Le donne nel Consiglio Comunale di Osimo: Maria AGOSTINELLI in Castellani

Per le donne la partecipazione alla vita politica e sociale della città non è facile. Quando una donna si dedica alla gestione della cosa pubblica deve mettere nel conto che, nella maggior parte dei casi e in misura maggiore rispetto ad un uomo, tale attività si andrà a sommare a quella lavorativa e a quella della cura della famiglia.
L’iniziativa del 2 giugno vuol essere anche questo, un doveroso ringraziamento a tutte noi che negli anni abbiamo compiuto questa scelta nonostante le difficoltà cui sapevamo e sappiamo andare incontro.
Sicuramente 50 anni fa la partecipazione delle donne alla vita politica e sociale era ancora più difficile perchè la politica era degli uomini.

Nel mandato amministrativo 1964 – 1970, sindaco Vincenzo ACQUA, le donne nel Civico consesso osimano erano solo due.
– Flora GIRI eletta dalla lista del PSDI;
– Maria AGOSTINELLI in Castellani  poi anche Assessore alla Pubblica Assistenza

I figli Franca, Franco e Gloria Castellani così mi hanno scritto a ricordo dell’impegno etico , della passione politica della loro madre: Maria (detta Marina) AGOSTINELLI.
Agostinelli 3

Non crediamo che nostra madre conoscesse il discorso di Pericle agli ateniesi ( e agli altri popoli) pronunciato nel 461 avanti Cristo:
Abbiamo una costituzione che non emula le leggi dei vicini, in quanto noi siamo più d’esempio ad altri che imitatori. E poiché essa è retta in modo che i diritti civili spettino non a poche persone, ma alla maggioranza, essa è chiamata democrazia” ……..…..” Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.
Nostra madre, con un vissuto di aderente attiva nell’Azione Cattolica Italiana, nel suo impegno sociale ha dato piena attuazione al significato di “democrazia” interpretando il ruolo di amministratore come un servizio ai cittadini, senza secondi fini, dimostrando che è possibile riporre piena fiducia nello Stato e nelle sue istituzioni, nonostante tutto, avendo un’altissima coscienza civica e morale.
Un esempio che abbiamo avuto la fortuna di avere come Madre.
Franca, Franco e Gloria Castellani

Agostinelli MariaRoma 16 maggio 1965 all’altare della Patria in occasione del ventennale del voto alle donne.
Nostra madre è la terza partendo da destra con la collana al collo

Martedì 2 Giugno ad Osimo festeggeremo la FESTA della REPUBBLICA e il 70° anniversario dell’affermazione del diritto di voto alle donne italiane.

Martedì 2 Giugno con la FESTA della REPUBBLICA in OSIMO celebreremo anche  il 70° anniversario dell’affermazione del diritto di voto alle donne italiane.
Dopo   il Sindaco e la Presidente del Consiglio comunale, prof.Paola ANDREONI,
la professoressa Patrizia CAPOROSSI, Filosofa e Storica delle Donne pronuncerà il discorso celebrativo ricordando i due anniversari della Festa della Repubblica e della conquista del diritto di voto da parte delle donne come eventi tra loro legati.

Verranno ricordate e verrà consegnato un riconoscimento a tutte le donne elette
nel Consiglio comunale di Osimo  dal 1946 ad oggi.

Tra queste ci sono storie di donne che non si dimenticano e che non si devono dimenticare: Gioconda CANALINI, Elena GIORGETTI, Maria Teresa BARBALARGA, Flora, Aumuria,  e le altre, donne che fra mille difficoltà ed impegni hanno dedicato il loro tempo, le loro energie, le loro competenze per la città. 

In qualità di

Presidente del Consiglio comunale
di OSIMO

Vi invito a partecipare alla cerimonia della 

Festa della Repubblica
2 GIUGNO

Martedì 2 giugno 2015 ore 17,30

Piazza Marconi 4, ad OSIMO
in caso di cattivo tempo, all’interno del Teatro La Nuova Fenice 
locandina 2 giugno

Carina l’idea della matita che quando finisce, la pianti nel terreno e nasce una piantina

Si chiama SPROUT, ed è la prima matita eco-sostenibile in grado di diventare una pianta.
Si usa finché non diventa così corta da non poterci più scrivere e non resta altro da fare se non piantarla nella terra. Innaffiatela e dopo appena una settimana vedrete spuntare i primi germogli di una varietà diversa a seconda del seme che vi è inserito.
L’acqua con cui si innaffia la matita scioglie l’involucro biodegradabile che la riveste e nutre il seme in essa contenuto.
spo

Oggi, 24 maggio “…il Piave mormorava”

soldati semplici

La partecipazione alla  Grande Guerra costò all’Italia 530 mila morti e un milione di feriti e mutilati.

” … Sicure l’Alpi, libere le sponde,
e tacque il Piave, si placaron l’onde.
Sul patrio suol vinti i torvi Imperi,

la Pace non trovò né oppressi, né stranieri! “

Eugenio Scalfari: Il conflitto sul potere temporale tra la Curia e Francesco

giornale La Repubblicadi Eugenio Scalfari, • 24-Maggio-15.  Pastoralità, requisito principale della Chiesa. È un po’ di tempo che non scrivo sul Papa e del Papa. Spesso ne cito qualche iniziativa, qualcuna delle frasi che quotidianamente dedica ai fedeli che lo ascoltano; mi è anche capitato di esortare alcuni dei nostri uomini politici a seguirne l’esempio perché Francesco non è soltanto il vescovo di Roma che siede sul soglio di Pietro ma, a mio parere, è il più importante personaggio del secolo che stiamo vivendo.
Oggi però dedicherò a lui quest’articolo. Soprattutto per le parole che ha indirizzato all’assemblea generale della Conferenza episcopale italiana e il giorno dopo, durante la messa da lui celebrata a Santa Marta. Sembra a me che in entrambe queste occasioni papa Francesco abbia fatto un passo ulteriore nella strada intrapresa due anni fa dopo il Conclave che lo elesse.
Un ulteriore passo avanti mentre, dietro l’apparenza di una Curia che lo segue quasi unanime nel suo rivoluzionario rinnovamento della Chiesa, l’opposizione curiale si sta organizzando estendendosi anche ad altre Conferenze episcopali, ad altri cardinali e arcivescovi, specialmente in Europa e nel Nord America.
L’Occidente è molto secolarizzato, aumenta la crisi delle vocazioni, si diffonde sempre più il pensiero laico, il numero dei non credenti, degli indifferenti, della religiosità spersonalizzata.
La reazione della Chiesa a questo fenomeno di distacco è quello di arroccarsi nella tradizione, non soltanto teologica ma anche “politica”: in Europa e in Usa sta emergendo una sorta di “moralismo ” con aspetti di fondamentalismo che hanno come bersaglio Francesco e la sua rivoluzione.
So bene che lui non ama e non si riconosce in questa parola anche perché la sua rivoluzione non è altro che ritrovare le antichissime radici della Chiesa dei primi secoli dell’era cristiana. Da quelle radici l’allontanamento avvenne molto presto e coincise con l’inizio del potere temporale. Francesco sta combattendo da due anni contro quel potere temporale e lo aggancia al Concilio Vaticano II.
Questo è lo scontro in corso e di questo parlerò oggi per chiarirlo anzitutto a me stesso (mettere per scritto i propri pensieri significa soprattutto precisare ed esplicitare ciò che era ancora informe e perfino inconsapevole) e poi a quanti mi faranno l’onore di leggermi.
***
Ho visto pochi giorni fa un vecchio e bellissimo film che ha come protagonisti Robert De Niro e Jeremy Irons ed è intitolato “Mission”. Non starò a raccontarlo, ma in qualche modo ha a che vedere con le dinamiche che papa Francesco ha messo in moto nella Chiesa di oggi.
La sostanza del film è il drammatico scontro tra due missionari gesuiti e le potenze coloniali Spagna e Portogallo nell’America del Sud settecentesca. I due missionari guidano una tribù di nativi in una terra vergine sulle sponde di un fiume e di un’immensa cascata. I nativi indios sono di giovane e giovanissima età e i missionari li hanno convertiti a Dio e civilizzati. Ma questo loro ingresso nella vita civile non piace affatto ai mercanti di schiavi che commerciano in quelle terre traendo dallo schiavismo notevoli ricchezze e non piace neppure alle potenze coloniali europee che sono presenti in Brasile, in Uruguay e in Argentina dei quali il fiume è una via d’acqua comune.
Alla fine un arcivescovo gesuita arriva alla Missione che ormai è diventata un villaggio perfettamente organizzato. L’arcivescovo si compiace con i suoi confratelli per aver civilizzato quegli indios, ma gli impone di distruggere il villaggio e rimandare gli indios nella foresta dalla quale provengono. I due missionari non capiscono quello strano modo di ragionare ma l’arcivescovo gli spiega che se la Missione non sarà rinnegata, il villaggio distrutto e gli indios di nuovo inselvatichiti nella foresta, i soldati delle potenze coloniali stermineranno tutti, missionari compresi. Per di più l’arcivescovo ha timore che i governi di Madrid e di Lisbona facciano pressioni sul Papa affinché sciolga l’Ordine dei gesuiti che sta prendendo nelle colonie dell’America del Sud molte iniziative analoghe a quella Mission. Tutto questo deve essere dunque impedito, evitato, represso.
Questa è la storia che il film racconta terminando con i soldati spagnoli che distruggono il villaggio e uccidono i suoi abitanti compresi i due missionari che hanno rifiutato di obbedire al loro arcivescovo.
Questo episodio non è inventato ma realmente accaduto e il film lo racconta con grande efficacia umana. Lo cito perché, senza ovviamente raggiungere quella sanguinosa drammaticità, un conflitto interno alla Chiesa di oggi si sta verificando ed è ancora una volta motivato da uno scontro tra chi vuole abbattere il temporalismo che domina la vita ecclesiastica da sedici secoli e chi vuole a tutti i costi mantenerlo in nome della tradizione.
Il protagonista di questo scontro è un gesuita eletto Pontefice il quale tra le altre sue iniziative proprio in questi giorni ha beatificato – la cerimonia ieri a San Salvador – l’arcivescovo Oscar Arnulfo Romero che fu ucciso sull’altare mentre celebrava la messa nella cattedrale della sua diocesi di San Salvador trentacinque anni fa dagli squadroni della morte di quel Paese che erano banditi e assassini assoldati dal governo salvadoregno.
La beatificazione di Romero era stata sempre rinviata nonostante le vive pressioni di don Vincenzo Paglia che da molto tempo insiste affinché quel riconoscimento fosse compiuto. Le resistenze erano motivate dal fatto che Romero aveva riconosciuto, aiutato e solidarizzato con gli esponenti della teologia della liberazione, condannati invece e scomunicati da papa Wojtyla per la loro dichiarata simpatia col marxismo e con il ribellismo di Che Guevara.
Papa Francesco queste cose le sa ma ciò nonostante dopo appena due anni di pontificato ha deciso la beatificazione di Romero, il che conferma che i gesuiti “buoni” coltivano dentro di loro lo stesso spirito del fondatore della Compagnia. È vero che ci sono stati anche gesuiti “non buoni” il cui temporalismo raggiunse il culmine proprio nel XVIII secolo in Spagna, in Francia, in Italia. Voltaire e gli Illuministi ne furono gli avversari più fieri bollandoli come reazionari e fautori dell’alleanza del trono con l’altare. Voltaire li definiva infami e quell’infamità raggiunse un tale livello da obbligare la Chiesa a sciogliere l’Ordine che fu poi ripristinato dopo qualche decina d’anni.
I conflitti che agitano la Chiesa si sono verificati anche all’interno della Compagnia. Ma nell’ultimo mezzo secolo la guida di essa è sempre stata riformatrice e moderna, spesso contestata dalla Curia vaticana. Del resto papa Francesco ne è l’esempio più eloquente.
***
La sua allocuzione alla Conferenza episcopale italiana non nasconde alcune differenze tra Francesco e i vescovi riuniti nella sala del Sinodo. Il Papa parla ai suoi confratelli con dolce fermezza e li invita a raggiungere obiettivi nuovi abbandonando quelli ormai non più adeguati al tempo che stiamo tutti vivendo. Ecco alcuni passi che mi sembrano molto significativi.
“Gesù disse: “Voi siete il sale della terra, ma se il sale perde il suo sapore, con che cosa lo si potrà rendere salato?”… È assai brutto incontrare un consacrato abbattuto, demotivato o spento: egli è come un pozzo secco dove la gente non trova acqua per dissetarsi… La sensibilità ecclesiale comporta di non essere timidi o irrilevanti nello sconfessare e sconfiggere una diffusa mentalità di corruzione pubblica e privata che è riuscita a impoverire senza alcuna vergogna famiglie, pensionati, lavoratori, scordando i giovani, sistematicamente privati di ogni speranza nel loro futuro e emarginando i deboli e i bisognosi. La sensibilità ecclesiale si manifesta anche nelle scelte pastorali dove non deve prevalere l’aspetto teoretico- dottrinale astratto; dobbiamo invece tradurlo in proposte concrete e comprensibili… I laici che hanno una formazione cristiana non hanno bisogno del vescovopilota né di un input clericale per assumersi le proprie responsabilità a tutti i livelli, da quello politico a quello sociale, economico, legislativo. Hanno invece tutti bisogno di un vescovo-pastore. Ho fatto alcuni esempi di sensibilità sociale indebolita. Mi fermo qui. Possa il Signore mandarci la gioia di riuscire a render feconda la misericordia di Dio con la quale siamo richiesti di dare conforto ad ogni donna ed a ogni uomo del nostro tempo”.
Un vescovo-pastore: è questo che chiede Francesco e non è la prima volta che insiste sulla pastoralità come il requisito principale della Chiesa. Riflettiamo con attenzione su questo suo linguaggio: nel lessico tradizionale della Chiesa e nella sua struttura organizzativa e sacramentale, il vescovo è il successore degli apostoli, possiede la potestà di “sciogliere o legare” i fedeli, di amministrare i sacramenti, di interpretare e spiegare i misteri della morte e la nuova vita che ci attende nell’aldilà. I preti sono delegati dal vescovo e svolgono per delega le sue stesse funzioni. Ma in tutte le altre sette cristiane protestanti, il vescovo e i sacerdoti sono soltanto “pastori”. E del resto, stando ai vangeli, gli apostoli chiamavano il Signore con la parola ebraica “Rabbi”, cioè maestro, cioè pastore.
Il temporalismo protestante – con l’esclusione degli ortodossi in Russia – è molto debole e quasi inesistente, se non altro perché le sette sono numerose e autonome l’una dall’altra, con scarsissimi poteri di influire sulla politica del Paese in cui operano. Aggiungiamo che tutti i pastori possono sposarsi ed aver figli.
Che Francesco stia operando per avvicinare le sette protestanti alla Chiesa cattolica non è un’interpretazione di chi segue la sua politica religiosa ma è una verità da lui dichiarata e ripetuta continuamente e avvalorata dai contatti continui con le comunità protestanti. Per non parlare della sua politica verso l’Islam: convivenza e amicizia e comuni iniziative perché Dio è unico e quindi non appartiene ad una religione ma a tutte. Questo è il punto di fondo di Francesco e della sua predicazione: Dio non è cattolico, né musulmano, né ebraico. Dio è di tutti. È una rivoluzione rispetto al passato? Mi sembra difficile negarlo e, come tutte le rivoluzioni, pone problemi nuovi ed estremamente ardui da risolvere.
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Il discorso tenuto a Santa Marta potrebbe intitolarsi quello degli addii. Francesco racconta ai vescovi che l’ascoltano l’addio di Gesù e quello di Paolo sulla spiaggia di Mileto. Qui il tono non è quello tenuto alla Conferenza episcopale, perché il vero tema è quello della morte e della resurrezione. Quest’ultima reca gioia, ma l’addio alla vita è soffuso di dolce tristezza ed anche d’un timore – forse inconsapevole – del dubbio.
“Nell’ultima cena – dice Francesco – Gesù si congedò dai suoi discepoli. Era triste perché sapeva di andare alla Passione piangendo nel suo cuore e affidandosi a Dio perché Lui era il figlio, figlio di Dio e dell’uomo, e si affidava a Dio. Ecco qual è il significato dell’addio: a Dio. Anche Paolo si congeda e piange pregando in ginocchio sulla spiaggia di Mileto insieme ai suoi compagni di quella comunità. “Ecco, dice Paolo, io non vedrò più il vostro volto e voi non vedrete più il mio. Per questo piango con voi. Ora lo Spirito mi costringe ad andare a Gerusalemme e non so che cosa mi accadrà. So soltanto che lo Spirito Santo mi attesta che non mancheranno catene e tribolazioni”.
Poi Francesco parla del suo addio. “Bisogna fare un esame di coscienza pensando al proprio congedo dalla vita. Anche io dovrò dire quella parola addio. A Dio affido la mia anima, la mia storia, i miei cari; a Dio affido tutto. Gesù morto e risorto, ci invii lo Spirito Santo perché noi impariamo a dire esistenzialmente e con tutta la forza quella parola: addio”.
Questa, diciamolo, non è una rivoluzione ma una profonda umanità. Verso tutti ed anche verso se stesso. Se c’è una persona in questo secolo che stiamo vivendo degna d’essere presa a modello, questa è Francesco Bergoglio. Lui ha già dato ad una umanità frastornata, avvilita, cinica, corrotta, frustrata, un esempio di dignità che tutti dovrebbero tentare di imitare con sincera riconoscenza.

Evento 'Il Cortile dei Giornalisti'

Alla riscoperta delle vicende umane di giovani osimani durante la Prima Guerra Mondiale: Antonio GIULIODORI

Il 23 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria ed entrò nel conflitto aprendo un nuovo fronte. Ben 100 anni ci separano dal quel triste evento che insanguinò l’Europa e l’Italia. Le ostilità, ebbero termine il 4 novembre 1918 con la firma dell’armistizio.
Il bilancio finale fu di 9 milioni di morti tra i soldati e 5 milioni di morti tra i civili, una guerra fratricida senza precedenti.
Anche la nostra città pagò un amaro sacrificio alla guerra. 365 giovani osimani non fecero più ritorno a casa: giovani, alcuni appena 19enni, le cui vite furono stroncate nei combattimenti cruenti o vittime delle malattie e delle ferite contratte al fronte.

Anche il periodo post bellico fu molto difficile, infatti numerosi reduci tornarono a casa mutilati e invalidi e non poterono riprendere a lavorare a causa delle menomazioni; per loro non era prevista nessuna pensione né indennità. Li attendeva una vita di stenti e la miseria più nera.

A cento anni dallo scoppio del conflitto deve essere per tutti noi doveroso il ricordo verso quei giovani che furono obbligati a lasciare la loro casa, i loro affetti, i loro progetti di vita e le loro povere cose, per andare a combattere in una terra lontana per delle ragioni inesplicabili.

Con questo spirito – perchè le storie non vadano dimenticate e i giovani sappiano ciò che è accaduto affinchè la Storia possa essere davvero Maestra di vita – ho raccolto con commozione, e pubblico, la vicenda umana di Antonio Giuliodori, un osimano come noi che il nipote, Fausto, ricorda così:

Erano troppi in quel casolare a mangiare su poca terra tenuta a mezzadria e Antonio, stanco degli stenti sperando in una vita migliore, partì per l’America del sud. Nel 1908 arrivò a Rio de Janeiro e dopo qualche mese faceva il gaucho nelle pampas argentine ricco per la conquistata libertà e autonomia economica. Solo un problema lo affliggeva e questo problema aveva un nome, Rosa, una moretta che aveva lasciato alle pendici della collina osimana.
Ci pensò e ripensò e con i risparmi di qualche anno di lavoro decise di ritornare per sposare la sua bella per poi far ritorno insieme alle pampas argentine. Così fece. Ritornato a casa, dopo poco si sposò e dopo i soliti nove mesi nacque il suo primo figlio. Questo fece ritardare i suoi programmi di ritorno in America, ulteriormente intralciati dalla malattia che colpì il piccolo Marino, la poliomielite.
Il tempo passava così arrivò il 1915 e come tanti contadini analfabeti come lui fu mandato a fare la guerra. Pochi esaltati e un governo di inetti dichiararono una guerra che la maggior parte della popolazione non sapeva perchè fosse stata dichiarata. Antonio partì e si fece tanti assalti alla baionetta rischiando di morire ammazzato come tanti suoi compagni e questo fino all’inverno del 1916 quando per le disumane condizioni gli si congelarono le dita di entrambi i piedi. Mandato in un ospedale delle retrove fu curato e fu fortunato che non gli amputarono le dita o peggio i piedi.
Arrivò il 1917 e la disfatta di Caporetto per l’inezia dello stato maggiore comandato da Cadorna e ad Antonio ancora convalescente ed invalido fu comandato di ritornare al fronte.
Il contadino analfabeta che aveva affrontato l’oceano e le pampas,conscio della sua invalidità, cercò di far capire ai superiori che non era più in grado di affrontare nuovi assalti e alla completa insensibilità e ragionevolezza di questi rifiutò l’ordine e disertò. “Se vado al fronte con ‘sti piedi mi mandate a moriammazzato“.
Con i suoi piedi sanguinanti partì per tornarsene a casa ma non poteva passare sui ponti perchè controllati e dovette passare a nuoto il Piave in piena con un altro disertore sulle spalle che non sapeva nuotare. A piccole tappe, i piedi disastrati non glielo permettevano, raggiunse fra lo sbigottimento della famiglia le sue colline. A casa si fece crescere i capelli e si vestì da donna lavorando come sempre aveva fatto la sua terra. Quando venivano i carabinieri si nascondeva dentro un mucchio di fascine in cui aveva ricavato un piccolo vano fino a quando poco prima della fine della guerra non lo trovarono.In famiglia si dice che ci fu una spiata da parte di un vicino o semplicemente i carabinieri avevano capito che era tornato dal fatto che la santa donna della moglie era incinta. Fu fortunato.
La condanna a morte per fucilazione a causa della vittoria fu amnistiata e dopo un annetto di galera fu mandato a casa giusto in tempo per mettere al mondo mio padre. Non potè più ritornare alle sue pampas, motivi di famiglia e l’essere pregiudicato glielo impedirono. Continuò la vita di stenti da cui aveva cercato di fuggire attaccandosi alle uniche possibilità che aveva, il buon vino della sua vigna e alla sua Rosa che lo suppliva e scusava sempre.
Del nonno ricorderò sempre i tristi occhi azzurri ed il suo passo lento e cadenzato. Ricorderò le sue bellissime vacche di cui conservava i premi appesi alla parete della stalla vicino all’immagine di sant’Antonio e sul letto di malattia che lo portò alla morte, i suoi piedi sanguinanti ai quali nonna Rosa cambiava le pezzole.
Non c’è da noi l’abitudine di chiamare i figli con i nomi dei nonni ma quando nacque il mio, con orgoglio lo chiamai Antonio come il mio coraggioso nonno disertore.

ps: era tanto che volevo scrivere della guerra del nonno e l’opportunità me l’ha data il tempaccio che mi ha chiuso in casa.
Tutte le notizie sono il frutto di tanti dialoghi fatti con nonna Rosa e i suoi figli. Notizie prese a fatica perchè nonno bevitore, a parte nonna. non aveva presso di loro una buona opinione e si stupivano del mio orgoglioso interesse. Addirittura la figlia Maria me lo ricordò che il nonno beveva quando fece visita per la nascita del mio Antonio. Ricordai a lei le parole che il nonno diceva allo zio che lo sfotteva quando era alticcio : “ma te, capisciò, sei mai stato al porto di Rio de Janeiro?“.
Cara Paola, fai di queste poche righe l’uso che credi, un abbraccio Fausto.

1915

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Nel 1965 entra nel civico consesso osimano la sig,ra Flora GIRI, eletta nelle liste del PSDI

 Un’altra bella storia, quella della professoressa Flora GIRI.
La signora Giri, classe 1923 vive ad Osimo ed è stata, prima di ogni altra cosa una studiosa, una docente, una educatrice. Una professoressa appassionata e amata. E con questa identità forte si è presentata in politica. Parliamo del mandato amministrativo 1965 – 1970.  La signora Flora GIRI, non cercando approdi su lidi comodi e facili, come poteva essere la Democrazia Cristiana  dell’epoca,  scelse di candidarsi con  un partito minoritario, che si rifaceva ai valori della Costituzione e che vedeva in Saragat il suo politico più rappresentativo: il PSDI. Come  persona e  donna  libera, la prof.ssa Flora GIRI  ha vissuto la responsabilità politica come momento “alto” di impegno civile verso la propria città, portando nel civico consesso osimano la sua visione, i suoi principi, il suo stile.
gIRI fLORA 5Sperando che anche Flora possa essere presente il 2 giugno in occasione dell’iniziativa per festeggiare i 70 anni della Repubblica e l’anniversario dell’affermazione del diritto di voto alle donne italiane, pubblico  la sua storia, come la nipote Sara l’ha raccolta e gentilmente inviata.

Parlando con zia Flora sono riuscita a riassumere brevemente le tappe della sua vita.
Sua mamma si chiamava Socci Maria e suo padre Giri Enrico. La mamma è sempre stata una casalinga, il papà invece era un ufficiale dell’esercito (fanteria) che prestò servizio prima ad Ancona, dove zia nacque, e poi a Salerno fino alla morte per causa di servizio nel ’33, quando zia aveva solo nove anni. Questo evento ha cambiato molto la sua vita, sua mamma era incinta del fratello, che poi è stato chiamato Enrico come il padre, e ciò l’ha costretta a responsabilità troppo grandi per una bambina ancora piccola che ha dovuto aiutare la mamma ed essere una seconda madre per il fratellino.
Frequentò le scuole elementari in parte ad Ancona e un po’ a Salerno, poi alla morte del padre tornò ad Osimo dove le terminò alla Bruno da Osimo (la sua maestra era la Tappa, ma non ne ricorda il nome).
In seguito frequentò il Ginnasio per cinque anni, nei quali ebbe quasi tutti gli anni la media dell’8, e dopo la licenza frequentò il Liceo Classico.

Giri compagni di scuolaIn prima fila: Cesare IPPOLITI, Lamberto CANAPA, Ennio NICCOLINI, Liana CANALINI, ….,…., Vera Vici, Righetto RITA, Giuseppe BARTELUCCI,  Paolo PRINCIPI, Ezio MERCURI, Giuseppe GIULIODORI, … FIORENZI, Renato FANESI, Stefania BELVEDERESI, Lucia RICCI, Maria BLASI, M.G. TONNINI, Loris PAGLIARECCI, Renato …., Luigi PIERUCCI.

Dopo la maturità si iscrisse all’Università La Sapienza a Roma, alla facoltà di Lettere Moderne, andando a vivere a Roma ospite di uno zio materno.
A Roma si verificò un altro evento che le cambiò la vita, la guerra. Dovette interrompere gli esami per diverso tempo e tornò ad Osimo dalla famiglia, andando all’Università solo per gli esami.
E’ riuscita comunque a laurearsi. I suoi ricordi della guerra sono ancora molto vivi e precisi. Ricorda i sacrifici fatti e la sensazione di continua paura. Ricorda i fischi e i boati delle cannonate, gli spari mentre andavano a prendere l’acqua alla fonte Magna. Erano due donne sole con un bambino ancora piccolo da proteggere.
Una cosa mi ha molto incuriosito. Mi ha descritto un gioco che i bambini facevano spesso durante la guerra. Raccoglievano i proiettili a terra, li battevano, li svuotavano raccogliendo la polvere da sparo e poi la incendiavano, divertendosi a sentire il botto. Un parente ancora piccolo morì a causa di uno scoppio troppo forte di questi proiettili.
Sempre in questo periodo si ricorda la sensazione della fame, i balconi pieni di schegge. C’era un negozio di cui si ricorda, era l’emporio del sig. Dardani, dove ora c’è il negozio di Ippoliti, vicino a Colonnelli, in cui compravano un po’ di tutto, compreso il materiale per la scuola.
C’erano comunque anche cose belle. Zia si ricorda le feste da ballo che si facevano a casa degli amici, sempre sotto la supervisione attenta dei genitori. Si facevano le raccolte dei soldi per il rinfresco e si offriva la propria casa per divertirsi.
Finita la guerra zia ha atteso di poter dare i concorsi per l’insegnamento, e nel frattempo per aiutare la famiglia fece delle ripetizioni e delle supplenze.
Il concorso che vinse aveva decine di migliaia di partecipanti, superò lo scritto con 24/30 e, per preparare l’orale, rinunciò ad una nomina a Matelica. Diede l’orale a Roma sperando nell’abilitazione, invece l’esame andò benissimo e vinse il concorso, riuscendo ad essere assegnata ad Osimo alla Caio Giulio Cesare, dove ha insegnato per 34 anni (Latino, Italiano, Storia e Geografia).
La scuola è stata la sua più grande soddisfazione. Ci tiene a ribadire che non ha insegnato solo materie scolastiche, ma ha dato ai suoi alunni un’educazione totale, puntando sul rispetto, sull’educazione e sulle emozioni. Ha sempre ricevuto e riceve tutt’ora tanti complimenti e gratificazioni dai suoi ex alunni.
Riguardo alla politica, si ricorda che durante il periodo pre elezioni un pomeriggio si fermò ad ascoltare, in piazza, il comizio di un giovane, Flavio Orlandicandidato per il PSDI, che le piacque molto in quanto condivideva le sue idee e, a suo modo di vedere, corrispondeva alle sue ambizioni e a quelle degli italiani, occupandosi sia degli operai che del ceto medio. Si andò a complimentare con lui e parlarono un po’, finché lui le propose di candidarsi come capolista del suo partito. Lei ci pensò e decise di accettare, con l’appoggio dei suoi familiari.
Non riuscì a raggiungere tutti gli obiettivi prefissati in quanto c’era una larga maggioranza democristiana, ma trovò comunque molti riscontri positivi. Il rapporto con i colleghi uomini erano normali e corretti, c’era molto rispetto e le decisioni venivano sempre prese insieme.
Con l’unificazione con i Socialisti durante il mandato, Corona richiese il suo spostamento al Partito Socialista, ma rifiutò. Nel secondo mandato si candidò su richiesta dei colleghi, però non era determinata per problemi di salute della mamma e per impegni sempre crescenti della scuola a cui si dedicò con il massimo dell’impegno, per cui si dimise.
Il suo interesse per la politica non si è mai spento. Tutt’ora è molto appassionata, il televisore è sempre acceso sul canale delle informazioni e spesso, anche con noi nipoti, ha delle accese discussioni sulle cose belle e meno belle di questo periodo storico. Ascolta e si documenta su tutti gli schieramenti politici, indipendentemente da ciò che corrisponde alle sue idee e, cosa curiosa, tiene sul tavolo la Costituzione, che sfoglia quotidianamente scoprendo tante, tante irregolarità dei nostri tempi. Pensa che al giorno d’oggi ci siano gravi carenze sul diritto alla democrazia e ribadisce che il Governo deve essere scelto dal popolo.

gIRI fLORA 2Con gli ex compagni del Ginnasio

Lutto nei Vigili del Fuoco di Osimo, ci ha lasciati il comandante Settimio Sbaffo

Per i caschi rossi osimani  oggi è un giorno di lutto, ci ha lasciati Settimio SBAFFO, già comandante del distaccamento  dei Vigili del Fuoco di Osimo. Settimio ha guidato ed ha rappresentato il Corpo dei Pompieri osimani per 23 anni  dal 28 maggio 1964 al giorno della meritata pensione, il 2 febbraio 1987.
Sempre cordiale, disponibile e determinato, Settimio SBAFFO da comandante dei pompieri di Osimo ha ricevuto encomi istituzionali per la partecipazione alle tante  emergenze dal terremoto in Friuli a quello dell’Irpinia del 1980. Se oggi ad Osimo opera una funzionale caserma dei vigili del fuoco è grazie anche all’infaticabile impegno e determinazione del comandante  Settimio.
Mi unisco al cordoglio per la sua scomparsa ed esprimo  le più sentite condoglianze alla famiglia ed ai suoi colleghi del Corpo dei Vigili del fuoco di Osimo.

Paola

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Canalini Gioconda in Carloni: consigliera comunale nel mandato 1946-1951 a soli 25 anni

Ho ricevuto questa bella lettera da parte di Carloni Maria Teresa, figlia della professoressa CANALINI Gioconda ( mia cara prof. all’Istituto Corridoni). La professoressa Gioconda CANALINI all’età di 25 anni, nel mandato 1946 – 1951, è stata una delle prime consigliere comunali del nostro Civico Consesso. Ricordare in questa occasione questa donna e questa grande professoressa che è ancora nel cuore e nella mente di molti di noi studenti della Ragioneria è per me motivo di onore e di grande commozione.

 Paola mi ha chiesto di parlare di mia madre che fu eletta consigliera comunale ad Osimo nel 1946. Né io, né mio fratello né i miei cugini sapevamo dell’avventura di mamma nel primo consiglio comunale di Osimo eletto a suffragio veramente universale.
Le donne in Italia diventarono finalmente “cittadine” solo nel 1946 dopo aver partecipato alla resistenza e alla lotta di liberazione dal nazi-fascismo.
Mamma ha sempre parlato molto e credevamo di sapere tutto, al contrario mi rendo conto che i figli sanno molto poco dei loro genitori, che troppo spesso non hanno ascoltato e quando avrebbero voluto sapere era troppo tardi.
Moretti nel suo ultimo film “Mia madre” esprime bene questo senso di inadeguatezza verso una madre pur molto amata e come alla fine i figli debbano concludere che non la conoscevano davvero.
Gioconda Canalini nasce nel 1921 in pieno regime fascista e ci raccontava sempre il tema di italiano dell’ esame del IV ginnasio “..e tutto che al mondo è civile, grande, augusto, egli è romano ancora” ( Carducci) e ne sottolineava la logica nazionalista.
Da ragazzina era una ribelle alle regole, ai comportamenti che riteneva conformisti, sbagliati e classisti. Famose (in famiglia) le sue battaglie scolastiche contro alcuni professori che avevano atteggiamenti diversi verso gli studenti a seconda della classe sociale di appartenenza.
Non era facile ed usuale in quegli anni avere sette in condotta, ma lei ci riuscì.
E’ stata tra le prime ad iscriversi alla facoltà di Filosofia ed era molto orgogliosa del numero 6 del suo libretto universitario.
Ho appreso solo in questi giorni che si presentò alle prime elezioni comunali dopo la liberazione e che fu eletta e che lo fece con la parte giusta, con quella parte che ci permise di liberarci dal fascismo e che contribuì a scrivere la più bella carta costituzionale.
Dai resoconti comunali ritrovo nomi di amici di famiglia che conoscevo bene come Canapa, Volpini e apprendo come per coerenza ad un forte senso di giustizia e al ruolo istituzionale ricoperto si dimisero.
Dopo la guerra non potendo partecipare a concorsi pubblici ( tra lo scritto e l’orale passarono quattro anni) non esitò ad iscriversi ad una scuola di taglio per poter confezionare i vestiti per sé e per i figli e cominciò a dare ripetizioni private. Cominciò poi a fare scuola, prima all’ Avviamento Professionale, poi alle Medie, quindi all’ Istituto Nautico per finire all’ Istituto per Ragionieri.
Ha continuato per anni a dare lezioni private in tutte le materie.
Il senso di ribellione che aveva da ragazzina si maturò in un fortissimo senso della giustizia e non esitò mai a prendere posizione in difesa dei più deboli.
Non era donna di compromessi, rivendicava per sé e per le altre donne il diritto al lavoro come realizzazione di sé e creazione di storia collettiva, il diritto alla parità tra uomini e donne.
Nel ’68, forse un po’ influenzata da noi figli e dal suo trasferimento in una scuola media di Roma nel quartiere popolare di Primavalle, comprese ed aderì a molte delle idee di quegli anni, la critica al consumismo, all’ autoritarismo, per la liberazione femminile.
Condivise la battaglia per il divorzio e per la legge 194.
Né lei né il marito riuscirono mai a capire il successo di Berlusconi: fino a poco prima di morire si chiedeva come ci si potesse affidare ad un imprenditore che parlava in modo così rozzo, così demagogico, che prometteva e non manteneva.
E’ stata per tutta la vita una donna forte, volitiva, capace di grandi sacrifici.
Questa sua durezza anche verso sé stessa a volte la rendeva implacabile nei giudizi e non sempre riusciva a comprendere e a scusare le debolezze degli altri.
Fino all’ ultimo non ha voluto pesare su noi figli, ha scelto lei di andare in casa di riposo e ha rifiutato l’ospitalità in casa nostra.
Ha amato moltissimo suo nipote Riccardo che ogni settimana andava a trovarla per farle piccoli lavoretti e a conversare.
Sempre lucida, partecipe ed attenta aveva parlato con me la sera per vederci il pomeriggio del giorno dopo.
Non ci siamo viste: è morta la mattina.
Pilli “

Gioconda Canalini

Hanno aggiunto un commento su Fb:
Anna Maria Giorgetti: “Pilli, conoscendo te, come amica di scuola, e mamma, come collega, non ti nascondo che nel leggere la tua lettera mi sono commossa. Ciao“.
Daniela Eusepi: “Ho conosciuto molto bene la signora Gioconda e devo dire che il racconto della figlia mi ha portato indietro nel tempo e nei ricordi… Non mi stancavo mai di ascoltarla, una donna profonda , umana, vivace, scherzosa e allo sesso tempo tagliente… Per me un esempio…
Maria Gabriella
Nardini: “Pilli carissima, tramite Paola Andreoni, ho potuto leggere la lettera su tua mamma…che dire? Questa mattina ho avuto brividi di commozione perchè mi hai fatto ricordare tante cose: dal periodo delle medie quando mamma tua mi seguiva in matematica ad oggi; (ricordo quel tavolo della cucina dove, di solito eravamo due o tre e tu, piccolina, tenevi testa a tutti e mamma si arrabbiava quando facevamo errori..) Poi, dopo diversi anni, siamo diventate colleghe al ragioneria del Corridoni. Ho sempre ammirato Gio sia per la sua intelligenza che per il suo modo di fare: soltanto tu potevi descriverla così bene! Mi hai fatto rivivere tanti momenti con lei, comunque belli, anche quando non riuscivo a risolvere subito un’equazione e lei si spazientiva!! Ho avuto sempre una simpatia per il suo modo di fare: per certi aspetti mi ci rivedo un po’!! L’amerò sempre: persone di tale spessore non si dimenticano… ciao Pilli..Grazie ancora e grazie anche a Paola che l’ha pubblicata. Mitica la foto: intravedo altri miei colleghi…..bei tempi!!!!!! ”

1946 candidati prime elezioni amministrative

1946 ELETTI

Anche questa è SCUOLA.

Con grande mia sorpresa e meraviglia sono stata testimone di come il regista Matteo Mazzoni, i solisti dell’Accademia d’Arte Lirica, la maestra del coro Rosa Sorice, il direttore dell’orchestra Alessandro Benigni e tutti gli altri protagonisti della della Carmen di Bizet, sono riusciti a far scoprire ed apprezzare ai ragazzi adolescenti della “Caio Giulio Cesare” il canto e l’Opera Lirica.
I ragazzi in due giorni di prove hanno potuto vivere sulla propria pelle l’esperienza affascinante del percorso di formazione che conduce alla messa in scena di una vera opera lirica: partecipare attivamente alle prove con artisti professionisti, confrontarsi con i tempi e gli spazi previsti, ascoltare in silenzio e con disciplina alle indicazioni della bravissima e paziente maestra del coro, del regista e del direttore d’orchestra, apprezzare i ruoli degli addetti ai suoni, alla scenografia, ai costumi, a collaborare con un gruppo offrendo loro l’ opportunità di mettersi alla prova e sperimentare una vera e propria crescita personale.
La mia grande soddisfazione attorno a questo progetto è aver visto che il Teatro La Nuova Fenice, l’Accademia Lirica osimana con i suoi bravissimi allievi riescono davvero a svolgere una funzione educativa, un luogo di educazione e formazione per lo spettacolo e la creatività, non solo musicale ma anche e soprattutto umano. Anche questa è SCUOLA.

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Finite le prove generali: Sabato 16 e Domenica 17 maggio al Teatro “La Nuova Fenice” sarà CARMEN di Bizet

prove generaliTerminate le prove generali anche i nostri ragazzi della Caio saranno tra i protagonisti  della prima esecuzione della rilettura della CARMEN di Bizet, dalla novella di Mérimée con la nuova strumentazione per ensemble a cura di Alfonso Martone. Un omaggio a Bizet e ai 140 anni dell’opera divenuta icona pop dei nostri giorni, in un nuova nuova commissione e nuovo allestimento dell’Accademia d’Arte Lirica di Osimo.
CarmenIl Teatro “La Nuova Fenice” apre alla lirica con due serate di altissimo valore  con un’opera, La Carmen, che coinvolge moltissimo oltre che per la musica, per la sua spettacolarità visiva.

Tutta la mia vicinanza alla famiglia di Giuliano Trozzo, l’operaio morto a San Biagio

luttoLa mia più sentita vicinanza alla famiglia di Giuliano Trozzo, l’operaio deceduto ad Osimo mentre lavorava all’interno della sede aziendale dell’Astea di via Romero a San Biagio.
Sento di dover chiedere scusa, come donna delle istituzioni, alla  famiglia che subisce una perdita così grave perché un uomo che stava lavorando non tornerà più a casa.
Voglio augurarmi che quanto accaduto sia frutto solo di una tragica fatalità. Morire di lavoro è qualcosa che non possiamo assolutamente accettare in un Paese moderno e civile.

Paola

Eugenio Scalfari: L’inghilterra, l’Europa, Ciampi, Napolitano e Narciso

giornale La Repubblicadi Eugenio Scalfari, • 10 Maggio 2015.  Gli effetti delle elezioni in Gran Bretagna
Dunque il voto a sorpresa del Regno Unito. Anzi della Gran Bretagna. Anzi del Regno federale d’Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord. Questo è l’esito reale del voto di giovedì scorso mentre l’apparenza è la vittoria piena dei conservatori sui laburisti, i liberaldemocratici e gli antieuropeisti dell’Ukip che hanno un seggio avendo però con loro il 12,6 per cento dell’elettorato (effetto negativo dell’uninominale che mortifica i partiti che hanno una presenza decente ma territorialmente dispersa). Il vincitore Cameron deve ora fronteggiare, con calma ma avendo ben chiare le finalità che persegue, due problemi: il primo è il modello federale e in particolare il rapporto con la Scozia e l’Irlanda; il secondo è il confronto con l’Europa. Quest’ultimo evidentemente richiede che anche l’Europa chiarisca a se stessa e al mondo quali sono le sue finalità, senza di che negozierebbe alla cieca con l’ex Regno Unito. Sulla Repubblica di ieri c’è un articolo illuminante di Timothy Garton Ash che segnala tra tante altre cose una riforma costituzionale che molti politologi ed anche molti uomini politici di varia collocazione stanno considerando: trasformare la Camera dei Lord in un Senato eletto col sistema proporzionale in tutto l’ex Regno Unito che sarebbe il Parlamento di tutto il Regno federale, mentre la Camera dei Comuni sarebbe soltanto il Parlamento inglese, così come esiste già un Parlamento scozzese e un relativo governo. Avrete già notato che la parola regno compare in tutte le varie ipotesi di trasformazione e di denominazione dell’attuale Regno Unito.
Ciò vuol dire che la Monarchia e la sua Regina (o Re) rappresentano il simbolo unico dello Stato federale così come l’eventuale Senato sarebbe l’organo che dà la fiducia al premier dello Stato federale; un premier che può essere nato in uno qualunque dei Paesi federati e che avrebbe come poteri la responsabilità politica della Federazione, e quindi la politica estera, la difesa militare, la giustizia, la politica economica e sociale, lasciando ai primi ministri degli Stati membri della Federazione tutti i problemi locali che li riguardano. Insomma dei governatori come esistono e operano negli Usa. Tutti questi sviluppi sono ancora ipotetici, anche perché Cameron farà di tutto per limitare gli effetti di quanto è accaduto col voto di giovedì che ha visto la sua piena vittoria di conservatore e contemporaneamente la piena vittoria del partito nazionale scozzese, con simpatie laburiste. Cameron dovrà certamente accrescere l’autonomia amministrativa dei Paesi che compongono l’attuale Regno Unito ma tenterà di evitare l’autonomia politica. Ci riuscirà? Molto dipende anche dai nuovi rapporti che avrà con l’Europa nonché l’evoluzione della stessa Europa, altro tema ancora in gran parte da affrontare.
* * *
Segnalo a questo proposito un documento firmato dai presidenti della Repubblica emeriti Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano in occasione della nascita della Comunità europea del carbone e dell’acciaio voluta da Schuman 65 anni fa: il seme dell’Europa che è ormai un’Unione politica ed economica con 28 Paesi membri, 19 dei quali dotati di una moneta comune. Il documento, che si rivolge alle istituzioni e ai popoli dell’Europa, contiene un passo di particolare importanza che qui desidero citare: “Tutto conduce alla conclusione che l’Europa – per crescere economicamente e progredire socialmente rendendo operanti i suoi valori per riaffermare la sua identità e il suo ruolo nel mondo – non ha dinanzi a sé altra strada che quella di una sempre più stretta integrazione, di una sempre più stretta unione in senso politico tra i suoi Stati e i suoi popoli”. Chi ha diffuso questa sorta di manifesto politico di stampo europeista sono due nomi che, sommando insieme i loro periodi di permanenza al vertice del Paese (come presidente del Consiglio e poi della Repubblica Ciampi e come capo dello Stato eletto per due volte di seguito Napolitano) totalizzano continuativamente diciassette anni, terminati con l’elezione di tre mesi fa di Sergio Mattarella. Due uomini che avevano già dato il meglio di sé per il bene comune fin dagli anni Ottanta del secolo scorso, conosciuti per l’opera loro in Italia, in Europa, in America, le cui parole oggi sul destino dell’Europa sono quindi della massima importanza e del massimo peso. In una società globale come quella in cui viviamo l’Europa non può che trasformarsi da Unione confederale quale tuttora è, in Unione federata con le relative cessioni di sovranità dei singoli Stati membri nella politica fiscale, nel bilancio e nel debito, nella politica estera, nella difesa, nella giustizia, nell’immigrazione e nella politica sociale. L’attuale Regno Unito, quale che sarà il suo futuro assetto, non vorrà annettersi agli Stati Uniti d’Europa, ma dovrebbe altrimenti andrà incontro al destino di piccola potenza, priva di qualsiasi influenza sulla società globale dei Continenti diventati Stati. Dovrebbe, se non vuole chiudersi in una casetta divisa per di più in un condominio di piccoli appartamenti di fronte a sei o sette immensi grattacieli. Winston Churchill lo disse nel 1948 preannunciando che la sorte dell’Union Jack era quella di entrare in un’Europa unita oppure come cinquantesima stella della bandiera americana. Altra via non c’è, il condominio darà solo strettezze economiche e declino politico.
* * *
Ed ora veniamo alle nostre piccole cose (ma per noi assai importanti) anche se (o proprio perché) di livello condominiale. A quel livello la domanda che molti si fanno e ti fanno è se Matteo Renzi ti sia simpatico ed abbia la tua stima oppure no e perché. Per quanto mi riguarda l’ho già detto più volte, in privato e in pubblico rispondendo a bravissimi conduttori televisivi come Giannini, Floris, Gruber, Annunziata: come persona mi è simpatico e gli riconosco un’eccezionale bravura nella capacità di propagandare il suo prodotto e la sua figura. Più bravo addirittura di Berlusconi che fino al suo arrivo sembrava imbattibile. Diciamo che ha carisma, cioè capacità di convincere e di manovrare. Il carisma si muove a vari livelli e con varia intensità. Robespierre aveva carisma, Napoleone aveva carisma, Lenin aveva carisma e, venendo a casa nostra, l’avevano Cavour, Mazzini, Garibaldi, Mussolini, De Gasperi, Togliatti, Fanfani, Moro, Berlinguer. E anche Renzi. Vedete a quanti livelli e con quali diversi personaggi il carisma si manifesta. Invece per Renzi uomo di governo o statista che dir si voglia non ho grande stima anzi ho dentro di me un sottile ma persistente e crescente sentimento di antipatia. Cerco di vincerlo ma finora non ci sono riuscito anche perché le motivazioni non mancano e mi sforzo di verificare che siano obiettive. Oggi però la motivazione obiettiva mi induce a riconoscergli che sul tema degli immigrati, del tentativo di pacificare la Libia e d’intervenire nei Paesi subequatoriali dell’Africa, Renzi è riuscito a smuovere Juncker a condividere quest’obiettivo. Nei prossimi giorni Juncker dovrà ottenere l’appoggio della Commissione di Bruxelles da lui presieduta, del Parlamento di Strasburgo (Schulz che lo presiede è già d’accordo) e poi del Consiglio europeo. Qui, dove i 28 Stati membri sono rappresentati dai capi dei rispettivi governi, l’appoggio è molto dubbio anche se la Germania e la Francia concordano con Juncker e con Renzi. Lui comunque quello che poteva l’ha fatto e anche la Mogherini sta lavorando bene.
Quanto a tutto il resto però il mio dissenso permane e anzi direi che è in fase di ulteriore aumento: sulla legge elettorale, sulla riforma del Senato, sui pericoli d’una tentazione autoritaria che da quelle leggi promana, sulla mancanza di leggi concernenti la creazione di nuovi posti di lavoro e quindi di nuova occupazione, sulla mancanza di contatti con i sindacati dei lavoratori, sulla legge per la riforma della scuola. Infine, essendo lui anche segretario del suo partito, sulla spaccatura del Pd a causa della cancellazione dei valori della sinistra per la tutela dei quali il Pd è nato. Il partito di Renzi è ormai di centro e si propone come tale; aspira a monopolizzare il potere. Marc Lazar, politologo francese e nostro collaboratore, in un articolo di giovedì ha definito queste riforme dello Stato di stampo renziano ma in corso anche in altri Paesi europei, come democrazia esecutiva anziché parlamentare. Perfettamente esatto secondo me. Non c’è un pericolo per la democrazia ma una sua trasformazione da parlamentare ad esecutiva. Il potere esecutivo stabilisce i fini e appronta i mezzi. E in quella parlamentare i fini li stabilivano il Parlamento e il governo possedeva gli strumenti per realizzarli. Ebbene, questa trasformazione a me non piace affatto e debbo dire che non è neppure più una democrazia, a rifletterci bene. Una democrazia esecutiva è un gioco di parole perché demos significa popolo sovrano e come si esprime il popolo sovrano se non con una rappresentanza proporzionale in un Parlamento che non sia una dépendance del potere esecutivo? Molte persone e anche rappresentative di forze politiche e sindacali, stanno pensando di astenersi dal voto o di votare scheda bianca sperando che nel frattempo rinasca una sinistra moderna, cambiata, ma ancora legata ai valori di libertà ed eguaglianza. Spero anch’io che questo avvenga o che Renzi torni sui suoi passi sconsiderati. Altrimenti non saranno i democratici ad abbandonarlo, ma lui ad averli abbandonati. A volte Narciso può giocare pessimi scherzi.
P. S. In una lettera al Corriere della Sera di ieri Silvio Berlusconi ha criticato severamente i capi di governo occidentali che non sono andati alla sfilata di Mosca voluta da Putin per festeggiare la vittoria della seconda guerra mondiale contro il nazismo. “Non bisogna isolare la Russia spingendola verso l’Asia, bisogna invece avvicinarla all’Europa se non vogliamo che sia l’Europa ad essere isolata”. Così ha scritto Berlusconi. Si può anche ricordare che lui con Putin ha un’amicizia personale di dubbia qualità che potrebbe averlo indotto a questa pubblica esternazione. Ma quali che siano le possibili ragioni che l’hanno spinto a questa pubblica uscita, Berlusconi ha ragione? Non vi sembri strano, ma anch’io la penso così.

Evento 'Il Cortile dei Giornalisti'

9 maggio nel ricordo e nell’esempio di chi non si è lasciato intimorire: Giuseppe IMPASTATO e Aldo MORO

 

Giuseppe ImpastatoSei andato a scuola, sai contare?
Come contare?
«Come contare», uno, due, tre, quattro. Sai contare?
Sì, so contare.
E sai camminare?
So camminare.
E contare e camminare, insieme, lo sai fare?
 Sì, penso di sì…
Allora forza. Conta e cammina. Dai. Uno, due, tre, quattro, cinque,
sei, sette, otto…
 Dove stiamo andando?
Forza, conta e cammina! […] ottantanove, novanta,
novantuno, novantadue…
 Peppino…
Novantatré, novantaquattro, novantacinque, novantasei,
novantasette, novantotto, novantanove e cento!
Lo sai chi c’abitaqua?
Ammuninne
Ah, u’zu Tanu c’abita qua! Cento passi ci sono da casa nostra,
cento passi!

Articoli correlati:
Grazie alla mozione presentata da PD e SeL, anche Osimo dedica una via a Peppino Impastato;
– Aldo Moro e Peppino Impastato;

Il Nepal ha un disperato bisogno del nostro aiuto

Sono tante le organizzazioni che si stanno impegnando nella raccolta di fondi a favore della popolazione del Nepal dopo il devastante terremoto che ha colpito il paese. La mobilitazione delle ong nazionali ed internazionali è davvero imponente. Molte di queste erano già operative sul posto, altre sono arrivate fra enormi difficoltà per portare soccorsi e mezzi di prima necessità, come acqua, cibo e medicinali. In molti casi le organizzazioni non governative sono l’unica possibilità di sostegno per i sopravvissuti al sisma. È possibile contribuire attivamente agli aiuti attraverso donazioni. Per chi intende dare un aiuto, non importa quanto grande, ecco una piccola guida per donare in modo sicuro a enti, ong, onlus, associazioni che partecipano alla macchina dei soccorsi. Il Nepal ha un disperato bisogno di aiuto.
Nepal

AGIRE
Agire, l’Agenzia italiana di risposta all’emergenza, è una rete di dieci organizzazioni (ActionAid, Amref, Cesvi, Coopi, Gvc, Intersos, Oxfam, Sos villaggi dei bambini, Terre des hommes, Vis) che si è attivata subito per coordinare gli interventi di assistenza alla popolazione. Quattro delle ong aderenti al network – ActionAid, Cesvi, Oxfam, e Sos Villaggi dei Bambini sono presenti in Nepal già dalle prime dopo il sisma.

Il modo più semplice e rapido per fare una donazione ad Agire è tramite carta di credito: basta collegarsi al sito http://www.agire.it/ e seguire le istruzioni. Altrimenti, sempre per donare con carta di credito, si può chiamare il numero verde 800.132.870800.132.870 (dal lunedì alla domenica, ore 9-19).
In alternativa si può fare un bonifico in banca oppure un versamento (o un bonifico postale) alle Poste.
IN BANCA Sul conto corrente della Banca Prossima IT79 J 03359 01600 100000060696 Causale: Emergenza Nepal
ALLA POSTA Versamento con bollettino postale sul conto corrente n. 85593614 intestato a AGIRE ONLUS – 1, via Aniene 26/A – 00198 Roma Causale: Emergenza Nepal o con bonifico postale IBAN: IT 79 U 07601 03200 000085593614 Causale: Emergenza Nepal

È possibile donare anche presso tutti gli sportelli Bancomat del gruppo Intesa Sanpaolo. Dopo aver inserito la carta, si deve andare su AVVISI SMS DONAZIONI E ASSEGNI, poi ancora DONAZIONI e infine scegliere AGIRE e l’importo della donazione. Infine per le piccoli donazioni, che sono comunque importanti, è stato istituito un numero solidale, il 45591. Con un sms si dona 1 euro da cellulari Tim, Vodafone, Wind, Tre, Poste Mobile e Coop Voce e si donano 2 euro da rete fissa Telecom Italia, Fastweb, Vodafone e TWT.
L’sms solidale è attivo fino al 10 maggio.

MEDICI SENZA FRONTIERE
Anche l’associazione premio Nobel Medici senza Frontiere accetta donazioni online tramite carta di credito: basta collegarsi al sito www.msf.it e seguire le istruzioni. Oppure si possono comunicare i dati della carta chiamando il numero verde 800996655 oppure telefonando in ufficio al numero 06 88 80 64 7106 88 80 64 71.
Sono possibili anche in questo caso altre modalità:
ALLA POSTA. Chi lo preferisce, può fare un versamento postale sul conto corrente postale n°87486007 intestato a Medici Senza Frontiere Onlus, via Magenta 5, 00185 Roma (Tutti coloro che hanno un conto BancoPosta e vogliono effettuare la donazione con conto corrente postale online possono uilizzare la seguente codeline: 000000039139830182)
IN BANCA. Si può fare un bonifico a favore di Banca Popolare Etica – IBAN: IT58 D 05018 03200 000000115000 (sul sito si può scaricare il modulo ).
Msf accetta anche assegni: in questo caso bisogna scaricare il modulo dal sito e poi compilare un assegno bancario non trasferibile con la cifra che si desidera donare e inviarlo in busta chiusa a Medici Senza Frontiere, via Magenta 5, 00185 Roma.

UNHCR
Anche il fondo Onu per i rifugiati – in sigla Unhcr – accetta donazioni con varie modalità: innanzitutto tramite carta da credito, online collegandosi a http://www.unhcr.it/ oppure telefonando al numero verde 800298000
IN BANCA. Si può effettuare un bonifico bancario intestato a UNHCR – Via Caroncini, 19 – 00197 Roma. IBAN: IT84R0100503231000000211000 (Banca Nazionale del Lavoro).
ALLA POSTA. Si può donare tramite bollettino postale sul conto corrente postale intestato a UNHCR – numero 298000.
Per qualsiasi dubbio o informazione, il Servizio sostenitori risponde alle domande fatte tramite e-mail all’indirizzo itarodon@unhcr.org , oppure al numero verde 800.298.000800.298.000 (dal lunedì al venerdì, ore 9-20), oppure via fax al numero 06 80 212 324, oppure per lettera indirizzata al Servizio sostenitori, UNHCR – Via Caroncini, 19 – 00197 Roma

CARITAS
Il modo più semplice per donare alla Caritas è online attraverso carta di credito: basta consultare il sito http://www.caritas.it/ e seguire le istruzioni.
ALLA POSTA. E’ possibile anche fare un versamento postale sul conto corrente numero 347013 intestandolo a Caritas italiana, via Aurelia 796 – 00165 Roma, specificando nella causale Asia/Terremoto Nepal.

SAVE THE CHILDREN
Anche Save the Children, organizzazione che si occupa soprattutto di bambini, è impegnata a favore del Nepal.
Chi lo desidera può donare online in modo sicuro tramite carta di credito o paypal collegandosi al sito http://www.savethechildren.it/ oppure telefonando al numero verde 800 98 88 10800 98 88 10. Per altre informazioni si può chiamare il numero 06.4807.007206.4807.0072

UNICEF
Per l’emergenza Nepal UNICEF Italia e World Food Programme (WFP) Italia hanno lanciato un numero solidale per donare 1 euro da rete mobile e 2 euro da rete fissa.
È possibile donare con un sms al 45596 da cellulare Tim, Vodafone, Wind, 3, PosteMobile e CoopVoce oppure si può chiamare lo stesso numero da rete fissa da Telecom Italia, Fastweb, Vodafone e Twt.
Naturalmente si può donare all’Unicef anche online attraverso carta di credito collegandosi al sito http://www.unicef.it

CROCE ROSSA
Anche per sostenere gli interventi di soccorso del Movimento internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa attraverso la Croce Rossa Italiana, sono possibili varie modalità.
Il modo più rapido è fare una donazione online tramite carta di credito collegandosi al sito http://www.cri.it/ e seguendo le istruzioni, oppure si può andare in banca o alla posta.
IN BANCA . Si può donare mediante bonifico su conto corrente bancario Codice IBAN: IT19 P010 0503 3820 0000 0200 208 intestato a: ” Croce Rossa Italiana, Via Toscana 12 – 00187 Roma” presso Banca Nazionale del Lavoro – Filiale di Roma Bissolati Tesoreria – Via San Nicola da Tolentino 67 – Roma Indicare la causale “Emergenza terremoto Nepal 2015” (Per donazioni dall’estero codice BIC/SWIFT: BNL II TRR)
ALLA POSTA. Donazioni mediante conto corrente postale n. 300004 intestato a: ” Croce Rossa Italiana, via Toscana 12 – 00187 Roma” Indicare la causale “Emergenza terremoto Nepal 2015”.

Grazie !: 250.000 visite

Immagine1Oggi questo blog ha superato il  traguardo delle 250.000 visite da quando è stato aperto, l’11 giugno del 2008.
Mi sento quindi in dovere di ringraziare tutti gli internauti che hanno ritenuto di spendere qualche minuto del proprio tempo leggendo le pagine del mio blog; spero di esservi stata utile e di continuare a scrivere articoli e sollecitazioni  interessanti.
GRAZIE a tutti voi!….continuate a restate in ascolto!
Paola Andreoni

Ritratti di Osimani: Sante GRACIOTTI

Sante Graciotti

Sabato 9 maggio sarà presentato il libro “La Dalmazia e l’Adriatico” dell’illustre professore Sante GRACIOTTI.

Il Professor Sante GRACIOTTI. è un personaggio illustre della nostra città.  Nato in Osimo il 1° dicembre 1923 è stato Docente di Filologia slava, Professore emerito dell’Università degli studi di Roma “La Sapienza”,  ed Accademico dei Lincei.
Molti anche i riconoscimenti cattedratici e umanistici conseguiti dal Prof. Sante GRACIOTTI

Un uomo di grande cultura al  quale il  Comune di Osimo vuole rendere pubblico omaggio  sabato 9 maggio 2015 alle ore 18,00 presso l’Aula Magna del Palazzo Campana  in piazza Dante, presentando il libro “La Dalmazia e l’Adriatico dei pellegrini «veneziani» in Terrasanta (secoli XIV-XVI). Studio e testi di Sante Graciotti”.
Interverranno: il prof. Lorenzo Lozzi Gallo ricercatore e professore universitario,  Simone Pugnaloni Sindaco di Osimo, Massimo Morroni scrittore e cultore delle  Memorie Osimane .

Chi è il prof. SANTE GRACIOTTI
Sante Graciotti (Osimo 1923) professore emerito di letterature slave all’Università La Sapienza di Roma, ha frequentato l’Università Cattolica di Milano, dove ha seguito anche corsi di paleografia, archivistica e diplomatica presso l’Archivio di Stato, conseguendo il relativo diploma nel 1952. Nel 1953 si è laureato in Lettere e Filosofia (indirizzo moderno). I risultati del suo curriculum studentesco e dei suoi primi lavori di ricerca indussero le autorità universitarie della Cattolica (il rettore, Padre Agostino Gemelli, e il preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, Ezio Franceschini) ad affidare al neolaureato il compito di dedicarsi allo studio delle lingue, letterature e culture slave, per attivare questo ambito disciplinare anche presso l’Università Cattolica. Per preparare a tale compito il neolaureato il Rettore lo affidò al ‘padre’ della slavistica italiana, Giovanni Maver. Sotto la guida di Maver Graciotti seguì dal 1954 il corso di perfezionamento in Filologia moderna, specializzazione in Filologia Slava, presso l’Università di Roma, conseguendone il diploma nel 1957. Già nel 1955, ottenuta una borsa di studio dal Ministero degli esteri, partì per la Jugoslavia, con destinazione Zagabria, per preparare la tesi di perfezionamento. L’anno seguente la borsa gli fu confermata dall’Italia, ma non riconosciuta dalla Jugoslavia, per tale ragione Maver lo indirizzò verso la Polonia. Ottenuto il diploma di perfezionamento, Graciotti poté soggiornare, grazie ad una nuova borsa di studio, in Polonia un intero anno (tra il 1958 e il 1959) e poi di nuovo sei mesi (1960).
Nel 1961 Graciotti ottenne la libera docenza in Filologia slava e, nello stesso anno, fu chiamato a ricoprire “per incarico” la cattedra di questa disciplina presso l’Università Cattolica di Milano. Vincitore alla fine del 1964 della stessa cattedra, in seguito a concorso a professore “di ruolo”, ne assunse l’insegnamento come professore straordinario il 1° gennaio del 1965, e divenne – tre anni dopo – professore ordinario. Negli anni successivi fece istituire il lettorato di lingua russa (poi trasformato in incarico) e quelli di lingua polacca e serbocroata. Nella sua Alma mater curò la formazione di una biblioteca slavistica.
Nel 1972 si è trasferito all’Università degli Studi di Roma sulla stessa Cattedra di Filologia slava. In precedenza, tra il 1969 e il 1971, Graciotti assunse alcune responsabilità in campo slavistico nazionale e internazionale. Nel 1969 fondò con altri colleghi, sollecitati da lui come ultimo superstite della dirigenza della vecchia Associazione Italiana di Filologia Slava, la Associazione Italiana degli Slavisti (AIS), di cui divenne anche il primo presidente. Nello stesso anno fu chiamato a far parte del Comitato Internazionale degli Slavisti (MKS) in rappresentanza dell’Italia e in tale Comitato, anche come uno dei suoi vice-presidenti e infine come membro onorario, è presente fino ad oggi. Sempre nel 1969 è entrato a far parte del comitato di redazione di “Ricerche slavistiche” e dopo alcuni anni ne è diventato condirettore e subito dopo direttore, mantenendo il compito fino ad oggi.
Nel 1978, con la costituzione sotto l’egida dell’Unesco dell’Associazione Internazionale per lo Studio e la Diffusione delle Culture Slave (MAIRSK), ne venne eletto Vice-Presidente, oltre che presidente del relativo Comitato italiano, e tale è restato fino a che, con la caduta del muro di Berlino, anche il MAIRSK ha finito di funzionare.
Ha avuto posti di responsabilità per un certo tempo anche nella sezione italiana dell’Association d’Études du Sud-Est Européen, come segretario generale dal 1980, e dal 1987 come vice-presidente.
Nel 1963 ha iniziato la sua collaborazione, durata quarant’anni, con la Fondazione Giorgio Cini di Venezia, dove tra gli anni ’80 e gli anni ’90 ha ricoperto le funzioni prima di vice-direttore e poi, dal 1993, di condirettore (con responsabilità del settore Europa) dell’Istituto Venezia e l’Oriente. Presso questa istituzione ha svolto una grande attività di convegni e di incontri di studio – testimoniati da oltre una trentina di volumi, che ne raccolgono gli atti – con Unione Sovietica, Polonia, Ungheria, Jugoslavia, in tempi più recenti anche con Boemia, Croazia, Ucraina, Bielorussia.
Ha promosso incontri internazionali di studio e di lavoro organizzativo anche come membro dell’Accademia dei Lincei e come direttore, per una quindicina d’anni, dell’Istituto di Slavistica, poi Dipartimento di Studi Slavi e dell’Europa centro-orientale (DISSEUCO), della “Sapienza”, oltre che come impegnato in posti di responsabilità nell’AIS, nell’MKS, nel MAIRSK. Da non dimenticare la sua collaborazione con istituti di ricerca italiani e stranieri. Di notevole impegno è stata infine, a cavallo dei due millenni (fino al 2008), l’attività da lui svolta come presidente della Società Dalmata di Storia Patria.
È stato chiamato a far parte delle seguenti Accademie Nazionali: Accademia Nazionale dei Lincei (Socio corrispondente dal 1984, Nazionale dal 1993), Accademia polacca delle Arti (1990), Accademia Polacca delle Scienze (1991), Accademia Ucraina delle Scienze (1993), Accademia Croata delle Scienze e delle Arti (1997), oltre che di altre accademie e istituzioni nazionali, come l’Accademia Marchigiana (Ancona), l’Accademia A. Mickiewicz (Bologna), la Società Letteraria A. Mickiewicz (Varsavia, socio onorario), la Società scientifica di Breslavia (socio ordinario).
Ha ottenuto i seguenti dottorati honoris causa: Università di Tărnovo (1981), Università di Cracovia (1987), Università di Breslavia (1989), Università di Varsavia. Ha inoltre ricevuto numerosi altri riconoscimenti scientifici, come la decorazione d’onore “per grandi meriti” dell’Accademia bulgara delle Scienze (1984), il diploma d’onore della Société européenne de culture (1992), la medaglia d’oro dell’Accademia delle Scienze della Repubblica Ceca (1998) e il premio Vatroslav Jagić della Società filologica croata (1999).

La vita del prof.Sante GRACIOTTI  con tutti i suoi impegni da diversi anni si svolge prevalentemente a Roma e in tutta Europa. Ma forse qualche osimano lo  ricorda, nei brevi momenti di riposo o nelle sue brevi  visite ai parenti,  scorazzare, per le nostre campagne,   con la sua  intramontabile cinquecento blu.

Pippo se ne è andato

Da una parte un PD inguardabile, quello delle primarie della Liguria e soprattutto quello della Campania dove si assiste alla presentazione di una raccapricciante lista regionale PD, un’orrida ammucchiata che vede candidati fascisti, indagati, ex berlusconiani a sostegno di De Luca, contestato vincitore delle primarie, che tra l’altro rischia la sospensione dopo la condanna di primo grado nel caso fosse eletto governatore. A questo De Luca il PD di Renzi  piace e se lo tiene stretto, mentre oggi,  un giovane e grande protagonista delle ultime primarie, decide di lasciare il PD e nessuno della classe dirigente fa il possibile per trattenerlo. Sicuramente è anche per cose come queste che Pippo se ne è andato.
Forse per le ambizioni di Renzi, un uomo solo al comando,  sarà una liberazione ma per il PD, che ho visto e abbiamo contribuito a far nascere, è una sconfitta.