è materia di Maroni che ieri ha dichiarato di voler essere molto più duro di Sarkozy per quanto riguarda i rimpatri degli immigrati e dei Rom.
Il vero scambio sotteso al programma dei cinque punti si verifica dunque tra il federalismo di cui Bossi reclama l’esclusiva e la riforma della giustizia che interessa Berlusconi e l'”inner circle” dei suoi accoliti.
In cambio della mano libera sul federalismo Bossi darà il suo appoggio incondizionato a Berlusconi sul tema della giustizia e su quello strettamente connesso dei conflitti di interesse che ormai, penetrando dalla persona e dall’azienda del premier, avvolgono in una fittissima rete l’intera cupola del Pdl ed ora, proprio sul fronte della giustizia, se ne profila un altro: dietro l’annuncio del premier, che dichiara di voler snellire il contenzioso delle cause civili, potrebbe celarsi l’ennesimo colpo di spugna. Stavolta sulla causa che vede contrapposte la Cir e la Finivest, già condannata in primo grado al pagamento di 750 milioni di euro come risarcimento dei danni subiti dal gruppo De Benedetti ai tempi del Lodo Mondadori.
Siamo dunque in presenza di uno scambio di grandi proporzioni: l’assetto federale dello Stato dato in appalto ad un partito territoriale che nel Paese raccoglie tra il 10 e il 12 per cento dei consensi e, dall’altro lato, il salvacondotto giudiziario al premier e al suo gruppo insieme ad un mutamento radicale dei rapporti tra la giurisdizione e l’autorità politica e, più in generale, tra la sovranità del potere politico e le istituzioni di controllo e di garanzia. Questo è il vero contenuto dello scontro politico in atto.
Ma il quadro sarebbe incompleto se non segnalassimo altri due aspetti della situazione.
Il primo riguarda il Pd. Messo alla frusta dalla gravità della crisi, Bersani ha deciso un rilancio in grande stile mobilitando i 3 milioni e mezzo di elettori delle primarie per una campagna capillare per riportare in linea quella parte dell’elettorato democratico – riformista che si è rifugiata nell’area dell’astensionismo. Se questa mobilitazione verrà condotta con efficacia e passione il risultato potrebbe addirittura consentire il sorpasso del Pd rispetto al Pdl, che avrebbe effetti clamorosi sull’intero quadro politico.
Il secondo aspetto della situazione riguarda il presidente della Repubblica ed è altrettanto essenziale. Ho scritto in un articolo dell’11 aprile scorso intitolato “L’ultima sfida del Cavaliere al Quirinale” una frase che voglio qui riportare perché ha acquistato in questi giorni un’inquietante attualità: Sta emergendo con sempre maggiore chiarezza la volontà berlusconiana di dare una spallata definitiva alla Costituzione repubblicana sostituendola con un regime autoritario, un Parlamento di “cloni” plebiscitati, un potere giudiziario frantumato e subordinato all’esecutivo “.
“In uno degli angoli del ring c’è Silvio Berlusconi, nell’altro, almeno per il momento, non c’è nessuno o meglio c’è un capannello di persone discordi tra loro dalle quali sembra difficile estrarre un valido competitore. “Giorgio Napolitano dovrebbe arbitrare la partita, dalla quale dovrebbe uscire una Repubblica ammodernata ma fedele ai principi dello Stato di diritto e alla libertà oppure un autoritarismo plebiscitario.
“Questo scontro comincerà tra meno di un mese e si concluderà nel 2011. Credo di sapere che Napolitano deve e vuole restare al di sopra delle parti anche perché il capitale di fiducia che riscuote nel Paese è il solo elemento che può far inclinare il piatto della bilancia dalla parte giusta e non da quella terribilmente sbagliata. “Credo di sapere che contro le sue intenzioni sul ring, a contrastare un vero e proprio “golpe bianco” ci sarà lui. “Non in veste di giocatore ma in veste di arbitro di fronte a chi contesta gli arbitri, i soli che possono richiamarlo a rispettare le regole del gioco. Credo di sapere e prevedo che sarà una durissima battaglia per la democrazia italiana”. È esattamente questa la piega che hanno preso le cose.
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La riforma della giustizia è impostata su due punti che nel loro insieme costituiscono la concezione che il berlusconismo ha dello Stato e della democrazia. Il primo punto riguarda il rapporto tra il potere esecutivo e le istituzioni di controllo e di garanzia, prima tra tutte la magistratura. Il secondo punto si dà carico  –  così suona la motivazione  –  delle carenze del servizio, della estenuante lunghezza dei suoi percorsi che causano costi altissimi ai cittadini e al Paese. E quindi: processo breve, possibilità di rendere esecutive e inappellabili le decisioni dopo uno o almeno due ordini di giurisdizione, terzietà del giudice rispetto alla pubblica accusa, separazione delle carriere tra magistrati inquirenti e magistrati giudicanti, diluizione o addirittura abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale.
In questo quadro va da sé che vi sia una specialissima attenzione all’improcedibilità nei confronti dei membri del governo e la protezione assoluta del premier e delle altre massime cariche istituzionali per ogni tipo di reato, non importa quando commesso. Quest’aspetto del problema figura come un codicillo ma sappiamo che per gli estensori della riforma ne costituisce invece un punto capitale. Quale sia la concezione liberal-democratica dell’intera questione della giustizia è fin troppo noto perché sia necessario entrare nei dettagli anche se il tema dei disservizi della giurisdizione si impone oggettivamente ad ogni cittadino e ad ogni legislatore e va dunque affrontato con il massimo impegno e la massima concretezza. Ho la fondata sensazione che le cause principali di quei disservizi non siano minimamente presenti agli estensori della riforma in questione. Perciò mi propongo qui di formulare alcune riflessioni su questa delicatissima materia.
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1. Esiste un assoluto caos nei rapporti tra le magistrature amministrative, le magistraturecontabili e la giurisdizione ordinaria. Il Tar può aprire un processo a carico di un soggetto; la sua ordinanza o sentenza è appellabile al Consiglio di Stato. Nel frattempo sullo stesso soggetto e sullo stesso reato la Corte dei Conti può aprire un processo ed emettere sentenza. Sul medesimo imputato e presunto reato possono procedere in pari tempo il giudice penale e quello civile. Le sentenze di queste diverse giurisdizioni nei loro diversi gradi possono essere in totale contrasto le une con le altre dando luogo ad una situazione che definire caotica è un eufemismo e la cui lunghezza è infinita.
2. Di questo tema mi sono occupato alcuni anni fa segnalando altresì la situazione abnorme del Consiglio di Stato che è al tempo stesso collegio giudicante nei confronti del potere esecutivo ma anche consigliere autorevole e molto ascoltato del governo stesso: situazione abnorme a cui dovrebbe esser messo riparo. Questo ed altri temi sono stati ora risollevati dall’avvocato Giovanni Pellegrino che fu anche senatore e presidente della Commissione stragi, in un libro intitolato “Il morbo giustizialista”. Merita d’esser letto e attentamente meditato.
3. Scrisse più volte Paolo Barile, il grande giurista erede spirituale di Piero Calamandrei, che l’obbligatorietà dell’azione penale è la norma che presidia l’indipendenza del Pubblico ministero. La sua abolizione determinerebbe la degradazione del magistrato inquirente al rango di un pubblico funzionario. Si può anche scegliere questa strada e imboccare quella dell’avvocato di pubblica accusa, sapendo però che l’indipendenza della magistratura diventa in questo caso una lugubre barzelletta della quale abbiamo fatto esperimento in cent’anni di monarchia e in vent’anni di fascismo. In altri paesi esistono contrappesi politici, culturali e professionali che in Italia sono sconosciuti. Perciò è bene si sappia che abolire l’obbligo dell’azione penale significa la cancellazione dell’indipendenza giurisdizionale.
4. Ciò non significa che l’obbligatorietà dell’azione penale non possa essere meglio organizzata. Per esempio concentrandola nelle mani del capo della Procura e bilanciando questo centralismo con la deroga per i reati in flagranza e con incontri frequenti e obbligatori tra il Procuratore capo ed i suoi sostituti su come orientare e specializzare l’azione penale in quel distretto giudiziario.
5. La giurisdizione antimafia ha creato un modello di organizzazione nazionale con un Procuratore unico alla guida del sistema. Probabilmente per alcuni reati non necessariamente mafiosi ma con analoghe caratteristiche, quel modello andrebbe esteso. Un Procuratore nazionale per tutti i reati di corruzione e concussione nei quali sia coinvolta la Pubblica amministrazione potrebbe essere una proposta di rilevante interesse.
6. Esiste infine una serie di comportamenti gravemente illeciti ai quali non corrisponde la definizione di un preciso reato. La magistratura e la giurisprudenza hanno creato in questi casi nuove formule di incolpazione come per esempio il reato di associazione per delinquere che spesso tuttavia serve soltanto a colmare un vuoto legislativo favorendo conflitti di giurisdizione tra Corti di merito e Corte di Cassazione che sono tra le cause più importanti dell’estenuante lunghezza dei processi. Molte altre cose potrebbero esser dette su questi temi. Li ho qui segnalati proprio per stimolare un dibattito e mettere in evidenza che la cosiddetta generale riforma della giustizia che sta per essere presentata alle Camere si riduce ad una pagliacciata messa in scena per proteggere gli interessi di una casta politica, come temo stia per avvenire.

Il polo degli Astenauti

The Centerprismission group,  ovvero il polo degli Astenauti.

 

Savonarola

La situazione politica. Una riflessione …

Rimango attonita davanti allo squallido spettacolo che la nostra classe politica sta mettendo in scena in questi giorni. Nel 2008 l’attuale maggioranza vince le elezioni politiche con un risultato chiaro al grido “liberiamo l’Italia da Prodi, Visco e dal centrosinistra”, ripetendo forte e chiaro “arriviamo noi a far ripartire l’economia italiana”, sventolando la chimera “delle Grandi Riforme”.
E invece dopo appena due anni noi italiani siamo di nuovo qui a “leccarci le ferite” provocate da una classe dirigente letteralmente irresponsabile! L’Italia aveva un Governo sostenuto da una maggioranza con uno scarto di più di cento parlamentari e nonostante tutto il centrodestra non è riuscito a ridare quella speranza e quegli strumenti necessari agli artigiani, ai commercianti, agli industriali, alle piccole e grandi imprese del nostro Paese, per investire e rilanciare progetti economici di largo respiro per rimanere nel mercato superando l’attuale crisi economica e offrire opportunità di lavoro. Un Governo che, anziché fare battaglie incomprensibili su intercettazioni e finto federalismo, avrebbe dovuto impegnarsi giorno e notte a varare vere riforme del mercato del lavoro, del welfare e di politica economica.
Mi auguro che il Partito Democratico tenga ben saldo il comando, insieme anche ad altri che
intendono starci, proponendosi come alternativa di governo sulla base di un programma chiaro e trasparente, declinato in pochi punti, avendo come strada maestra il senso dello stato, delle sue istituzioni e di responsabilità che un partito candidato a governare il nostro Paese deve necessariamente avere. Il Partito Democratico non deve pensare a quali riedizioni di larghe intese e coalizioni riproporre, (è un problema degli altri, ridicolo trovo che Rutelli  metta pregiudiziali sulla presenza di DiPietro e lasciateli al loro destino questi che si identificano in un “inconsistente ed utilitarista terzo polo” ) ma deve sentire forte il peso del grave momento che stiamo vivendo per tradurre le proprie potenzialità in azione di governo.

“… se mi chiedete fra qualche tempo che cosa accadrà, io dico: può esservi qualche cosa di nuovo. Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo direttamente a questo domani, credo che tutti accetteremmo di farlo, ma cari amici, non è possibile; oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso, si tratta di vivere il tempo che ci è stato dato con tutte le sue difficoltà.” (A. Moro)

Paola

La politica degli stracci.

 “Primopiano”  n. 34 di Famiglia Cristiana, 18 agosto 2010.
L’Italia affonda nella melma dei dossier e dei veleni, tra risse e regolamenti di conti.L’immagine che più si addice alla politica di questa torbida estate è il proverbiale campo di Agramante di ariostesca memoria, dove regna una discordia confusionaria e suicida, mentre il nemico (lo spettro della crisi) è alle porte. Dossier, minacce e ricatti velenosi volano come stracci, in un’Italia ridotta alle pezze. E con avversari da polverizzare, con ogni mezzo, perché il potere assoluto non ammette dissenso: non fa prigionieri, solo terra bruciata contro chi canta fuori dal coro.
Veleni e schizzi di fango volano ovunque. Con politici lontani dai problemi delle famiglie, che stentano a vivere, ogni giorno alle prese con povertà e disoccupazione, soprattutto giovanile. Settembre riserverà un brusco risveglio. La ripresa è debole, soggetta alla pesante concorrenza dei nuovi mercati dell’Estremo Oriente. A scuola, anche quest’anno, la campanella suonerà a vuoto per decine di migliaia di docenti precari. In attesa, da anni, di una sistemazione.
Il Paese che si avvia a celebrare l’unità d’Italia è stufo di duelli, insulti e regolamenti di conti. Una politica responsabile, che miri al bene comune, richiederebbe oggi, da tutti, un passo indietro, prima che il Paese vada a pezzi, e un’intesa di unità nazionale (e solidale) che restituisca ai cittadini il diritto di eleggersi i propri rappresentanti. Non più comparse da soap opera, ma persone di provata competenza e rigore morale. Minacciare il ricorso alla piazza o tirare a campare con una “tregua armata” non sana le profonde ferite di questi giorni. Tantomeno ridà credibilità a una politica offuscata da ampie zone d’ombra. Il Paese è paralizzato. Sotto ricatto. Leggi e favori, come al “mercato delle vacche”, sono oggetto di baratto: federalismo in cambio di intercettazioni. I dossier vanno e vengono dai cassetti, con minacce di “bombe esplosive” (ma chi sa, perché non parla già ora?). Manca, come ha scritto il presidente del Censis Giuseppe De Rita, «una cultura politica della complessità e del suo governo». S’è perso di vista il bene prioritario del Paese, come ha ammonito il cardinale di Milano, Dionigi Tettamanzi, nell’omelia dell’Assunta.
Anche la questione morale è ormai arma di contesa. Dalla politica “ad personam” siamo al “contra personam”. Ma la giusta esigenza di chiarezza vale per tutti. Sia per chi ha la pagliuzza che per chi ha la trave nell’occhio. La clava mediatica (o il “metodo Boffo”) contro chi mette a nudo il re è un terribile boomerang, in un Paese che affoga in una melma di corruzione, scandali e affari illeciti.
Disfattista non è chi avverte il pericolo e fa appello al senso etico, ma chi è allergico al rispetto di regole e istituzioni. Nel campo di Agramante italiano si alzano polveroni, utili solo a fini propagandistici. Per soddisfare la voglia d’una contesa elettorale che sbaragli, per sempre, l’opposizione. Come in passato, urge anche oggi l’appello di don Sturzo “ai liberi e forti”.
Prima che sia troppo tardi.