Massimo Gramellini:Denis e Lula hoop

 di Massimo Gramellini per La Stampa 18 marzo 2016. A dispetto dei gufi, con baffetti e no, ormai Renzi si colloca molto più a sinistra della sinistra sudamericana. Infatti, mentre in Brasile la compagna Dilma Rousseff è arrivata a nominare Lula ministro pur di evitargli l’arresto, in Italia nessuno pensa ancora di offrire un posto di governo al Verdini condannato a due anni per corruzione. Ci si limita a tenerlo dentro la maggioranza: a portata di mano, pulita o sporca che sia.
Da una parte all’altra dell’oceano, il messaggio che la politica e i partiti cosiddetti progressisti mandano ai cittadini è: chi se ne infischia se un nostro sodale è nei guai con la giustizia, basta che ci sia utile o che lo si debba ricompensare per qualche servigio. La politica è un cinico gioco di potere da molto prima di «House of Cards» e anche di Machiavelli, che ne mise per iscritto la teoria. Rimane il problema di farla convivere con un simulacro di democrazia, che presuppone la partecipazione al gioco da parte dei cittadini. I quali ogni tanto vorrebbero illudersi che la posta in palio siano gli slanci ideali e gli interessi concreti delle persone. Invece la politica si presenta al giudizio degli elettori nella sua nudità, intessuta di bramosie e convenienze completamente sganciate da qualsiasi obiettivo che non sia la conquista o la conservazione del potere. Esimi politologi ci spiegano con un sorriso di degnazione che non può essere che così. Allora la smettano di stupirsi se le urne si svuotano. E se il mantra degli astenuti non è più «non mi interessa», ma «mi disgusta».

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Massimo Gramellini: colpa dei Prof

La Stampa il Buongiorno• 5-novembre-2015 di Massimo Gramellini. Colpa dei Prof

Durante le lezioni i ragazzini di una media di San Francesco al Campo, nel Torinese, riprendono gli insegnanti con il telefonino (il cui uso in classe è severamente proibito, dunque tacitamente tollerato) per poi metterli alla berlina sui social. I prof si lamentano e ventidue teleoperatori in erba finiscono sospesi da scuola.
Molti genitori insorgono. Per sgridare la spregiudicata prole? Giammai. Deprecano la rigidità degli insegnanti: perché prendersela per una ragazzata che alla peggio finirà sotto gli occhi di qualche milione di persone?
Con l’assoluzione urbi et orbi, soprattutto orbi, dall’abuso di Instagram e Facebook, si restringe sempre più la sfera dei comportamenti scolastici attribuibili ai figli. Se tirano uno schiaffo al prof, la colpa è del prof che non ha saputo incutere nella scolaresca il dovuto rispetto.
Se gli rubano il registro, la colpa è del prof che lo ha lasciato in vista: una sorta di istigazione a delinquere. Ma anche se gli mettono una mano di vernice sulla sedia e lui/lei ci spalma i pantaloni o la gonna sopra, la colpa è del prof che non ha controllato prima di sedersi.
E se gli fratturano il malleolo con una mazza da baseball? Che domande: la colpa è del prof, anzi della scuola intera, che ha permesso a un oggetto contundente di circolare indisturbato per i corridoi. Se poi un angioletto di mamma e papà prende due in tutte le materie, la colpa è ovviamente e unicamente del prof che non ha saputo stimolare l’ allievo e interessarlo alle lezioni. In realtà ci sarebbe una colpa che non si può dare ai figli (e tantomeno al prof): di avere dei genitori così.

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Purtroppo tutto tristemente vero e un fatto analogo è accaduto anche in una nostra scuola. E’  fondamentale che da tutte le  parti ( compresi i genitori)  siano biasimati certi comportamenti: il rispetto delle regole. Ne abbiamo bisogno noi insegnanti, ma ne ha bisogno soprattutto la nostra società.
Paola
cellulari a scuola

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Massimo Gramellini: La buona EDUCAZIONE

La Stampa il Buongiorno• 6-ottobre-2015 di Massimo Gramellini. La Buona Educazione

La mattina del primo ottobre il professor Tommaso Bertelli, preside dell’istituto «Pralormo» di Empoli, ha scritto una circolare in cui invita i suoi 1675 studenti a salutare. Buongiorno, salve, ciao: quei lubrificanti esistenziali che per strada o in ufficio sono rimasti in pochi a maneggiare, e quei pochi guardati con sospetto, come se dietro la formula di cortesia si nascondesse un secondo fine indicibile o un’invasione della privacy.
La notizia mi ha sconvolto per vari motivi. Intanto per il numero degli studenti. Ho fatto ancora in tempo a crescere in scuole dove il preside regnava su una bottega di allievi che tutti conosceva e di cui conosceva tutto, non ancora su un’azienda di medie dimensioni. E poi perché pare che il suo sermoncino abbia funzionato. Che i ragazzi abbiano cominciato a salutare chiunque capitasse a tiro: i compagni, i bidelli, persino i professori. E che il loro umore ne abbia tratto giovamento. Quindi non è che prima non volevano farlo. È che proprio non sapevano che si potesse fare. C’è voluta una circolare per informarli dell’esistenza di questa strana pratica che sta alla base della convivenza tra esseri umani mediamente evoluti. Qualcuno di loro ne aveva sentito parlare di sfuggita, in casi eccezionali addirittura in famiglia, di sicuro mai alla televisione. Ma l’avrà associata a un’ammissione di debolezza o a una sdolcinatura, rimuovendola immediatamente. Finché un giorno, grazie a una circolare del preside, ha scoperto che la buona educazione non è buona perché melensa. È buona perché fa bene.

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Il proprietario di un bar a Napoli ha esposto questo cartello.  Il genio tutto italiano.
Paola
Educazione 2

 

Massimo Gramellini: STAI BENE ?

La Stampa il Buongiorno• 08-agosto-2015 di Massimo Gramellini. Come Stai ?

Cosa farei se vedessi un uomo sul cornicione di un ponte con i piedi pronti al grande balzo? Jamie Harrington, dublinese di sedici anni, è salito sul ponte, si è seduto accanto all’aspirante suicida e gli ha gettato al collo solamente due parole: «Stai bene?». Per tutta risposta l’uomo si è messo a piangere. In tre quarti d’ora di monologo ha concentrato le miserie di una vita.

La sensazione di essere invisibile, inutile, inadeguato. Jamie gli ha lasciato finire il racconto e poi ha detto: «Stanotte non riuscirei a dormire se ti sapessi in giro da solo per la città. Chiamerò un’ambulanza perché ti porti in ospedale». L’uomo alla deriva si è lasciato trarre in salvo: più per non deludere il nuovo amico che per altro. Si sono scambiati i numeri di telefono. A tre mesi da quella notte lo smartphone di Jamie ha suonato e lui ha subito riconosciuto la voce: «Stai bene? Sono state quelle due parole a salvarmi». «Com’è possibile che ti siano bastate due parole?», gli ha chiesto Jamie. «Immagina se per tutta la vita non te le avesse rivolte mai nessuno».

Stai bene. Nel comunicare col prossimo, persino con le persone amate, si preferisce usarne altre più intrusive. «Come è andata?», «Con chi sei stato?». E quando si chiede a qualcuno come sta è solo per recitare una formula di cortesia che spesso non prevede di prestare attenzione alla risposta. Eppure, se pronunciate a cuore aperto, quelle due parole pare facciano miracoli. L’uomo che voleva togliersi la vita ne ha appena creata una nuova, con la collaborazione decisiva di sua moglie. Dice che aspettano un maschio e che lo chiameranno Jamie.

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Buon FERRAGOSTO  a tutti gli JAMIE  e a tutte le persone di questo mondo che pensano di essere alla deriva
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Paola
come stai

 

Massimo Gramellini: BERGOGLIO e pregiudizio

La Stampa il Buongiorno• 18-giugno-2015 di Massimo Gramellini. Bergoglio e pregiudizio

Gli eventi sono talmente enormi che anche la soluzione migliore sembra minuscola. Figurarsi quelle meschine, spesso grottesche. Salvini polemizza col Papa sui migranti e già trovare quei due dentro lo stesso titolo infonde un senso surreale di straniamento: come abbinare Einstein al Mago Oronzo. Ma è un po’ tutto il meccanismo della comunicazione a essere uscito dai gangheri. Nella sua invettiva contro Roma zozzona, l’untorello Beppe Grillo – ormai la vera zavorra del suo movimento – cita i clandestini accanto ai topi e alla spazzatura tra i possibili portatori di epidemie. Nemmeno i sudisti di «Via col vento» osavano parlare così degli schiavi che affollavano le loro piantagioni di cotone. E il governo ungherese? Per anni ha chiesto a gran voce il proprio ingresso in Europa. Ma ora che lo ha ottenuto decide di alzare un muro lungo il confine con la Serbia per impedire agli altri di entrare. Minacce di peste, fortezze assediate: uno scenario da Medioevo moderno, immortalato dalle immagini dei profughi aggrappati agli scogli della Costa Azzurra come gabbiani stanchi, con il mare intorno e gli yacht dei ricchi sullo sfondo.

«Prendili tu a casa tua». Oppure: «Vadano a stare in Vaticano». I mantra della banalità salvinista si rincorrono sul web e seducono gli animi spaventati dall’inesorabilità del cambiamento, vellicandone gli impulsi più bassi. O noi o loro. Che muoiano pure di fame e malattie, possibilmente lontano dagli obiettivi dei fotografi, per evitare rigurgiti di coscienza e consentirci di partecipare alla prossima Messa in santa pace.

lineaVorrei aggiungere che anche in Osimo qualcuno si diverte, il giovedì al mercato, a distribuire volantini  con questo tenore: ” Andreoni, perchè non li porti a casa tua, questi profughi? “. E’  una domanda stupida, che non merita risposta. E’ una domanda che  serve solo a chi la fa per sentirsi di avere detto una cosa furba e con l’unico obiettivo di gettare discredito,  senza avere nessuna intenzione di affrontare la questione dell’immigrazione.
Chi distribuisce questi volantini con  queste stupide domande, alla Salvini, non vuole risposte. È solo in malafede e trova  in questa stupida azione  l’unico modo per assolversi dalla propria indifferenza o egoismo:  è inutile rispondere a chi è in malafede.
Paola
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Massimo Gramellini: nel nome del figlio

La Stampa il Buongiorno

di Massimo GRAMELLINI Durante il secondo tempo di una partita del campionato Giovanissimi, il padre di uno dei ragazzini in campo scavalca la rete di recinzione e prende a ceffoni l’arbitro diciassettenne, mandandolo all’ospedale. Non è questa la notizia, anzi fino a qui saremmo nella tragica normalità. Quella dei genitori che considerano i figli un prolungamento del proprio ego e si ergono a difensori del buon nome della casata contro qualunque autorità costituita – insegnante, vigile, arbitro – osi lederne il prestigio con decisioni inopinate: un votaccio, una multa, un rigore non dato. Ma stavolta affiora una variabile imprevista: di fronte al padre che ha appena picchiato un adolescente in suo nome, il calciatore ragazzino scoppia in lacrime, si avvicina alla barella su cui giace l’arbitro e gli chiede scusa. Con una certa goduria provo a immaginare la scena: il padre manesco, impavido risanatore di torti, cerca lo sguardo del figlio per catturare i segnali della riconoscenza e dell’ammirazione, e invece in quegli occhi gonfi di pianto trova soltanto la ribellione che nasce dall’imbarazzo e dal disprezzo.

pic_lasciateci giocareDicono che, nel bene e nel male, siamo come ci hanno fatto i nostri genitori, poi però la vita consegna queste storie di speranza. I cattivi esempi che si respirano in casa possono essere ribaltati da altri ambienti: la scuola, la squadra, la compagnia e, soprattutto, se stessi. Si nasce con il rispetto per gli altri già incorporato: il segreto sta nel non dimenticarsene quando si cresce.

Massimo Gramellini: Chi è Stato?

La Stampa il Buongiorno• 02-Nov-14 di Massimo Gramellini. Nessun colpevole. Tutti assolti. Recita il ritornello: le sentenze si rispettano. Però non possono diventare lotterie, come accade quando sugli stessi fatti il giudizio d’appello smentisce, ribaltandolo, il processo precedente. Per l’accusa Stefano Cucchi è morto in carcere di botte e di stenti. Per il primo giudice «soltanto» di fame e di sete. Per la corte d’assise neanche di quello. Ne dovremmo dedurre che sia ancora vivo. O che si sia ammazzato da solo. E infatti è questa la versione che ci vogliono apparecchiare: Cucchi si sarebbe lasciato morire di inedia. Se medici e infermieri hanno una colpa, è di non avere insistito con la forza per nutrirlo.
Una «responsabilità morale» ammette persino Giovanardi. E le fratture? E gli occhi pesti? E il corpo preso in consegna vivo dallo Stato e restituito cadavere alla famiglia? Una famiglia che ha sempre rispettato e aiutato le istituzioni, al punto di fornire prove a carico del figlio sul possesso di droga. Toccherà alla Cassazione mettere il timbro su questa storia allucinante, dove il latinorum dei giudici è contraddetto dalla potenza persuasiva delle foto. Purtroppo abbiamo fin d’ora una certezza: che quando una delle due sentenze risulterà sbagliata, nessun magistrato pagherà per il suo errore.
P.S. Solidarietà ai poliziotti e agli agenti penitenziari che accettano di farsi odiare dal prossimo per 1200 euro al mese. Ma il portavoce di un loro sindacato che – di fronte alla morte impunita di un uomo – dichiara: «Se uno ha disprezzo per la propria condizione di salute e conduce una vita dissoluta, ne paghi le conseguenze», dovrebbe fare soltanto una cosa. Vergognarsi.

lineaVorrei aggiungere che in uno Stato di Diritto, come il nostro,  i Giudici non possono emettere sentenze di condanna verso gli imputati se non ne vengono provate le colpevolezze  che confermino i reati di imputazione,  tuttavia  la magistratura inquirente non può chiudere il caso, deve dire ai familiari e a tutto il Paese: cosa è successo e come è morto Stefano? Di sicuro, non si è ucciso da solo.
Paola
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Massimo Gramellini: Il ministro che non c’è

La Stampa il BuongiornoMa l’Italia ce l’ha un ministro dell’Interno?, si chiede Antonio Barone nel suo blog sull’Huffington Post. A scandalizzarlo, a scandalizzarci, è il silenzio di Alfano intorno al rogo di Cocò, il bambino di tre anni ucciso e bruciato dalla ’ndrangheta. Quel gesto disumano, che ha cancellato definitivamente l’epica dei cosiddetti «uomini d’onore», scosso le coscienze e ispirato parole infuocate a Claudio Magris, è planato sulle spalle larghe del ministro senza lasciare traccia. In cinque giorni neppure una dichiarazione o un gesto che dessero la sensazione di uno Stato presente e, se non responsabile, almeno consapevole. Evidentemente Alfano considera ordinaria amministrazione che sul territorio italiano si consumino non solo i rapimenti dei familiari di un oppositore kazako, ma anche le mattanze infantili.
La storia di Cocò è ancora più complessa e avvilente per le strutture dello Stato: c’è di mezzo una mamma in galera con cui il piccolo ha convissuto dietro le sbarre, prima di essere affidato da una decisione demenziale al nonno pregiudicato. Ma neanche su questo Alfano ha trovato il tempo di dire qualcosa. Comprendiamo che i tormenti della legge elettorale ingombrino una parte imponente della sua pur vasta intelligenza. E siamo certi che abbia presieduto vertici su vertici per mettere nel sacco gli assassini di Cocò. Ma la politica è comunicazione. Un ministro che parla di listini bloccati e non di un fatto di sangue che ha sconvolto il mondo intero farebbe meglio a presentare le dimissioni. Pubblicamente, però. Altrimenti non se ne accorgerebbe nessuno.

Crimi e misfatti

giornale La StampaBUONGIORNO di Massimo Gramellini
Una battuta da terza elementare del cittadino Vito Crimi sulla tenuta intestinale e prostatica del Cavaliere, digitata con ilari polpastrelli sul telefonino durante i lavori della Giunta impegnata a sancirne la decadenza da senatore, ha offerto il destro a don Schifani per chiedere (invano) il rinvio della votazione. Se applicassimo agli strateghi Cinquestelle la dietrologia che essi riservano al resto del mondo, dovremmo dedurre che Crimi l’abbia fatto apposta. Qualora al voto della Giunta seguisse quello dell’aula, sarebbe più difficile per Grillo continuare a predicare l’omogeneità fra Pidielle e Pidimenoelle. Qualsiasi mossa di disturbo, anche la più becera (Berlusconi, alla prostata, ha avuto un cancro), può dunque servire a ritardare quel passaggio politico fondamentale.
Poiché la dietrologia è meglio lasciarla dentro i romanzi di Dan Brown, per la regressione infantile di Crimi si è propensi a cercare una spiegazione scientifica. Qualche virus di origine misteriosa aleggerebbe nei saloni del potere, attaccandosi alle pareti vellutate, da dove rilascerebbe i suoi miasmi ottundenti. Un libero cittadino piomba a Palazzo sulle ali dell’indignazione popolare, armato soltanto di sacro fuoco civile, e dopo qualche mese lo si può ritrovare intento a scrivere di peti e pannoloni. Ma alcuni crimologi, che da mesi ne studiano la non complessa personalità, avanzano l’ipotesi che stavolta il virus c’entri poco e Crimi abbia fatto tutto da solo.

Lavorare troppo, lavorare pochi di Gramellini

Posto il buongiorno di Gramellini di ieri 21 agosto, perché  fa riflettere sullo scopo della Politica.

giornale La Stampa BuongiornoIl Buongiorno di Gramellini ( 21 agosto 2013 La Stampa ):
“Un mondo equilibrato è forse impossibile, ma di sicuro quello che avanza dietro le gloriose insegne del progresso globale assomiglia a una giostra manovrata da un ubriaco. A Londra un ragazzo tedesco appena scampato all’età dei brufoli, Moritz Erhardt, è morto nella doccia di un dormitorio dopo avere lavorato alla City dalle 9 del mattino alle 6 di quello successivo: ventuno ore consecutive per tre giorni di fila, cibandosi esclusivamente di caffè. A vent’anni si sopravvive a strapazzi anche peggiori, quindi è probabile che Moritz fosse predisposto (soffriva di epilessia), ma la sua fine ha acceso i riflettori su una realtà: mentre la maggioranza dei giovani non trova lavoro, quelli che riescono a ottenere un posto qualificato sono sottoposti a ritmi da spremiagrumi. Un tirocinante della City lavora in media 14 ore al giorno e guadagna l’equivalente di 3000 euro, tantissimi ovunque ma non a Londra, dove l’affitto di un monolocale ne costa 1800: e infatti Moritz dormiva in un ostello.

Questa contraddizione stridente tra i pochi che lavorano troppo e i troppi che lavorano poco, o addirittura mai, sembrerebbe il frutto di un sistema senza governo. Nella storia umana, che è una storia di schiavi spesso inconsapevoli di esserlo, è sempre andata così, se si esclude un breve intervallo – dal secondo Dopoguerra agli Anni Settanta del secolo scorso – quando almeno in Occidente si riuscì a distribuire lavoro e ricchezza, e a creare il ceto medio. Ma l’intervallo è finito e la giostra dell’ubriaco ha ripreso a girare anche qui. Solo la politica avrebbe le chiavi per fermarla, ma le ha perse. Forse se l’è vendute”.

da La Stampa del 21/08/2013.

( Cezanne, il bevitore )

( Cezanne, il bevitore )

Quanto scritto da Gramellini  fa riflettere.
Lo scopo della politica, per un partito progressista non può  essere quello  di prendere atto della realtà e di conservala così come è, magari con qualche piccolo ritocco funzionale, o pensare che  il mondo possa avanzare senza regole precise soprattutto in economia. ( questi  sono concetti della destra).
Un partito progressista ha il compito  di  interrompere la storia degli schiavi e distribuire con equità e giustizia  lavoro e ricchezza. Deve essere questo lo scopo di una politica  “di sinistra”, una politica di cambiamento.

Cinque stelle extra-luxe

GramelliniBuongiorno di Massimo Gramellini. la Stampa 6 marzo 2013. L’autopresentazione dei parlamentari di Grillo in diretta tv da un albergo della Capitale («Ciao, sono Diego, in quanto sommelier mi vorrei occupare di agricoltura») ha dissolto in un istante decenni di polverosa comunicazione politica. Siamo in grado di anticiparvi l’intervento degli eletti della lista Monti che si raduneranno oggi a Roma in un esclusivo monolocale del centro. «Ciao, sono Filippo Maria Ondeggioni Guerreschi, uno come tanti. In quanto proprietario di due aerei privati, vorrei entrare nella commissione Trasporti».
«Ciao a tutti, sono la contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare: avendo tre cameriere peruviane e un personal trainer russo, mi piacerebbe occuparmi di politica estera». «Salve, mi chiamo Giangi Anfuso Lambertenghi, sono appassionato di ecologia e andrò alla Camera con la bicicletta guidata dal mio autista». «Ciao ragazzi, sono Fiordalisa Filippini in Gaumont in Sauroni in Rottweiler in Beauchamp in Opale: felicemente sposata cinque volte e divorziata quattro ancora più felicemente, mi interessano molto i temi della famiglia». «Salve, sono Marco Maniscalchi Ferreris d’Argonauta: figlio dell’ambasciatore Maniscalchi, nipote del cardinale Ferreris e figlioccio del professor d’Argonauta: vorrei occuparmi di pari opportunità».
«Ciao, sono Luigia Tonnarelli Guitti: non ho mai lavorato un giorno in vita mia, sarà per questo che mi incuriosisce il Welfare». «Salve, sono Gianfranco Fini, disoccupato, mi piacciono le immersioni, ma vorrei tornare a galla. A qualcuno serve un sommelier?».

M come Maestra di Massimo Gramellini

 articolo di Massimo Gramillini Ho condiviso con una trentina di temerari uno spericolato esperimento sentimentale: il raduno dei compagni di classe delle elementari. Erano quarant’anni e centomila capelli che non ci si vedeva e per farsi riconoscere ciascuno si era pinzato sul petto una targhetta con nome, cognome e una propria foto di allora. E’ stata una delle serate meno nostalgiche della mia vita: il passato da rammentare era così remoto che sembrava futuro. Si è parlato tantissimo di progetti e speranze, pochissimo di calcio, niente di politica. Ma si è parlato soprattutto della, e con la, MAESTRA. Era per i suoi 88 anni appena compiuti che avevamo apparecchiato lo spettacolo, salvo accorgerci in fretta che lo spettacolo era lei. Buona ma non debole, la schiena ancora dritta come i suoi pensieri. La Maestra. Quella che ci aveva insegnato a leggere con i libri di Primo levi e di Rigoni Stern. Anche l’altra sera ha ascoltato con attenzione il primo e l’ultimo della classe declamare “bosco degli urogalli” e poi ha dato loro il voto: basso e però giusto, come sempre. Si aggirava fra i suoi scolari attempati distribuendo carezze ruvide e rimproveri dolci. Nel guardarla pensavo all’esercito silenzioso di cui quella donnina formidabile fa parte: le maestre elementari della scuola pubblica italiana che hanno tirato su una nazione con stipendi da fame, ma meritandosi qualcosa che molti potenti non avranno mai. Il nostro rispetto.
Prima di andare a dormire ci ha detto che averci avuti come alunni era stato, per lei, come riceverci in dono. Poi ci ha baciati sulla fronte, uno a uno. Sono rientrato a casa con addosso l’energia di un leone.
Massimo Gramellini

Il sottosegretario Quaresima

BUONGIORNO di Massimo Gramillini 19 giugno 2012. Il sottosegretario Quaresima
Lo scrivo a voce bassa e raccomandando il massimo riserbo – non vorremo svelare i piani segreti del governo a qualche potenza straniera? – ma il sottosegretario all’Economia con delega alle chiacchiere Polillo ha appena avuto un’idea geniale per far impennare il Pil. Rinunciare a una settimana di ferie. Non lui, gli italiani tutti. Poiché i lavoratori dipendenti godono di tre mesi di vacanze l’anno, ha ragionato il grand’uomo (temo li abbia confusi con i parlamentari), basterebbe offrire alla Patria una settimana di tintarella e l’economia nazionale ripartirebbe a razzo verso il cielo stellato.
Non intendo guastare i sogni di Polillo ricordando che è inutile produrre di più se poi non c’è nessuno a cui vendere e che oggi il problema non è rappresentato da quelli che fanno le ferie, ma da quelli che non le fanno perché hanno perso il lavoro. Mi limito a prendere spunto dall’ultima uscita «tecnica» per invocare dai rispettabili membri del governo un cambio: se non di marcia, almeno di umore. Sarà vero che arriviamo da un carnevale di vent’anni (anche se la maggioranza di noi nemmeno stava sui carri e applaudiva o fischiava la sfilata dal bordo della strada). Ma non mi sembra una buona ragione per sprofondarci in questa quaresima senza pasque, quasi dovessimo espiare una colpa collettiva. Chi lavora, in Italia, lavora tantissimo. Semmai lavora male, a causa della corruzione e della burocrazia, figlie naturali della cattiva politica. Invece di farlo sentire un verme, gli andrebbe restituita una speranza, mandando in ferie non pagate gli ottusocrati e in carcere i ladri.

Grazie Gramillini, sai cogliere puntualmente nel segno gli aspetti più ridicoli di questa “nostra” classe dirigente, ora ci si mettono anche i tecnici ad essere burleschi.
Paola

Il bivio della politica

Il bivio della politica. di Gian Enrico Rusconi •10-Giu-12 La società civile si sta decomponendo, nel momento in cui tutti parlano in suo nome. Non esiste documento politico o sociale che non faccia riferimento in termini enfatici alla società civile. C’è la rincorsa – urlata – a presentarsi come i veri rappresentanti della società civile. L’indicatore principale è l’antagonismo: contro il sistema partitico, contro la casta dei politici, sino a coinvolgere confusamente l’intero apparato istituzionale e naturalmente la politica sin qui praticata dal governo Monti. Chi fa la faccia più ringhiosa e le spara più grosse è convinto di essere ascoltato. Chi si attiene ad un discorso sobrio e razionale rischia di essere sbeffeggiato. Sarà questa la vittoria della «società civile»? La società civile più che l’interlocutrice, l’interfaccia o il deposito dei valori e delle risorse attivabili per la politica, è considerata e invocata sempre di più come la sua antagonista. O è così soltanto nell’immaginario di chi l’ha sempre sulla bocca? Per non fare confusione, è bene chiarire che non stiamo parlando della società in generale in tutta la sua complessa articolazione, o di quella «società civile» che si sta esprimendo sotto i nostri occhi in questi giorni negli eventi luttuosi legati al terremoto: coinvolgimento, partecipazione, solidarismo, dedizione insieme alle istituzioni. In questi momenti è percepibile quel potenziale di «coesione sociale» (termine che è diventata una formula istituzionale) che dovrebbe essere il segnale del rapporto ottimale tra società civile e sistema politico. Ma non può sfuggire il fatto che proprio in queste circostanze alcune forze politiche, convinte di rappresentare in esclusiva la «società civile», hanno contestato la celebrazione del 2 giugno. Ma c’è il sospetto che dietro agli argomenti avanzati si celino altre intenzioni.
Facciamo un passo indietro tornando alla fase culminante e poi rovinosamente precipitata del berlusconismo. Quella è stata la stagione alta dei movimenti della «società civile» di cui retrospettivamente oggi si colgono i limiti. Dalla famosa e ormai dimenticata manifestazione al Circo Massimo (con Veltroni, se ben ricordo) sino alle altre successive manifestazioni di profilo «civile» più specifico, non si trattava semplicemente di un collettore dell’antiberlusconismo, come si disse. Il berlusconismo intendeva essere una rivoluzione del costume e un modo diverso di concepire la società e la politica, una virtuale mutazione democratica – come ci insegnavano anche seriosi intellettuali che ora si defilano. Contro questa mutazione era inevitabile che si mobilitasse un movimento che si identificava come «società civile», prima ancora che come parte politica. Ma questo era un errore, perché anche quella che credeva nel berlusconismo era «società civile».
Discorso diverso meriterebbe l’ultimo grande movimento, quello delle donne «Se non ora, quando? » la cui successiva dispersione e mancanza di incidenza politica è (stata) una dura lezione molto istruttiva. Se c’era un movimento che poteva avanzare più degli altri il diritto di esprimere valori di «civiltà sociale» trasversali e alternativi all’anima profonda del berlusconismo, era quello delle donne. Proprio per questo è stata clamorosa la sua incapacità di fecondare una nuova politica, una volta che il Cavaliere se n’è andato.
Nel frattempo la «società civile», dispersa e depressa, assiste passiva e apparentemente disarmata all’irruzione sulla scena di chi la solletica in continuazione. Il termine «scena» qui non è un modo di dire. La tanto deprecata «democrazia mediatica» dell’età berlusconiana ha raggiunto paradossalmente la sua maturità. Non c’è più l’intrattenimento politico al servizio di un protagonista principale e della sua corte. Ma il sistema mediatico in tutte le sue forme è il luogo privilegiato della comunicazione politica di massa. La «società civile» è diventata la società degli spettatori o dei fruitori di Internet. Vi si possono vedere tutti: da Mario Monti (più o meno a suo agio) in una Piazza mediatica alle nuove facce – da Beppe Grillo a Roberto Saviano.
In questo contesto è evidente l’ansia con cui si cerca di anticipare – tramite continui monitoraggi demoscopici – l’ipotetico futuro comportamento elettorale. Se da un lato è la conferma che l’appuntamento elettorale rimane in definitiva per tutti l’unico criterio di giudizio della politica, dall’altro è impressionante la dispersione delle forze politiche che parteciperanno alla competizione elettorale – a parte l’immobile montagna delle dichiarazioni di astensione. Al momento è impossibile prevedere quanto significativa sarà la tenuta del Pd, quanto pesante sarà il tasso di dissolvimento del Pdl, e quindi quale sarà l’assestamento delle altre forze che sono già in campo. Ma l’incognita maggiore sarà il presumibile avanzamento del Movimento Cinque Stelle, tanto sicuro di che un ordine di servizio; in risposta il collega, il parigrado o il sottoposto, risponde con una mail per mettersi al riparo da eventuali contestazioni, per «pararsi il c… » (mi si passi l’espressione). La mail non è più parte di una comunicazione biunivoca, bensì tiene il posto della raccomandata, atto che resta, deposizione a futura memoria. In quasi tutte le organizzazioni e aziende la mail ha sostituito il colloquio faccia a faccia, oppure la telefonata, che viene utilizzata tuttora in modo massiccio, ma non per questo scopo (il gossip è per lo più ancora telefonico).
La mail è scritta, perciò resta: verba volant, scripta manent. «Non hai letto, o sé quanto portatore di una strategia politica complessiva ancora troppo confusa (a prescindere dalla punizione esemplare della casta). L’idea che la formula vincente possa essere proprio la combinazione tra voglia di punire e confusione strategica fa rabbrividire. Una cosa è certa: con il passare del tempo e il prevedibile peggioramento della crisi economica, pur di strappare consenso, si farà sempre più forte il radicalismo verbale con proposte dettate dall’emotività anziché da argomentazioni ragionate – compresa l’uscita dall’euro e dall’Ue. L’ultima «pazza idea» di Berlusconi di una zecca italiana dell’euro, anche se subito ritirata, è un segnale da prendere sul serio.
Abbiamo disperatamente bisogno di una forza politica che tenga i nervi a posto, agisca in modo razionale e trasparente e abbia la capacità di convincere la società («civile» è pleonastico) a darle credito. non ti ricordi, la mail che ti ho mandato ieri…? », così ci si apostrofa nelle aziende tra colleghi e collaboratori nelle riunioni (e adesso anche tra genitori e figli, e persino tra coniugi). Le mail sono il perfetto documento della nostra società istantanea che tanto sarebbe piaciuta ad Andy Warhol; sono le polaroid della nuova comunicazione Internet. Lavorare in un’organizzazione complessa come un’azienda è diventato più difficile, e soprattutto più faticoso. Non solo per via delle mail, ma perché le persone si parlano sempre meno in forma diretta e delegano tutto, o quasi, allo scambio di messaggi elettronici. Una forma di deresponsabilizzazione, e insieme una fatica in più. Scrivere è più complesso che parlare e leggere impegna più che ascoltare. Energie sprecate in un mondo che è, sì, istantaneo, ma sempre più mediato da forme comunicative complesse. Le e-mail sono le nostre tavolette d’argilla incise a caratteri immateriali, invece che cuneiformi: pesano meno, ma durano anche meno. E poi si ricordano poco: se ne ricevono sempre troppe. Perché mai dovremmo leggere tutte le e-mail che ci mandano?

Il Giocoliere

Il racconto di Gramillini vero o inventato che sia ci interroga su un valore,  su di una parola che oggi non fa’ certo tendenza: la DIGNITA’  
Eppure in questa giornata abbiamo ricordato uomini e donne che hanno sacrificato la loro vita per la nostra LIBERTA’. Abbiamo celebrato le gesta di giovani che sono stati capaci di sfidare un regime, cantando “Bella ciao”.

Non ce lo dobbiamo mai dimenticare,  cerchiamo di dare sempre dignità al nostro operare quotidiano, sarà sicuramente  un buon modo per iniziare  a cambiare questo nostro martoriato Paese.

 racconto dalla rubrica Buongiorno di Massimo Gramellini.

” Torino, semaforo di largo Orbassano. Scatta il rosso e un giocoliere invade l’asfalto per dare spettacolo ai motorizzati in attesa. Purtroppo non è giornata: una clavetta cade a terra e anche il cappellino, invece di roteare diligentemente lungo la schiena, preferisce andarsene altrove. Lo sguardo avvilito, il giocoliere si piega a raccattare gli attrezzi del mestiere. Un uomo su una moto sta per allungargli la moneta d’ordinanza, ma lui sorride e scuote la testa. «No, grazie. Troppo errore», spiega in un italiano stentato. E anziché fare la questua fra le auto in coda, si rifugia sull’aiuola accanto al semaforo per esercitarsi. Riassumendo: il giocoliere ha rinunciato al compenso perché ha ritenuto la propria prestazione inadeguata, era visibilmente imbarazzato per la figuraccia e invece di sedersi ad aspettare il rosso successivo, magari prendendosela con la sfortuna, ha preferito utilizzare quei pochi secondi di pausa per allenarsi. Ciascuno pensi al proprio ambiente di lavoro e faccia i paragoni che crede. A me basta dare un’occhiata allo specchio per avvertire, al confronto, un pizzico di disagio. L’amico che mi ha raccontato la storia (era l’uomo sulla moto) vorrebbe far ottenere al giocoliere di largo Orbassano la nomina a senatore a vita, con successiva e sollecita ascesa alla presidenza del Consiglio. Perché la sensazione – la sensazione del mio amico, s’intende – è che in momenti come quelli che stiamo vivendo non servano degli esperti, ma dei caratteri ” .

Il bambino e il congiuntivo

 di Massimo Gramellini per La Stampa 20 aprile 2012. Ci dobbiamo occupare ancora una volta di una brutta storia. T., bambino di nove anni iscritto alla scuola elementare «Don Orione» di Milano, va matto per i congiuntivi e i compagni di classe lo isolano dal gruppo, riempiendo la lavagna di battutacce contro di lui. Quando ho letto la notizia nel blog di Flavia Amabile sul sito, ho trattenuto a stento la mia indignazione. Un bambino che ama i congiuntivi! Quanto imbarazzo, quanta vergogna. Quale futuro potrà mai avere un bimbo che, cito ancora dal blog, «è affascinato dalle parole, ne chiede il significato e poi le usa a proposito»?

Se per disgrazia il problema dovesse protrarsi fino all’età adulta, gli sarebbero precluse moltissime attività, a cominciare da quella politica. Avrebbe serie difficoltà anche in televisione e nei giornali. Il congiuntivo non è solo una brutta malattia degli occhi, ma un modo sbagliato di affrontare la vita. Se incominci a parlare bene, poi desideri pensare bene. E magari – orrore – agire bene. Funziona così, purtroppo. Per fortuna i compagni del piccolo mostro stanno cercando di riportarlo sulla retta via con un sistema quasi infallibile: la legge del branco, che tutti conforma e appiattisce al livello più basso e rassicurante. Pare però che il diavoletto cocciuto persista nell’errore. Di questo passo imparerà a memoria i primi dodici articoli della Costituzione e allora per rieducarlo non basteranno più nemmeno i compagni: bisognerà chiamare direttamente il Trota.

I nuovi orfani

“I nuovi orfani” di Massimo Gramellini da La Stampa dell’11 febbraio 2012.
 Da qualche tempo i giornalisti aprono la posta con un moto d’angoscia. Finiti i tempi in cui i lettori si arrovellavano su destra e sinistra. Ora parlano di licenziamenti, debiti, rese esistenziali. Ieri mi ha scritto un uomo di 56 anni: aveva una moglie, un figlio, una piccola attività e un mutuo in banca. Poi l’azienda è fallita, la moglie lo ha lasciato portandosi via il ragazzino e la banca gli ha messo alle costole un’agenzia di recupero crediti. Non sapendo dove andare, è tornato nel grembo di sua madre, che lo ha ripreso in casa con amore e sofferenza perché non è un figliol prodigo ma uno sconfitto della vita.

Quando avevo l’assolutezza dei vent’anni ero un potenziale ministro tecnico che teorizzava la meritocrazia e disprezzava i mediocri, i pigri, i falliti. Mio padre mi accusava di infondere nelle utopie liberali lo stesso fanatismo che comunisti e fascisti mettevano nelle loro. Mi spiegava che il mondo non è abitato da supereroi, che la maggioranza degli uomini è fragile, poco competitiva ed esposta ai venti del destino, e che una società è tale se riesce a garantire anche a costoro un tenore di vita dignitoso. Lo Stato sociale ha rappresentato la trasposizione pratica del discorso di mio padre. Ne abbiamo abusato con sprechi e ruberie.

Ma quell’obbrobrio di buon cuore ci ha tenuti insieme. Ora che si sta estinguendo sotto il peso del debito, milioni di persone si scoprono sole con le loro debolezze, i loro errori difficilmente rimontabili. Non saranno le sferzate di qualche ministro a riscattarle, ma una politica economica che riparta da quel che abbiamo perduto: l’umanità.