Osimo calls World: Perla Mignanelli

Perla Mignanelli nata in Osimo, classe 1987. Perla è una ragazza coraggiosa partita da Osimo si è fatta conoscere e apprezzare per il suo talento artistico  con cui sprigiona tutta la sua affascinate ed estroversa personalità. Oggi vive a Londra dove è riconosciuta come una artista emergente, le cui  opere sono ricercate ed apprezzate.

Perla MIgnanelli

Quando penso ad Osimo, penso alla mia grande famiglia, ai miei amici, ai posti dove sono cresciuta e che frequentavo da ragazzina, ai posti dove ho lavorato e a quelli che mi fa sempre piacere rivedere ogni volta che torno. Quando mi chiedono se un giorno tornerò a casa, la mia risposta è sempre la stessa: “nella vita mai dire mai”.

 Mi chiamo Perla Mignanelli, sono nata il 4 febbraio del 1987 ad Osimo. Mio padre è osimano, precisamente del Borgo, mia mamma di Castelfidardo. Vivo da sempre in via Montefanese e ho frequentato le scuole elementari del San Carlo trasferendomi in quarta elementare alle Fornaci Fagioli quando i miei genitori decisero di aprire il loro negozio di argenteria “L’Argentiere”, in via Marco Polo.

Mio padre Ermanno è un artigiano, e credo la mia vena artistica sia in parte dovuta al suo grande talento e alla passione con cui da sempre svolge il suo lavoro. Mia madre Simonetta Mengarelli, ha una laurea in giurisprudenza che però non ha mai utilizzato poiché, conosciuto mio padre, si è affiancata a lui fondando l’azienda familiare.

 Ho frequentato le scuole medie alla Caio Giulio Cesare e la mia indole da sempre creativa mi spinse poi a lasciare il mio paese per iscrivermi alla scuola superiore statale d’arte “G. Cantalamessa” di Macerata.

Credo che gli anni delle superiori siano stati gli anni più belli, quelli che ricordo sempre con un sorriso. Anni in cui si sono formate delle bellissime amicizie ed in cui ho iniziato a scoprire me stessa. Sono stati gli anni della ribellione, dell’istinto, della musica rock e punk, del doversi in qualche modo distinguere, delle prime cotte e dell’abbigliamento alternativo. Pur frequentando la scuola superiore a Macerata non ho mai abbandonato le amicizie osimane e noi ragazzi ci incontravamo quasi tutti i pomeriggi al piazzale della Sacra Famiglia e ricordo con grande affetto Don Giovanni Bianconi che puntualmente brontolando usciva dalla chiesa per rimproverarci per la troppa confusione.

Mi sono diplomata nell’estate del 2006 e a settembre dello stesso anno ho iniziato il mio percorso all’Accademia di Belle Arti di Macerata e frequentando il corso di Decorazione pittorica ho scoperto la profonda passione che tutt’ora mi lega al mondo dei colori e dei pennelli. Durante questi anni universitari è iniziata a crescere in me la voglia di esprimermi artisticamente e quindi di farmi conoscere, così iniziai ad esporre in mostre collettive su gran parte del territorio marchigiano.

La mia prima mostra è stata organizzata dal comune di Osimo nella chiesa di S. Filippo a Piazza Nuova nel settembre 2008, durante la festa del patrono S. Giuseppe. La Ricordo, come un’emozione grandissima ed un gran successo e quella mostra è stata la prima di una lunga serie. Negli anni successivi infatti ho partecipato a diversi eventi culturali messi a disposizione sia dal comune di Osimo, che dai paesi limitrofi, come Castelfidardo, Numana, Sirolo per poi arrivare fino a San Benedetto del Tronto passando per Macerata, Civitanova, Grottammare ed Ascoli Piceno.Credo che  il percorso accademico, il rapporto con i miei docenti universitari, la loro fiducia nelle mie capacità, il grande desiderio di farmi conoscere come artista non solo sul territorio nazionale, siano state le basi necessarie per intraprendere quel viaggio che mi ha poi spinta qui in Inghilterra.
Non ho mai avuto dubbi sulla scelta di trasferirmi e tornassi indietro lo rifarei altre mille volte, partendo molto prima e magari frequentando l’Università o un Master qui in Inghilterra considerando,  anche,  che il sistema universitario Britannico permette buoni sbocchi lavorativi. Qui vige il sistema del numero chiuso in tutte le facoltà consentendo così, dopo una rigorosa selezione, a tutti gli studenti ammessi di usufruire appieno di tutte le risorse messe a disposizione dall’ateneo. Inoltre gli studenti universitari provenienti da altri Paesi UE possono richiedere un supporto finanziario al governo inglese.

Sono partita per Londra il primo dicembre 2013, trasferendomi poi definitivamente il 22 settembre 2014. Essendo figlia unica, all’inizio non è stato per niente facile per i miei genitori accettare la mia scelta e per tranquillizzarli ricordo di aver detto qualcosa del tipo: “non vi preoccupate, sarà solo un’esperienza di qualche mese”. Sono trascorsi sette anni.

Mi piacciono molte cose della mia vita qui a Londra, soprattutto il fatto di potermi presentare come artista a tutti gli effetti. Londra è il centro del mondo e il motivo principale che mi ha spinta qui è proprio il desiderio di lavorare nell’ambito artistico, di mettermi in gioco dando spazio ai miei sogni, alle mie capacità e ambizioni, facendomi conoscere nel campo internazionale, ed essendo Londra una vetrina sul mondo, penso di essere nel posto giusto. Qui ho riscoperto me stessa nel modo di vestire, parlare, di rapportarmi con gli altri, qui ho la possibilità di relazionarmi tutti i giorni con gente completamente diversa da me, che arriva da ogni parte del mondo, ognuno con la sua storia, ognuno con le sue esperienze. Ho visto gente andare al supermercato in pigiama, in vestaglia, in ciabatte, con i bigodini in testa per esempio. Nessuno ti guarda, nessuno ti giudica. Vivere a Londra significa avere mille opzioni per ogni cosa, significa controllare le previsioni del tempo per il giorno dopo per poi rendersi conto che è inutile visto che ti vestirai comunque a strati. Significa avere sempre con te un ombrello ed un paio di occhiali da sole. Significa che se vuoi fare una cosa la fai e che però, purtroppo, il tempo per la vita sociale è poco.

 Londra è una citta veloce, impari a camminare veloce, a mangiare veloce, a correre per prendere la metro o il bus, perché se sei in ritardo a volte anche un minuto può fare la differenza. Vivere a Londra significa darti una possibilità, fare quello che più ami, i sacrifici fanno parte del gioco, ed il segreto è non smettere mai di credere che un giorno ce la farai.

Ho sempre amato viaggiare sin da bambina, scoprire nuovi luoghi, paesi, città. Le gite scolastiche fuori porta sono sempre state le mie giornate preferite caratterizzate dal tipico panino con la cotoletta che non mancava mai. Sin da piccola sono sempre stata appassionata di arte e storia e proprio per questo motivo durante le scuole elementari ho partecipato alle Mini Guide di Osimo, un’associazione che vedeva protagonisti i bambini come guida alla scoperta della città.
Mio padre Ermanno mi ha tramandato l’amore per la mia città attraverso le sue meravigliose narrazioni di storie osimane, con le profonde e divertenti poesie in dialetto,  dandomi la possibilità di percorrere Osimo visivamente e mentalmente in lungo e largo così come lo conosce lui. Sono cresciuta frequentando la parrocchia del San Carlo, con il catechismo il sabato pomeriggio e la messa a seguire; ho anche fatto parte del coro della chiesa per parecchi anni e ricordo con tanto affetto Padre Ampelio e Padre Mario, colonne portanti della parrocchia.

Le difficoltà qui a Londra non sono mancate, considerando che all’inizio di questa città sapevo ben poco. Il mio primo alloggio è stato un appartamento condiviso con altre ragazze a Bethnal Green, quartiere Est della città. Ricordo ancora il giorno in cui sono arrivata, avevo solo una grande valigia rossa con me, con dentro qualche vestito, un pigiama e dei maglioni che mia madre aveva accuratamente preparato dicendo “copriti bene mi raccomando, che a Londra fa freddo”. Arrivo in quello che sarà per me la dimora di qualche mese; non mi aspettavo di certo un’accoglienza regale, ma neanche una porta in faccia ed un tizio in cucina in mutande che mangiando un toast mi guarda e chiede chi fossi. Nella mia camera riescii a malapena ad entrare quando mi accorsi del livello di sporcizia, polvere e muffa che vi risiedeva probabilmente da anni.

Ho impiegato, forse, più di una settimana per pulire e sistemarmi completamente ed essendo una persona molto testarda ed orgogliosa ad ogni chiamata con i miei genitori fingevo andasse tutto bene rassicurandoli, dicendo di trovarmi in una bella casa, confortevole e ben arredata con delle coinquiline meravigliose. Effettivamente l’inizio non è stato un gran che, ma ad oggi non riuscirei a raccontare la mia esperienza senza citare quello che poi sarebbe diventato uno dei periodi più belli della mia vita londinese.

 Il mio primo lavoro è stato come commessa in un negozio di abbigliamento all’interno del mercato di Camden Town, zona molto famosa e turistica di Londra, miscuglio di mercati di oggettistica e bancarelle che ripropongono tutti i cibi del mondo: dal cinese, all’ungherese, dal giapponese all’italiano con stand di pasta fresca e piadina romagnola oltre alla tanto amata pizza.

Ed è qui che tra le zone insolite ed improbabili ho conosciuto le mie amiche, quelle che poi sono diventate le compagne di vita e avventure. La creatività di Camden è stata sempre un grande punto di ispirazione e fascino, con gente vestita nei modi più strani che canta e balla per la strada come se fosse la cosa più normale del mondo. Il suono della chitarra ad ogni ora,  birre tra le mani dei passanti, spensieratezza ed allegria uniche. La libertà nella scelta della musica, degli stili,  delle diverse personalità dal metal al punk, dal gotico al vintage, dal pop al rock, generi e culture diverse unite in quello che forse è ancora il più alternativo e stravagante dei quartieri londinesi.  

In questi sette anni a Londra la mia carriera si è sviluppata prevalentemente nel settore commerciale. Sono ormai quasi tre anni che lavoro come Manager in una compagnia inglese di arredamento e design d’interni.
La mia buona volontà e persistenza mi hanno permesso di arrivare dove sono, passando per anni di gavetta con un salario minimo e lavorando prevalentemente nei weekend.

All’inizio non è stato facile e la lingua sembrava essere un ostacolo insormontabile, ma poi con il tempo, un po’ per abitudine un po’ per testardaggine, si va avanti convinti che la propria occasione prima o poi arriverà.  

Gli Inglesi sono molto diversi da noi italiani, per abitudini, cultura, modo di vestire e di parlare. In principio sono freddi e non danno confidenza, molto formali e rigidi, non dicono mai quello che pensano e si nascondono spesso dietro le buone maniere per non inceppare in conversazioni scomode o di disagio.  Nonostante tutto, la mia permanenza qui è sempre stata contornata da brave persone, dal cuore grande,  disposte ad aiutarmi. Gli inglesi amano l’Italia più di noi italiani, apprezzano il nostro cibo, la nostra arte e cultura, ci apprezzano e ci trovano persone estremamente simpatiche e creative.

Il “made in Italy” nel Regno Unito è ancora sinonimo di qualità e quando dico che sono italiana oltre a pasta, pizza e mandolino vengono citate molte altre cose che ci rendono unici al mondo. L’azienda in cui lavoro è multiculturale e aperta all’interazione, io sono l’unica dipendente italiana e i miei colleghi sono per lo più europei. Non sono stata io a trovare questo lavoro, ma il mio titolare a trovare me durante un pomeriggio del novembre 2017,  mentre passeggiava per i negozi del centro. Al tempo lavoravo per una compagnia di arredamento e mentre stavo aiutando un cliente in negozio vengo gentilmente approcciata con un biglietto da visita e una proposta di lavoro. Incredula, ma decisamente contenta decido di fare il colloquio ed accettare quindi il lavoro. Quando dicono che Londra è la città delle opportunità si parla proprio di questo, della casualità degli eventi che a volte si trasforma in possibilità.

Il sistema lavorativo britannico si basa sul merito; il personale viene scelto non solo tramite agenzie o mandando il proprio CV, ma sono gli stessi imprenditori o titolari di aziende affiancati dai manager che in incognito fingendosi clienti, valutano e scelgono il personale adeguato per la propria azienda.  

Il lavoro di artista è sempre andato di pari passo al mio impiego a tempo pieno. I miei giorni di riposo settimanali li ho sempre dedicati alla pittura e all’inizio non potendo permettermi uno studio, dipingevo in camera. La mia produzione pittorica si è sviluppata e si sta sviluppando tutt’ora grazie a questa città che è sempre in movimento e non smette mai di sorprendermi. Traggo ispirazione da luoghi, architetture, da gente che incontro in metro o nei pub. I musei qui sono gratuiti, perciò una delle cose che amo fare è andare alla National Gallery o alla Tate con il mio album da disegno, sedermi davanti ad un Caravaggio o un Picasso e iniziare a disegnare. Ci sono persone che si portano colori, tele e cavalletti al museo, bambini distesi sul pavimento che disegnano, guide che spiegano i dipinti e le storie dei pittori in tutte le lingue del mondo. I musei sono luoghi affascinanti, dove perdere la cognizione di tempo e spazio e dove l’unica cosa che conta è sentirsi ammaliati da tanta bellezza.
Ho iniziato ad esporre i miei dipinti in mostre collettive a Londra nel 2017. Qui il mercato dell’arte è molto eccitante e vasto, anche se mostre ed eventi artistici non sono proprio alla portata di tutti considerando che il prezzo di uno spazio espositivo si aggira mediamente intorno alle mille sterline. In questi ultimi anni grazie alla mia presenza sul mercato artistico inglese sono riuscita sia ad avere successo nelle vendite di dipinti originali, sia a lavorare su commissione realizzando dipinti su tela, su parete o per vetrine di negozi.  Ovviamente da marzo 2020, causa COVID il mercato artistico si è spostato online, con gallerie che spesso organizzano concorsi per artisti emergenti e fiere d’arte virtuali. Il progetto di farmi conoscere ed esporre i miei quadri è sempre il principale e mi piacerebbe organizzare mostre personali ed eventi artistici in tutto il mondo.

Londra mi ha cambiata quasi completamente, qui ho scoperto una dimensione a me totalmente sconosciuta, una capacità di sopravvivenza che non sapevo di avere, una me stessa più forte e coraggiosa di quello che immaginavo ed una creatività che forse, se fossi rimasta in Italia, non sarebbe mai emersa. Tutti i miei amici che negli anni sono venuti a trovarmi, mi hanno sempre detto che sembro proprio fatta per vivere qui, che sono totalmente me stessa e che il grande amore per questa città si legge nei miei occhi.  Nonostante io sia figlia unica, i miei genitori sin da piccola hanno sempre creduto in me, supportando le mie decisioni e se sono quella che sono oggi, lo devo maggiormente a loro e all’infinita libertà di scegliere che ho sempre avuto.  So che ci sono molti Osimani residenti qui, e con alcuni di loro ogni tanto ci sentiamo, ma essendo Londra una città molto grande a volte le distanze, e quindi gli spostamenti, diventano un problema.
Cosa mi manca dell’Italia? Decisamente la pizza al taglio e le mangiate di pesce la domenica al mare. Mi manca il rumore del mare e il calore del sole in primavera-estate. Mi mancano le chiacchiere al baretto sotto casa e salutare la gente che conosci in giro per strada. Mi mancano gli incontri in piazza e gli aperitivi.  Mi mancano le tradizioni osimane come la processione del venerdì santo seguita dal gelato del “Bar 4+1” per esempio.

Quando si intraprende un viaggio così lungo, come fare un’esperienza all’estero, i ricordi sono ciò a cui ti aggrappi tutte le volte in cui ti senti solo e vulnerabile e non importa quanto lontano sei o andrai,  loro ti accompagneranno sempre.

 Oggi le possibilità di viaggiare e conoscere sono infinite e tutto è diventato abbastanza semplice quindi mi piace pensare a me come cittadina europea e cittadina del mondo. Conoscere persone provenienti da altre nazioni, stati, continenti non può far altro che aprire la mente, ampliare la nostra cultura e aiutarci nel rapporto con una realtà che non è solo quella delle nostre quattro mura. Ho amici da tutte le parti del mondo che purtroppo con la situazione COVID hanno dovuto abbandonare Londra, ma la forza dell’amicizia sta anche nel fatto di continuare a sentirsi nonostante la distanza.  Pur trovandomi in contesti diversi e sempre nuovi, non ho mai smesso di far conoscere Osimo raccontando di come si vive in Italia, della mia realtà e la vostra, osimani che state leggendo, e mi sono sempre impegnata ad invitare gente nuova a trascorrere le vacanze estive nelle nostre meravigliose terre. E dove non arriva l’aereo arriva “Google”, mostrando foto dei nostri paesaggi collinari, del mare, di edifici storici e perché no, anche di qualche piatto di pasta. I miei colleghi adorano l’Italia ed ogni volta che torno dalle vacanze cerco sempre di portare qualcosa di tipico da far assaggiare; vanno matti per il panettone e dolci natalizi, la pasta fatta in casa, i formaggi, il vino. Ho scoperto per esempio, che uno dei miei colleghi inglesi adora il Verdicchio, chi l’avrebbe mai detto?  Sono tornata ad Osimo lo scorso Natale, dopo un lungo anno di assenza dovuto al COVID. Riabbracciare i miei genitori dopo così tanto tempo è stata una delle emozioni più grandi.

Descrivere la situazione che abbiamo vissuto qui in Inghilterra l’anno scorso sin dall’inizio della pandemia è tutt’ora difficile considerando le lunghe notti insonni, fatte di paure e ansie al pensiero che forse non avrei mai più rivisto la mia famiglia. Il governo britannico, nonostante le innumerevoli testimonianze riguardo alla veloce e pericolosa propagazione del virus, sembrava all’inizio non curarsene. Noi italiani a Londra abbiamo fatto di tutto per diffondere video, foto, notizie, quanto più possibile riguardo alla situazione COVID in Italia, ma non sembrava avere alcun effetto neanche sulla popolazione inglese. L’inizio della pandemia è stato forse il più difficile per noi italiani qui, perché consapevoli della situazione italiana ci sentivamo impotenti davanti ad una società che non voleva vedere. Ricordo che subito dopo il primo discorso di Boris Johnson in cui parlò di immunità di gregge o ancor peggio di essere pronti a perdere i propri cari capii immediatamente che qualcosa non andava e mi iscrissi a quanti più gruppi sui social che parlavano del COVID, ed iniziai la mia battaglia di diffusione notizie trasmettendo tutte le testimonianze raccolte dall’Italia. Aldilà di qualche commento spiacevole, molte persone sono state solidali e gentili, ringraziandomi per l’impegno preso e per la costanza con la quale mostravo una realtà qui ancora così difficile da vedere.

 Dopo un anno speso tra vari lockdown, aperture, chiusure, misure di sicurezza, posso dire che la situazione sembra pian piano migliorare soprattutto grazie alla rapida diffusione dei vaccini, anche se tutt’ora si vede ancora in giro gente senza mascherina, nonostante sia diventato ormai obbligatorio indossarla sui mezzi pubblici, nei i negozi e supermercati.
La mia vita durante questa terribile pandemia, come penso quella di molti altri, è cambiata radicalmente. Io che mi sono sempre vista al centro del mondo, attiva, inarrestabile, piena di voglia di fare, esplorare, d’un tratto chiusa in casa, nella città che tanto ho amato e che all’improvviso si è rivelata una prigione con il mondo che mi stava crollando addosso. Mi sono sentita sola, spaventata, triste, senza speranza e se non fosse stato per il supporto della mia grande famiglia e dei miei amici sia qui che in Italia, non so davvero come avrei fatto. Da parte del governo britannico non ci sono mai state indicazioni chiare riguardo la pandemia a parte lo slogan: “Stay home, save lives”.
Ho trascorso gran parte del 2020 in casa, continuando a percepire uno stipendio ridotto, ma più che necessario per pagare l’affitto, le bollette e per fare la spesa. Nonostante tutte le difficoltà emotive, questo tempo a casa mi è servito molto per dedicarmi interamente alle mie passioni ed è stato forse uno dei periodi più produttivi che abbia mai attraversato.

 Quando penso a me, penso ad una ragazza con tanti sogni nel cassetto ancora da realizzare. Mi presento generalmente come pittrice con una grande passione per il mondo della moda. Perla non è solo un nome,  una firma d’autore su un quadro, un brand di moda, Perla è un universo artistico che si muove attorno ad idee sempre nuove, uniche ed innovative. Perla è un misto di esperienze, studi, talento, grinta e passione.  

Nasce così nel marzo 2021 il progetto “Wearable Art” (arte indossabile) che vede come protagonisti i miei dipinti inseriti nell’abbigliamento quotidiano. Gli studi artistici, la mia creatività, le mie esperienze hanno fatto sì che moda e arte si uniscano per creare qualcosa di nuovo, di fresco e innovativo influenzato dall’eleganza della moda italiana, mista alla creatività di quella inglese.
Il mio progetto di arte indossabile è molto ambizioso ed ampio, con una linea di prodotti di abbigliamento e accessori totalmente progettati e realizzati a mano da me con l’aiuto di sarte e modelliste professioniste. Gonne, maglie e giacche fanno da protagoniste ad una linea che verrà lanciata quest’estate grazie alla campagna di raccolta fondi essenziali per sostenere un progetto ambizioso ed originale, fatto di ricerca e dettagli.
Uno stile in cui tutto è connesso, dove la pittura diventa protagonista combinata a tessuti e colori di vario genere. Abbigliamento che diventa opera d’arte, che racconta una storia, che si mescola ad oggetti ed accessori giornalieri. Abbigliamento che diventa reazione, coesione, contrapposizione alla realtà, modelli protagonisti dell’apparato urbano, dove le nostre città e i centri storici fanno da passerella, sfondi storici per accogliere un abbigliamento del tutto contemporaneo.

Creare prodotti unici è in qualche modo raccontare una storia e l’ispirazione dal passato crea nuove idee per il futuro. Qui arriva la mia collezione di abiti senza tempo, dove unicità è la parola chiave e stile la forma. Dico sempre che essere se stessi significa essere unici e seguire la propria consapevolezza è la chiave per avere successo non arrendendosi ed il mio scopo è creare bellezza in ogni momento, in ogni cosa, in ognuno.   

Il mio consiglio ai giovani è di viaggiare il più possibile, di aprirsi a nuove esperienze, di non avere paura, di camminare sempre a testa alta e guardare al futuro come possibilità di scelta e di vita. Ognuno di noi ha dei sogni da realizzare e darsi la possibilità di realizzarli significa essere già a metà strada.

Nulla è impossibile,  l’importante è non smettere di credere nelle proprie capacità e non importa ciò che dicono gli altri, credere in se stessi è il primo segreto del proprio successo.
Il mio progetto futuro è di avere successo nell’ambito artistico e nella moda, vorrei vedere il mio progetto realizzato, incontrare gente per strada indossare la mia collezione di abiti, avere i miei dipinti esposti in gallerie e fiere d’arte di tutto il mondo. Vorrei essere una donna di successo, orgogliosa di tutto quello che sono riuscita a realizzare con le mie forze, non smettendo mai di credere che nonostante le difficoltà a volte la realtà può essere anche meglio dei sogni.

Vorrei esprimere – da ultimo – la mia gratitudine verso Paola Andreoni per avermi contattata, dandomi la possibilità di scrivere questo articolo come testimonianza di osimana all’estero ed essere stata anche così paziente nell’attenderlo. Colgo l’occasione anche per annunciarvi la mia campagna, iniziata il primo luglio e della durata di sessanta giorni,  di “Raccolta fondi per le arti” in collaborazione con altri artisti e con tre diverse associazioni di beneficienza di Londra a cui doneremo il 10% del ricavato.

 Questa campagna nasce dal mio desiderio di iniziare un progetto di Arte Indossabile (Wearable Art) dove i miei dipinti e disegni diventano stampe per una collezione di moda interamente disegnata da me con l’aiuto di sarte e fashion designers. Ispirata allo stile alternativo di Vivienne Westwood, innovativo di Alexandre Mc Queen e decorativo di Roberto Capucci, la mia collezione di abbigliamento totalmente a serie limitata, fonde lo stile inglese con quello italiano e vede i miei dipinti, stampati su stoffe e materiali di vario genere, diventare protagonisti di capi ed accessori originali.
Arte non è solo quello che si trova in musei o gallerie. Arte è qualcosa di speciale, personale, arte è ciò che siamo e soprattutto ciò che vogliamo comunicare. Arte è personalità, amore, sentimento, emozione, vibrazione. Arte è ciò che ci fa sentire speciali, unici, anticonformisti e quindi perché non indossarla?  Ringrazio inoltre tutte le attività commerciali di Osimo e dintorni che si sono offerte di diventare sponsor e supporto per la mia campagna, offrendo prodotti e servizi che potete trovare nel nostro sito :

https://www.indiegogo.com/projects/the-crowdfunding-festival-of-arts/x/26673160#/

Chiunque volesse supportare il mio progetto di Arte Indossabile può direttamente contribuire tramite il sito con una donazione o acquistando prodotti o servizi a disposizione. Ringrazio tutti anticipatamente per ogni singolo piccolo o grande contributo, essenziale per costruire un ambizioso progetto. progetto.


Grazie Perla  è un motivo di grande orgoglio per la nostra città vedere “spiccare il volo” una giovane come te, che sa unire arte, bellezza ma anche solidarietà. Emergere “dal rumore di fondo” è tutt’altro che facile e tu stai riuscendo in questa sfida. A te  un plauso e le congratulazioni di tutta la nostra comunità cittadina.
Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo.

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Perla promuove: The Crowdfunding Festival of Arts

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#Osimani: Lorenzo Angeloni

In casa Angeloni è stato appena festeggiato un compleanno importante: il 10 gennaio ha compiuto 70 anni Lorenzo Angeloni. Un compleanno che a causa delle restrizioni Covid  si è potuto degnamente onorare solo la scorsa settimana in un noto agriturismo cittadino. A festeggiare  Lorenzo c’erano il fratello Gabriele, le sorelle Gabriella e Fabiola  e le loro rispettive famiglie. Tra questi non si sono persi l’evento i quattro nipoti e i due pronipoti.
Classe 1951, Lorenzo  è una persona molto conosciuta in città per aver gestito per tanti anni lo storico  alimentari ereditato dai genitori, Armando e Anita,  in fondo a  via Olimpia ( locali dove Lorenzo, oggi,  ha trasferito la propria dimora ).
Attività commerciale che Lorenzo ha poi negli anni trasformato, modernizzato, dato la propria impronta cambiando la merceologia dei prodotti: non più generi alimentari ma  una più redditizia attività nel settore dell’intimo e della vendita di capi d’abbigliamento. Dietro al bancone del negozio di Via Olimpia, dove si è fatto conoscere e apprezzare per la sua simpatia e cordialità, Lorenzo ha servito le sue clienti per 45 anni, fino alla data del suo pensionamento che è coincisa con quella della chiusura definitiva dell’attività, avvenuta il 1 maggio 2011.
Lorenzo è persona conosciuta in città  anche per il suo impegno nell’ associazionismo sportivo, in particolare nelle società sportive calcistiche osimane: all’ Osimana, al San Biagio ed alla Passatempese.
Società nelle quali Lorenzo, per più di quarant’anni, è stato collaboratore e dirigente portando la sua carica personale, la sua passione di tifoso e l’acquisita competenza nel disbrigo delle incombenze dirigenziali.
Suo è stato  il compito, svolto sempre in modo molto professionale,  della predisposizione delle distinte domenicali su indicazione dei mister, della accoglienza e tenuta dei cordiali  rapporti con gli arbitri, di supportare gli allenatori nelle loro necessità e richieste e di intermediario nei rapporti tra la dirigenza, allenatori e giocatori cercando di risolvere i piccoli malumori, appianare problematiche e polemiche che inevitabilmente ci sono presentate all’interno degli spogliatoi. 
Anche per questo suo particolare ruolo e presenza sempre educata e rispettosa,  Lorenzo si è conquistato l’amicizia  dei tanti giocatori, mister e Presidenti che hanno fatto la storia del calcio  giallo-rosso e cittadino in generale. Dai Presidenti Silvano Principi, Antonio Bruni, Piero Sabbatini, Ferdinando Novelli, Stefano Carletti, Andrea Falcetelli, Maurizio Fagotti, ai mister Danilo Tacchi, Cristiano Luchetta, Damiano Morra, Beniamino Di Giacomo, Beni, Pirazzini, Piccinini, Donato Andreucci, Fantini, Brazzoni-Stronati, ai giocatori Andrea Celletti, Gianfranco Matteoli, Provenziani, Ulisse, Polinori, ecc.Oggi Lorenzo ( che è stato anche Presidente del club Fedelissimi Giallo Rossi del Circolo “Senza Testa”) segue il calcio solo  in tv  ma se lo incontrate per il corso cittadino saprà intrattenervi, deliziandovi dei ricordi dei mille aneddoti che ha vissuto come tifoso e dirigente del calcio osimano,  ai tempi quando i “Senza Testa Giallo-Rossi” si confrontavano con squadre come il Venezia, Sassuolo, Padova e lui a quelle trasferte, a tifare “Osimana”  è stato sempre presente.
Tanti auguri Lorenzo  di grande serenità per i prossimi anni che ti auguro sempre all’insegna della vita buona e generosa, anche a nome di tutta la nostra comunità cittadina.

Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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28 luglio 1980 la “Freccia del Sud” Pietro Mennea vince l’oro alle Olimpiadi di Mosca nei 200 metri

Pietro Mennea, è stato un grande campione dell’atletica italiana che  il 28 luglio 1980 vince la medaglia d’oro nei 200 metri piani.

Pietro Paolo Mennea nasce il 28 giugno del 1952 a Barletta, da una famiglia di umili origini (mamma casalinga e papà sarto). Iscrittosi a ragioneria dopo le scuole medie, sin da adolescente mette in mostra doti notevoli in campo atletico, soprattutto nella corsa. Il suo debutto in un grande evento avviene a soli diciannove anni, in occasione dei Campionati Europei del 1971, quando conquista un sesto posto nei duecento metri e la medaglia di bronzo nella staffetta 4×100.

L’anno successivo, Mennea è già alle Olimpiadi: a Monaco 1972, il velocista pugliese sale sul podio nella finale dei duecento metri, terzo dietro al sovietico Valerij Borzov e a Larry Black, statunitense. La carriera sportiva di Mennea, dunque, prende il volo da subito: le conferme arrivano agli Europei di Roma del 1974, quando davanti al pubblico di casa Pietro conquista la medaglia d’argento nella staffetta e nei cento metri (ancora una volta dietro Borzov, destinato a diventare il suo storico rivale), ma soprattutto la medaglia d’oro nei duecento, sua specialità prediletta.

A causa di alcune prestazioni non eccellenti, l’atleta barese decide di saltare le Olimpiadi di Montreal: solo in un secondo momento, anche a seguito di una preziosa opera di convincimento da parte dell’opinione pubblica, cambia idea. La rassegna a cinque cerchi canadese, tuttavia, si conclude senza allori: quarto nella finale dei duecento vinta dal giamaicano Don Quarrie e quarto anche con la staffetta. Vincitore dei duecento agli Europei di Praga nel 1978, nella kermesse cecoslovacca sfodera una prestazione eccezionale conquistando anche la mezza distanza. Sempre in campo continentale, nello stesso anno vince per la prima volta i 400 metri, agli Europei indoor.
Nel 1979 Mennea prende parte anche alle Universiadi (a quei tempi è studente di Scienze Politiche) che si tengono a Città del Messico: proprio in questa occasione corre i duecento metri in 19 secondi e 72 centesimi, il che significa record del mondo. Il primato di Mennea, che durerà per ben diciassette anni, viene realizzato a duemila metri di altezza (le prestazioni ne risentono in positivo), così come peraltro era accaduto per il record precedente, stabilito sempre a Città del Messico da Tommie Smith. Mennea, in ogni caso, confermerà la propria supremazia cronometrica anche a livello del mare, avendo corso con il tempo di 19 secondi e 96 a Barletta: tale primato rimarrà fino al 1983.

Il 1980, comunque, si conferma per l’atleta pugliese un anno d’oro. Alle Olimpiadi di Mosca, caratterizzate dal boicottaggio degli Stati Uniti, il velocista pugliese ottiene il primo gradino del podio nei duecento metri, sopravanzando l’avversario Allan Wells per soli due centesimi. Nella rassegna sovietica, inoltre, conquista anche il bronzo nella staffetta 4×400.
Per tutti gli italiani Mennea è diventato la Freccia del Sud.

In pista l’atleta di Barletta si caratterizzava per una partenza dai blocchi piuttosto lenta, che tuttavia rappresentava il prologo a un’accelerazione progressiva ma efficace che lo portava a velocità di punta sconosciute agli altri avversari. Proprio a causa della partenza lenta, i cento metri non erano la sua disciplina preferita (pur regalandogli diverse soddisfazioni, soprattutto a livello europeo), mentre le gare dei duecento si contraddistinguevano per rimonte eccezionali.

Autore di venti libri, dottore commercialista e avvocato, Mennea è stato direttore generale della squadra di calcio della Salernitana nella stagione 1998/1999. Docente di Legislazione europea delle attività motorie e sportive all’Università “Gabriele D’Annunzio” di Chieti per la facoltà di Scienze dell’Educazione Motoria, Mennea è stato deputato del Parlamento Europeo a Bruxelles dal 1999 al 2004.
Dal 2006, insieme con la moglie Manuela Olivieri, Pietro Mennea ha dato vita a una Onlus, la “Fondazione Pietro Mennea”, che si propone di effettuare assistenza sociale e donazioni economiche a enti di ricerca, caritatevoli, associazioni sportive e istituzioni culturali mediante progetti di carattere filantropico. Sempre insieme con la moglie (avvocato come lui, con uno studio a Roma) nel 2010 ha dato vita a una class action per difendere diversi cittadini italiani colpiti dal crac terribile della Lehman Brothers.
Mennea ha avuto l’onore, nel marzo del 2012, di vedersi dedicata una stazione della metropolitana di Londra, in occasione delle iniziative collegate con i Giochi Olimpici londinesi. Nominato Commendatore Ordine al merito della Repubblica Italiana nel 1979, l’anno successivo Mennea ha ricevuto anche l’investitura di Grande Ufficiale Ordine al merito della Repubblica.
Da tempo malato, ha terminato la sua lotta contro un male incurabile spegnendosi a Roma il giorno 21 marzo 2013, all’età di 60 anni.
Grazie Pietro.


Paola

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Abolizione della caccia, aperta la raccolta firme Referendum: “Sì ABOLIAMO LA CACCIA”.


Ha preso il via  la raccolta firme per il referendum per chiedere l’abolizione della caccia sul territorio italiano. L’iniziativa è organizzata dal comitato referendum “Sì Aboliamo la caccia”. “La caccia è un’attività violenta, cruenta, sanguinaria – si legge nel comunicato stampa –. Provoca inoltre ingenti danni ambientali per i milioni di pallini di piombo e cartucce che vengono abbandonate sul terreno dai cacciatori ed inquinano campagne e falde acquifere; è responsabile di uno sperpero di decine di milioni di euro di denaro pubblico per il ripopolamento degli animali selvatici.

In Osimo si può firmare presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico dove sono depositati i moduli raccolta firme

per il Referendum per la modifica della Legge 157/1992
Norme per la protezione della fauna selvatica
e per il prelievo venatorio

Il Comitato Promotore del Referendum:  “Sì Aboliamo la Caccia

(iniziativa annunciata nella Gazzetta Ufficiale n. 121 del 22/05/2021)

LA RACCOLTA FIRME SARÀ APERTA FINO AL 20/09/2021

I Residenti a Osimo possono firmare nei seguenti orari:
il lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato  dalle ore 8,30 alle 13,30
presso l’Ufficio URP  – in via Fonte Magna, 12.

Attenzione: causa le restrizioni Covid è auspicabile la prenotazione al n° 071 7249247


Link Volantino
Relazione riportata sul modulo firme

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Dal 30 giugno fino al 30 settembre si raccolgono le firme per convocare il Referendum sull’eutanasia legale.


Ha preso il via  la raccolta firme per il referendum  promosso dal “Comitato promotore Referendum Eutanasia Legale”, e dall’Associazione Luca Coscioni per abolire parzialmente il reato di omicidio del consenziente (art. 579 del c.p. del 1930), che proibisce l’eutanasia. Un referendum per l’introduzione dell’eutanasia legale in Italia.” 

 

(Iniziativa annunciata in Gazzetta Ufficiale n. 95 del 21 aprile 2021)


In Osimo si può firmare presso l’Ufficio Relazioni con il Pubblico dove sono depositati i moduli raccolta firme

Referendum per  “abolire parzialmente il reato di omicidio
del consenziente  (art. 579 del c.p. del 1930), che proibisce l’eutanasia”
.
Un referendum per l’introduzione dell’eutanasia legale in Italia

 

 

Il Comitato Promotore del Referendum:  Associazione Luca Coscioni

LA RACCOLTA FIRME SARÀ APERTA FINO AL 30/09/2021

I Residenti a Osimo possono firmare nei seguenti orari:
il lunedì, martedì, mercoledì, giovedì, venerdì, sabato  dalle ore 8,30 alle 13,30
presso l’Ufficio URP  – in via Fonte Magna, 12.

Attenzione: causa le restrizioni Covid I cittadini che intendono sottoscrivere devono PRENDERE APPUNTAMENTO contattando il  n° 071 7249247.  Per la sottoscrizione del referendum occorre  essere muniti di documento di identità o altro valido documento di riconoscimento.

 L’attuale situazione normativa in Italia:
Nel 2017 è in vigore la Legge 219 che riconosce il valore del Testamento Biologico. Con questa legge, una persona può decidere anche per quando sarà in uno stato di incapacità a comunicare le sue scelte su quali sono i trattamenti sanitari a cui non vorrà sottoporsi, sulla volontà di interrompere trattamenti in corso e evitare accanimento terapeutico, con garanzia di cure palliative e sedazione.
La Corte costituzionale ha poi chiarito che l’aiuto al suicidio (art. 580 del Codice penale) non è punibile nel caso in cui la persona che lo richiede sia affetta da patologia irreversibile, capace di autodeterminarsi e tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale.

Chi ancora non ha diritto di scegliere:
Tutte le altre persone con patologie irreversibili che comportano dolori intollerabili, ma che non dipendono da trattamenti sanitari vitali, e i pazienti impossibilitati ad assumere autonomamente un farmaco (a causa di SLA, di una tetraplegia…) nel nostro Paese non hanno la possibilità di scegliere, e di chiedere aiuto medico attivo per la morte volontaria, perché il nostro codice penale vieta l’omicidio del consenziente (art. 579c.p.).

Cosa si propongono i promotori con  il Referendum
Molte persone gravemente malate oggi quindi non sono libere di scegliere fino a che punto vivere la loro condizione. Non hanno diritto all’aiuto medico alla morte volontaria, al suicidio assistito o ad accedere all’eutanasia come è invece possibile in Svizzera, Belgio, Olanda, Spagna, Canada, molti Stati degli Stati Uniti e sempre più Paesi nel mondo.
Ecco perché, a fianco delle persone che non possono aspettare i tempi della politica e della giustizia, è tempo di dare la parola ai cittadini con un referendum. Di fronte al silenzio del Parlamento che continua a rimandare la riforma necessaria, il Referendum a questo punto è l’unica possibilità per rendere l’eutanasia legale in Italia.

Il quesito del Referendum sull’eutanasia legale
Il quesito prevede una parziale abrogazione dell’articolo 579 del codice penale, che riguarda l’«omicidio del consenziente», e vuole rendere non punibile l’eutanasia «attiva», che si verifica quando vengono somministrati farmaci che provocano la morte di chi la richiede e non, come nel caso dell’eutanasia «passiva», quando si interrompono le cure necessarie alla sopravvivenza (come, ad esempio, l’alimentazione artificiale).

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Osimo calls World: … Viaggiate

A tutti i nostri giovani, osimane e osimani “per le strade del Mondo” che abbiamo avuto modo di conoscere. A quanti mi hanno scritto con le lacrime agli occhi, a quanti non hanno trovato le parole perchè le loro sfide non sono ancora vinte.
Ai tanti nostri giovani che stanno sognando di partire dalla nostra città per avere opportunità,  a quanti decidono di rimanere malgrado le difficoltà…..
A tutte e a tutti un abbraccio e una poesia.
 
 
Viaggiate
che sennò poi
diventate razzisti
e finite per credere
che la vostra pelle è l’unica
ad avere ragione,
che la vostra lingua
è la più romantica
e che siete stati i primi
ad essere i primi

viaggiate
che se non viaggiate poi
non vi si fortificano i pensieri
non vi riempite di idee
vi nascono sogni con le gambe fragili
e poi finite per credere alle televisioni
e a quelli che inventano nemici
che calzano a pennello con i vostri incubi
per farvi vivere di terrore
senza più saluti
né grazie
né prego
né si figuri

viaggiate
che viaggiare insegna
a dare il buongiorno a tutti
a prescindere
da quale sole proveniamo,
viaggiate
che viaggiare insegna
a dare la buonanotte a tutti
a prescindere
dalle tenebre che ci portiamo dentro

viaggiate
che viaggiare insegna a resistere
a non dipendere
ad accettare gli altri non solo per quello che sono
ma anche per quello che non potranno mai essere,
a conoscere di cosa siamo capaci
a sentirsi parte di una famiglia
oltre frontiere, oltre confini,
oltre tradizioni e cultura,
viaggiare insegna a essere oltre

viaggiate
che sennò poi finite per credere
che siete fatti solo per un panorama
e invece dentro voi
esistono paesaggi meravigliosi
ancora da visitare.

(grazie Gio Evan)
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Paola Andreoni 

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17 luglio 2021: “la Mano dell’Amore” alla Lega del Filo d’Oro

 

LA MANO DELL’ AMORE
Si é tenuta questa mattina, presso il centro nazionale della Lega del Filo d’Oro, la cerimonia di inaugurazione della scultura inedita “la mano dell’amore” realizzata e donata dall’artista filottranese Nazareno Rocchetti.
L’artista ha creato una mano simbolo del contatto che le persone sordo cieche hanno bisogno per comunicare con il mondo che li circonda. Ma anche dell’amore e del sostegno che necessitano per andare oltre il buio e il silenzio.
Presenti alla cerimonia la vice sindaca Paola Andreoni, Neri Marcoré, Monsignor Claudio Giuliodori, altre autorità, oltre naturalmente, a Rossano Bartoli, Patrizia Ceccarani, gli ospiti e tutto lo staff della #legadelfilodoro.

Nazareno Rocchetti “artista di fuoco”, l’uomo di terra con lo sguardo verso l’alto, e verso l’altro” così lo ha definito il suo amico e testimonial ( con Enzo Arbore) della Lega del Filo d’Oro, Neri Marcorè.

Nazareno Rocchetti, ( originario di Filottrano ma trapiantato a Cingoli) delle sue mani ne ha fatto un’arte. Fisioterapista della Nazionale Italiana di Atletica Leggera ha seguito atleti famosi come Pietro Mennea, Gelindo Bordin, Sara Simeoni e Valentina Vezzali, finché le sue mani cariche di amore ha deciso di dedicarle all’arte, dalla pittura alla scultura.
Grazie Nazareno a nome di tutta la comunità osimana.


Grazie Nazareno a nome di tutta la comunità osimana.
Paola Andreoni
vice Sindaco di Osimo

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17 luglio 1944: ” SPERANZA DI  LIBERTA’ CI AFFRATELLO’ RICORDATECI UNITI “

Un uomo muore solo quando più nessuno si ricorda di lui

Osimo era stata appena liberata ma era ancora sulla linea del fronte. Alcune forze tedesche  erano ancora trincerate   sul “Monte della Crescia” nella  loro linea di difesa denominata “Edith”, a San Paterniano e val Musone  avanzava il II° Corpo d’Armata Polacco e il Corpo Italiano di Liberazione (C.I.L.). Osimo si trovava sotto il tiro continuo delle artiglierie dei due campi, i cui colpi bassi cadevano sui tetti della città e le famiglie osimane furono costrette nelle cantine malgrado la proclamata liberazione. Solamente la sera del 17 luglio con l’attacco  decisivo avvenuto nei pressi di Casenuove le truppe alleate con il Corpo Italiano di Liberazione e le varie compagini di partigiani riuscirono a sfondare la linea “Edith” e liberare il nostro territorio dal nemico nazifascita. Ancona veniva liberata l’indomani,  il 18 luglio.
A distanza di anni è, per tutti noi, doveroso ricordare per non dimenticare il grande tributo umano speso per la causa della libertà. Ai Canapa, ai Fiorenzi, ai Ricci, ai Duranti, alle formazioni partigiane “Fabrizi” e “Stacchiotti”, ai Guercio, agli Acqua, ai Volpini, ai Pallotta, ai Magnoni, ai Cecconi, alle staffette, a don Igino Ciavattini, alla Comunità Francescana di Osimo e ai tanti prelati osimani deve andare il nostro riconoscimento. Come deve essere sempre vivo il ricordo ed il riconoscimento di quanti si batterono e si opposero anche senza armi e soffrirono nelle carceri e nelle cantine, tutti accomunati dal valore della Libertà.

Gli osimani hanno scritto sul cippo commemorativo, dove sono scolpiti i nomi dei partigiani caduti nella battaglia del 17-18 luglio 1944, in località Casenuove

SPERANZA DI  LIBERTA’ CI AFFRATELLO’
RICORDATECI UNITI

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Osimo calls World: Donatella Fiorani

Fiorani Donatella nata in Osimo, classe 1956.
Sono tantissime le storie che legano la nostra città con il Mondo. Donatella Fiorani, amica gentile e sempre con l’animo rivolto verso gli altri ci racconta il suo straordinario percorso di vita che oggi la vede impegnata in Canada.

Donatella Fiorani

A tutti voi osimani che mi leggete, un caro saluto da Montréal (Canada) da Donatella Fiorani, classe ‘56, osimana “doc”, ma già da molti anni assente dalla nostra bella cittadina. Sono nata in Piazza del Comune: i miei genitori (Franco e Marisa) erano comproprietari del Caffé Centrale insieme ai miei zii Gabriele – detto Biba – e Anna. Certamente molti di voi ricorderanno i buonissimi gelati (“Bimbi belli, bimbi sani, coi gelati di Fiorani”), gli squisiti Ali’ Baba’ (Biba li vende e Franco li fa),i tavolini in piazza, i “Bibaroli” in piedi, davanti al Bar, a chiacchierare… Ho una sorella, Daniela, che attualmente vive a Bologna, e un fratello, Francesco, detto Chicco, sposato con Stefania e padre di Matteo e Caterina. Loro vivono in Osimo.

La mia vita da bambina e da adolescente è simile a quella di tante altre mie coetanee: ho frequentato la Scuola elementare Bruno da Osimo con la mia amatissima maestra Maria Strappati, le Scuole Medie alla Caio Giulio Cesare insieme alla mia inseparabile compagna Francesca Fei e poi il Liceo Classico “Federico e Muzio Campana”. Di questi anni di scuola ricordo benissimo i miei insegnanti, a cui sono grata per averci dato e richiesto il massimo impegno, e i miei compagni e compagne. Sono troppi per poterli nominare tutti  e certamente rischierei di dimenticarne qualcuno, ma  – se leggono queste righe- voglio rassicurarli che sono tutti “presentissimi” nella mia memoria e nel mio cuore.

Anche lo sport ha avuto un posto importante per me: la pallavolo nella Volleyball, la pallacanestro con la Lenco Robur, il tennis, al Circolo del Tennis di Via Olimpia.

Sono a Montréal dal settembre 2016. Quando mi capita di fare conoscenza con qualcuno e dico che sono italiana, due sono le reazioni immediate del mio interlocutore. La prima: ” Ah, l’Italia!” e in questa esclamazione si sente tutta l’ammirazione, perché qui Italia significa bellezze naturali, arte, musica, storia, cibo buono…E, immediatamente dopo, una domanda: ”Perché hai lasciato l’Italia per venire qui?”

Eh già! Perché ho lasciato la mia bella Osimo e poi l’Italia? Cercherò di spiegarvelo.

Galeotto fu uno spettacolo musicale al Teatro la Fenice, nel lontano febbraio 1970. Avevo 13 anni e, come la maggior parte degli adolescenti, stavo mettendo in discussione quanto i miei genitori mi avevano insegnato. Una delle cose che non capivo era perché dovevo andare alla Messa e fare la “brava ragazza”, quando era molto più interessante seguire i discorsi di un mio cugino, anarchico militante e ateo, che voleva cambiare il mondo.

A quello spettacolo mi aveva invitato mia sorella e anche se non andavamo tanto d’accordo e avevamo gusti e abitudini molto diversi, ho accettato l’invito perché la musica mi piace . Il gruppo musicale si chiamava “Gen Rosso”: erano giovani provenienti da vari Paesi e, con mia grande sorpresa, nel loro spettacolo parlavano di un Dio che è amore e di un Vangelo da mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Ma quello che mi ha veramente colpito è stato il loro modo di salutarmi quando, dopo lo spettacolo, sono andata da loro insieme a mia sorella: sembrava che mi conoscessero da sempre, non era solo gentilezza, era qualcosa di più. Dopo quella sera ho voluto conoscere meglio il Gen Rosso, e ho scoperto che erano espressione di un Movimento più vasto, il Movimento dei Focolari, nato a Trento nel dopoguerra da Chiara Lubich e da un gruppo di ragazze. E ho scoperto che anche mia sorella e le sue amiche facevano parte di questo Movimento, e questo spiegava perché Daniela, da qualche tempo, era diventata così gentile con me.

Questa “scoperta” ha dato un nuovo corso alla mia esistenza. Continuavo a fare le cose che facevo prima, ma adesso avevo uno scopo, un ideale che condividevo con tanti altri giovani in tutto il mondo: dare il nostro contributo per un mondo più unito, più fraterno. Ho cominciato a partecipare a Meeting internazionali, a conoscere persone di varie lingue, Paesi, culture e anche di religioni diverse e questo mi ha aiutato a uscire dal mio piccolo mondo per avere una visione più larga.

Dopo il Liceo, mi sono iscritta all’Università di Urbino, dove ho studiato Scienze politiche e, contemporaneamente, ho fatto il corso di Studi Superiori per diventare Assistente Sociale. Finiti gli studi, ho trovato subito un lavoro come Assistente Sociale nel Consultorio familiare di Osimo e, contemporaneamente, mi sono trasferita ad Ancona per entrare a far parte del “focolare”, cioè di una di quelle piccole comunità presenti in varie parti del mondo, che sono al cuore del Movimento dei Focolari. Sono rimasta ad Ancona fino al 1999 e poi mi sono trasferita a Bologna. Sia ad Ancona che a Bologna ho lavorato come Assistente Sociale alle dipendenze del Ministero della Giustizia, con i minorenni autori di reato: un lavoro appassionante, che mi ha messo a contatto con tante situazioni dolorose, che non avrei mai immaginato potessero esistere. Molti di questi ragazzi erano immigrati da Paesi poveri e la loro condizione li aveva spinti a entrare nell’illegalità.

Nel 2016, quando ormai ero arrivata al vertice della mia carriera professionale, mi è stato chiesto se ero disponibile a partire per il Canada, per far parte del focolare di Montréal… non ho esitato ad accettare la proposta, ed ecco perché ora mi trovo qui!

Sono arrivata a Montréal a settembre, nella stagione più  bella, quando fa ancora caldo e gli alberi si tingono di rosso, di giallo, di arancio: un vero spettacolo davanti al quale i migliori quadri degli impressionisti sembrano impallidire!

Sono stata accolta con calore dagli amici del focolare e, all’inizio, tutto mi sembrava bello e interessante. Ma, dopo i primi due mesi, come tutti gli immigrati, ho sperimentato il cosiddetto “shock culturale”. Tanto per cominciare mi sono resa conto che il mio francese, studiato a scuola e mai più praticato, non era sufficiente per  comunicare con la gente di qui che, oltretutto, parla il québecois, cioè un francese un po’ diverso. A metà novembre ha cominciato a nevicare e ho iniziato a sperimentare l’inverno canadese, con temperature che arrivavano anche ai 30 sotto zero, con la neve alta 30- 40 cm e con la terribile pioggia “verglassante” che trasforma tutto in ghiaccio: il marciapiedi, dove sembra di camminare sul sapone, lo sportello della macchina, che devi aprire a colpi di scalpello, etc.

Ho cominciato a sentire la mancanza dell’Italia e di tutto quello che aveva costituito la mia vita fino a quel momento. Si è trattato solo di una fase iniziale e, a poco a poco, queste difficoltà si sono trasformate in sfide che mi hanno permesso di imparare tante cose nuove fino a sentirmi sempre più a casa (anche se ci sono alcune cose che continuano a mancarmi: i miei familiari, innanzitutto, ma anche il parmigiano e il mare di Marcelli con il Monte Conero!)

Per imparare la lingua ho potuto usufruire di un corso di francese di 6 mesi che il Québec offre gratuitamente ai nuovi arrivati, e più volte ho ringraziato in cuor mio la mia prof. di francese, la signora Elisabetta Niccoli, che mi aveva dato delle ottime basi di grammatica e una buona pronuncia. Per quanto riguarda il freddo, ho imparato a vestirmi adeguatamente: qui ci sono cappotti garantiti per le temperature polari e stivali con i cramponi incorporati che non ti fanno scivolare sul ghiaccio. Tutti gli ambienti sono ben riscaldati, compresi gli autobus, il metrò, e persino i sedili delle auto!

E poi, sarà forse a causa dei cambiamenti climatici, ma gli ultimi due inverni non sono stati così freddi e si poteva circolare tranquillamente senza tanti problemi.

Il Canada è un Paese immenso, ricco di fiumi e di laghi, e, fino ad ora, ne ho conosciuto solo una piccolissima parte: la regione del Québéc, dove vivo e dove si parla il francese, e qualche città dell’Ontario (Toronto e Ottawa), regione per lo più anglofona. In Ontario ho visitato anche le famose cascate del Niagara: uno spettacolo mozzafiato!

Montréal è una bella città moderna su un’isola circondata dal grande fiume San Lorenzo. La zona che mi piace di più è il “Vieux Port” dove respiri un po’ della storia della città, fondata nel 1642 dai coloni francesi. Qui c’è anche la bellissima Chiesa di Notre-Dame, costruita sul modello di Notre-Dame de Paris. La storia di Montréal à molto particolare e interessante, ma non c’è qui lo spazio per raccontarvela. Vi invito ad andare a cercarla su internet.

Per quanto riguarda la vita sociale, definirei il Canada come il Paese delle “3p”: pulizia, puntualità, politesse (gentilezza). La gente è molto rispettosa degli altri: per salire sull’autobus,  pagare alla cassa di un negozio o arrivare allo sportello di un ufficio pubblico si fa la fila, aspettando pazientemente il proprio turno. Raramente le case sono circondate da cancelli, perché la proprietà privata è sacrosanta e nessuno si sogna di entrare nel giardino di un altro. Le strade sono molto pulite: è raro trovare cartacce per terra. In prossimità di Parchi o di scuole si rispetta il limite di velocità di 30 Km all’ora e i pedoni possono tranquillamente attraversare sulle strisce pedonali, sicuri che gli automobilisti doneranno loro la precedenza.. Davanti alle Scuole ci sono i cosiddetti “brigadiers”: uomini o donne gia’ in pensione che aiutano i bambini ad attraversare la strada e che, per fare questo servizio, restano per ore sotto la pioggia, la neve o il sole cocente.

Qui si arriva puntuali: mi è capitato di aver dato un appuntamento alle 5 del pomeriggio ad una persona e di averla vista fuori già dalle 5 meno 10, ma ha aspettato le 5 in punto per suonare alla porta!

In questo Paese il tasso di disoccupazione è bassissimo, c’è tanta richiesta di mano d’opera, ma per poter entrare nel Paese dall’estero non è così semplice e, soprattutto, se si vuole esercitare una professione “intellettuale”, bisogna  ricominciare a studiare.

Io, ad esempio, sono qui con un permesso “religioso” che mi permette di lavorare solo nell’ambito della Chiesa e per questo, da due anni, lavoro per la Diocesi di Montréal. Dopo qualche mese dal mio arrivo ho fatto anche volontariato in un Centro di “Pediatria Sociale”, in uno dei quartieri più poveri della città, poi in un Centro per richiedenti asilo e anche come insegnante di italiano in un Centro Comunitario. Naturalmente continuo a partecipare attivamente alle attività e alla vita della comunità locale del Movimento dei Focolari. Tutte esperienze che mi hanno permesso di conoscere un po’ di più questa società e mi hanno arricchito tanto.

Da quando è scoppiata la pandemia lavoro da casa, in ‘teletravail’ e questo, se mi risparmia di prendere l’autobus, il metro e di non temere più le tempeste di neve, ha limitato molto i contatti sociali che ho mantenuto attraverso il telefono, per  Zoom o Teams. Sto frequentando anche un corso di inglese su Zoom, e questa e’ una nuova sfida che mi trovo ad affrontare. Durante la pandemia le chiese sono rimaste chiuse a lungo, poi hanno riaperto ammettendo solo 10 persone per celebrazione, poi 25,e ora, finalmente, 250.

La vaccinazione à cominciata in ritardo, perché il Canada non era produttore del vaccino e ha dovuto attendere le forniture dagli Stati Uniti e dall’Europa. Ma ora siamo a una buona percentuale di vaccinati (io ho già ricevuto entrambe le dosi di Astra Zeneca, fortunatamente senza conseguenze negative) ed è già iniziata una lenta ma progressiva fase di deconfinamento.

Ci sarebbero tante altre cose di cui parlare, come ad es. la passione per l’hokey su ghiaccio (proprio in questi giorni la squadra di Montréal à impegnata nelle finali della coppa Stanley), la difficile relazione tra il governo canadese e  le “Prime Nazioni” (che fino a questo momento avevo conosciuto sotto il nome di “Indiani”), i piatti tipici del Québec, come la poutine e il paté chinois, oltre al famoso sciroppo d’acero . Ma non ho lo spazio per farlo e, soprattutto, voglio lasciarvi con la curiosità e la voglia di venirmi a trovare!

L’ultima volta che sono tornata a Osimo è stato nel maggio 2019; torno sempre volentieri nella mia città natale, ma ho provato una certa tristezza nel vedere molte case del centro disabitate: è come se il cuore della città avesse cessato di pulsare al ritmo che conoscevo.

Il messaggio finale che vorrei lasciare agli osimani, soprattutto ai giovani, è di imparare ad apprezzare un po’ di più il nostro Paese. Noi italiani ci lamentiamo spesso di tutto quello che non va, ma bisognerebbe vivere un po’ all’estero per vedere quante ricchezze abbiamo e che gli altri ci invidiano!

Inoltre, in base alla mia esperienza, direi di essere sempre aperti al dialogo con chi è diverso da noi , di evitare ogni atteggiamento di superiorità perché magari abbiamo avuto la fortuna di nascere in un Paese dove non si soffre la fame, dove c’è libertà di espressione e la possibilità di studiare. Ogni differenza può diventare una ricchezza se la sappiamo accogliere, ogni popolo ha qualcosa da donare agli altri, ogni persona è un dono e la cosa più importante, che resta al di là del tempo e delle distanze, sono i rapporti più belli che abbiamo il coraggio di costruire.


Grazie Donatella  per averci fatti partecipi del  tuo straordinario “intreccio” di vita  che da Piazza del Comune ti ha condotto per le  strade del Mondo a donare amore e solidarietà.
Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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Women20: una bella sfida

 

Al via a Roma, sotto il coordinamento di Linda Laura Sabbadini, il Women20. Il G20 delle donne durante il quale, spiega Repubblica, si discuterà “di lavoro e imprenditorialità femminile, di opportunità offerte dallo sviluppo digitale, di accesso all’istruzione e ai servizi di cura, di presenza paritaria nei luoghi decisionali”. Ma anche “di divario salariale e tecnologico, di contrasto agli stereotipi di genere e alla violenza”. Una bella sfida.

Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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L’immagine più significativa di questi campionati europei

In queste serate di calcio mio marito ha dato sfogo alla sua sapienza calcistica. Durante le telecronache, mi ha spiegato cos’è il fuorigioco, la triangolazione, la diagonale, la difesa a quattro, l’importanza del piede di appoggio nella battuta del rigore, ……. ma siamo entrambi ammutoliti con gli occhi gonfi di lacrime davanti l ‘immagine dell’abbraccio tra Vialli e Mancini.
Un abbraccio intenso, lunghissimo, bellissimo tra due amici. Un abbraccio che ha racchiuso i tanti abbracci che non ci siamo potuti dare in questi cupi e lugubri mesi. Un abbraccio sincero e profondo. Unico nella sua semplicità che sa anche di “fare squadra”, di “amicizia sincera”, di “empatia nei rapporti” che sarebbe bello riscoprire in ogni aspetto della nostra vita: nel lavoro, nelle relazioni personali, nell’impegno  politico.
C’è tanto da imparare da questa bella immagine 💙


Paola Andreoni 

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Centro estivo ludico-educativo Omphalos

Visita al centro estivo ludico-educativo Omphalos organizzato in collaborazione con i servizi sociali del Comune di Osimo .
I bambini e le bambine sono seguiti nel rapporto 1 a 1 da educatori specializzati e da un Equipe di professionisti e le attività proposte sono concepite per bambini nello spettro autistico.
La Vice Presidente dell’associazione Antonella Scala ha illustrato all’assessore ai servizi sociali Paola Andreoni le attività svolte.

Un ringraziamento va all’impegno delle famiglie Omphalos e alla Dirigente scolastica Rosanna Catozzo per aver messo a disposizione i locali della Scuola dell’infanzia il Girotondo.

Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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E’ ora di dire basta a Viktor Orban ed ai suoi amici nazionalisti

Bene ha fatto  l’Unione Europea ad  intervenire con misure significative contro l’Ungheria, al centro delle polemiche per la sua legge omofoba entrata in vigore ieri.
Queste le parole della Presidente Ursula von der Leyen: “Se l’Ungheria non aggiusterà il tiro la Commissione userà i poteri ad essa conferiti in qualità di garante dei trattati. Dobbiamo dirlo chiaramente: noi ricorriamo a questi poteri a prescindere dallo stato membro”.


Ricordiamo sempre i  celebri versi del pastore luterano Martin Niemoeller:
«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»

Paola Andreoni
vice Sindaco di Osimo

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Osimo calls World: Valfrido Valeri

Valeri Valfrido nato in Osimo il 13 aprile  1963.

Valfrido è un  artista di forte tempra, pianista  di prestigio internazionale, concertista e musicista a tutto campo, anche docente appassionato dalle non comuni doti,  apprezzato e stimato in Svizzera, dove oggi risiede e dove si esibisce  in sempre nuovi e stimolanti percorsi musicali.   

Valfrido Valeri un artista osimano in Svizzera

Nato ad Osimo nel 1963 ha studiato pianoforte al Conservatorio di Basilea in Svizzera  dove si è poi diplomato nel 1986 con ottimi risultati, tra i migliori diplomati dell’anno. Una passione per la musica, quella di Valfrido,  che risale alla  primissima infanzia; la sorella Patrizia, più giovane di due anni, strimpellava o per meglio dire “maltrattava” in casa un vecchio pianoforte, ( pianoforte che da autodidatta è diventato il mio compagno di giochi e poi in seguito il mio strumento di studio e lavoro).  Così per caso iniziai a suonare il pianoforte. mentre il nonno, Volero è stato un valente  maestro della nostra banda cittadina, nonché grande appassionato della musica lirica.  Nella casa e tra i vicoli di San Marco dove Valfrido è venuto al mondo, oltre al familiare rumore degli attrezzi dei tanti  artigiani che animavano il rione, si “respirava” la bella musica, deliziando le orecchie, il cuore e anche l’anima  dei residenti  del rione: dalle opere liriche che intonava Franco Turicchi, alle belle melodie, alle operette, ai valzer viennesi, alle canzoni d’autore tanto familiari anche nei ceti meno abbienti della popolazione. Devo aggiungere che un mio zio materno in Austria è stato professore di tromba al conservatorio di Klagenfurt (Carinzia). Era molto famoso negli anni ’50, tanto da il riconoscimento con   la Croce Federale al Merito della Repubblica d’Austria.
La musica per me è stata e continua ad essere una parte fondamentale della giornata“, così mi ha risposto Valerio quando gli ho chiesto  cosa significava per lui suonare.
A 23 anni, una volta conseguito il diploma  al Conservatorio sotto la guida del  maestro e famosissimo pianista austriaco  Peter Efler, Valfrido ha seguito corsi di perfezionamento pianistici in diverse parti del Mondo: Norvegia, Austria e poi anche tanta Italia.

Da più di trent’anni gira l’Europa ed ha al suo attivo numerosi concerti esibendosi in recital, con orchestra e in diverse formazioni cameristiche in prestigiose sale tra cui il Teatro “La Fenice” di Venezia (1986), St.Charles Hall e Kultur-und Kongresshaus di Lucerna, Stadt-Casino di Basilea, ai teatri Ischgl, Schwaz, Vienna, Parigi (Music Cora),  riscuotendo ovunque sincera approvazione dalla critica e grande successo di pubblico. Ha suonato per importanti enti ed associazioni musicali e continua anche oggi a svolgere un’intenza attività cameristica in Svizzera e in Austria. E’ stato ospite di importanti festival come il San Gimignano Festival estivi (1996/1997), Porsgrunn Festival in Norvegia (2002), Le Bouveret in Francia, Martigny Fondation Gianadda.  Suona regolarmente con rinomate orchestre e tra le sue collaborazioni con altri acclamati artisti spiccano quelle con la violinista Nicole Frei ed il il pianista giapponese Katsunobu Hiraki. Molto attivo anche in campo didattico, Valfrido ha  insegnato al Conservatorio e tiene lezioni masterclasses a quanti vogliono specializzarsi e prepararsi per affrontare al meglio  i più notevoli concorsi pianistici nazionali ed internazionali.

Anche se  oggi la “casa” di Valfrido si divide tra la Svizzera, Milano e Vienna che rimangono i suoi principali riferimenti artistico-professionali, tuttavia   egli  non dimentica le sue origini osimane. Ha girato e gira  il mondo, ha una bellissima ed affascinante vita che non conosce mai noia, tantissimi contatti eccellenti con artisti e gente molto interessante, parla fluentemente quattro lingue, ma appena può e soprattutto d’estate, Valfrido torna e ama vivere nella  sua natia: Osimo.
Valfrido è legato ai vicoli della nostra città, si diverte a “rispolverare” l’utilizzo del  nostro dialetto,  il sole, il mare,  un buon caffè in piazza con i cugini, zii o amici, e sopratutto ama la buonissima cucina e il “calore umano”  degli amici sinceri della Società Operaia in Via Giulia. E in questi giorni di calura di fine giugno in  Via Giulia lo troverete senza code e papillon bianco, a godersi un po’ di fresco a chiacchierare di calcio con Pasquale, Massimo Mauro, Olivio, Terzo, Polentì, Adriano, Alberto, Maria Grazia, Don Roberto, Stefano, Peppe e tutti gli altri commensali,  amici della SOMS osimana.
Mi racconta il m° Valfrido: “Mio padre Ubaldo – per gli osimani “Baldì” – era panettiere e lavorava da zio Icaro (parliamo degli anni ’50) nel forno di Via Sacramento. Per migliorare le condizioni economiche ed offrire maggiori opportunità ai suoi figli  è emigrato, come tanti italiani, in Svizzera e con lui, al seguito, tutta la nostra famiglia. Io al tempo avevo all’incirca 9-10 anni e ricordo che   non è stato facile riadattarsi in una nuova realtà, sicuramente la grande passione e il linguaggio universale della musica mi ha aiutato a superare ogni ostacolo.   Mio padre è deceduto 6 anni fa in Kenia dove, sempre, il suo spirito intraprendente lo aveva portato per una nuova iniziativa imprenditoriale. Mia madre Christine Dressler, di origine austriaca, ancora vive e sta più o meno bene. La accompagna i  consueti acciacchi, derivanti da una vita passata a lavorare per dare futuro ai figli,   tra pochi giorni compirà 76 anni. Mio padre e mia madre si sono sposati nel 1962 nella chiesetta di Santa Palazia. Oggi in Osimo ho la gran parte dei miei familiari, gli zii: Mariano Valeri, Luigi Valeri, Peppe Valeri. I cugini: Luca Valeri, Paolo Valeri, Matteo Valeri. Anche  l’ex onorevole Luigi Giacco è mio zio.
Valfrido come è nata la tua passione per il pianoforte ? Uno dei massimi geni della musica, Amadeus Mozart, era solito dire che tre sono gli elementi fondamentali per un buon pianista: la testa, il cuore e le dita. Ho scoperto solo casualmente di avere quest’intrigo di componenti. L’ascolto della musica, “della grande musica” classica di cui era innamorato mio nonno mi ha stimolato moltissimo. Volevo suonare quei pezzi magici ma non sapevo leggere la musica. Da quel momento i miei genitori decisero di farmi intraprendere un percorso di studi musicali. Tuttavia devo dire che la passione è stata l’unica medicina agli sforzi continui, all’esercizio di sei, sette ore di quotidiano studio ( e più il livello cresce e maggiore è lo studio da affrontare),  alle difficoltà che ti permette di non mollare mai anche nei momenti difficili, e ce ne sono nella vita di un artista. 
Un autore o un’opera che ama particolarmente eseguire ? Amo Franz Schubert più di ogni altro compositore. La sua musica, la liederistica,  la sua scrittura raggiungono una totale perfezione strutturale e armonica che, a mio avviso, non esiste in nessun altro compositore. Le sue opere arrivano in modo diretto al cuore dell’ascoltatore.
Ho un sogno nel cassetto ? Si poter ritornare al più presto a suonare davanti ad un pubblico e magari davanti al mio pubblico osimano. 
A tutti i giovani, ed anche ad Osimo ce ne sono, che frequentano le scuole musicali, rivolto questo messaggio che ho maturato nella mia esperienza: non abbiate paura, seguite i vostri sogni, non abbiate paura di cadere, ci siamo passati tutti, l’importante è rialzarsi… da soli. Per intraprendere una carriera musicale sono molto importanti: passione, costanza e motivazione. Vi auguro a tutti di trovare buoni maestri come è capitato a me.
Ciao Osimo.


Grazie Valfrido  musicista e maestro della nostra terra   che dalle sue mani porta la “bellezza” nel Mondo . Un orgoglio per me aver scoperto e aver potuto divulgare la tua testimonianza   che va ad aggiungersi a quelle dei tanti osimani, come te, che si fanno valere per le strade del Mondo.
Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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XVII Premio Nazionale “Renato B. Fabrizi”: un grazie al popolo e al governo cubano.

In occasione del XVII Premio Nazionale Anpi “Renato B. Fabrizi”, che si é svolto sabato 3 luglio in coincidenza del 77° anniversario della liberazione di Osimo dal nazifascismo, ho avuto – a nome dell’Amministrazione Comunale – il piacere di ricevere presso il Municipio l’Ambasciatore per l’Italia, San Marino e Malta della Repubblica di Cuba Josè Carlos Rodriguez Ruiz.
Un incontro ricco di emozioni per le parole espresse dallo stesso ambasciatore che ha dimostrato tutta la solidarietà umana e professionale espressa durante la prima ondata di pandemia con l’invio di una équipe medica presso gli ospedali lombardi.
In qualità di Vice Sindaco ho espresso i più sentiti ringraziamenti al governo e al popolo cubano.

Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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Osimo calls World: Marco Gambini

Gambini Marco nato in Osimo il 18 febbraio 1974.

Osimano, originario del Borgo e poi della zona del San Carlo, “portierone paratutto” con la squadra del Colfiorito e dell’Avis al campionato amatoriale calcio a cinque organizzato dalla Sportwear, ora è  CEO della Zannini Poland, il nuovo stabilimento produttivo polacco a Czeladz della ditta F.lli Zannini di Castelfidardo. Oggi Marco Gambini, ragazzo umile e disponibile, a cui piace la musica e leggere libri è un manager  in grande ascesa.

Gambini Marco  dal 2007 lavora e vive  in Polonia

Mi chiamo Marco Gambini e sono nato a Osimo il 18/02/1974, fisicamente all’ospedale di Osimo ma con le radici ben affondate a Borgo San Giacomo, in fondo alla Costa del Borgo.

Nel 2003 dopo la laurea all’Università di Ancona in Ingegneria meccanica sono stato assunto presso una nota torneria di precisone della zona, la Zannini Spa di Castelfidardo, come disegnatore tecnico.

Sfruttando le opportunità offerte da un’azienda moderna ed in rapida evoluzione come la Zannini, nel giro di qualche anno ho raggiunto il ruolo di responsabile dell’Ufficio Tecnico. L’azienda aveva già un piano di internazionalizzazione quando nel 2007 mi venne proposto di installare ed in futuro dirigere un’unità produttiva in Polonia.

Il paese Polonia è stato scelto sia per motivi strategici, quali ad esempio la centralità logistica rispetto all’Europa, che per similitudini culturali, quali la religione e la diffusione di un tessuto industriale già adatto alla meccanica di precisione.

Mi sono trasferito in Polonia nel 2007, nei pressi di Katowice, che rappresenta il polo dell’Automotive, dove dapprima abbiamo realizzato i lavori necessari al capannone e poi avviato una nuova realtà produttiva, che nasce e riesce a crescere in maniera rapida nonostante la crisi del 2009.

La crescita dell’azienda ha subito un’impennata dal 2014 quando siamo entrati a far parte di un progetto europeo e grazie ai finanziamenti pubblici abbiamo raddoppiato la struttura e triplicato il numero delle maestranze. Nel 2016 l’entrata di un nuovo socio italiano ha fornito una spinta ulteriore all’evoluzione della Zannini Poland portando la possibilità di investire in maniera massiccia in modo da sviluppare una crescita di +85% di fatturato dal 2017 al 2019, questo ci ha portato alla situazione attuale dove l’azienda fattura circa 20 milioni di Euro l’anno e impiega circa 260 persone.

Va sottolineato come la visione imprenditoriale della famiglia Zannini abbia fatto in modo di non impoverire gli impianti italiani ma sfruttare l’apertura di un nuovo mercato per accrescere il lavoro anche nei plant di Castelfidardo e Padova.

Nel 2015 sono stato nominato CEO ( Chief Executive Officer, corrispondente in italiano ad Amministratore Delegato)  della Zannini Poland e il mio ruolo è quello di dirigere l’azienda a 360° e gestirla in nome e per conto dei soci.

Essendo originario del Borgo, ho fatto le elementari per la Gattara (in via Roncisvalle). La mia famiglia si è trasferita , poi, quando ero ancora  bambino, vicino al Bar Baiocco, alle medie – quindi sono andato alla “Giacomo Leopardi”  in quella che allora era la sede centrale (anche detta l’Avviamento). Alle superiori ho studiato all’Istituto tecnico commerciale “F. Corridoni”(Palazzo Campana) dove ho conseguito il diploma di “ragioniere”, mentre – come ho già detto – per l’Università la scelta è caduta sulla facoltà di Ingegneria ad Ancona.

Dall’età di 16 anni ho giocato a “calcio a 5” nell’ambiente osimano avendo la fortuna di partecipare alla prima edizione di quella che poi sarebbe diventata la famosa “Gold Cup” (uno dei tornei di calcio a 5 amatoriali più grandi d’Italia), torneo che alla prima edizione contava 8 squadre. Con l’andare del tempo insieme ai ragazzi dell’Avis Osimo siamo anche riusciti a vincerlo il campionato e  toglierci qualche soddisfazione.

Ho avuto il piacere di partecipare alla nascita del calcio a 5 a Osimo, iniziando a giocare a livello federale da Osimo Stazione, per poi passare alla società Colfiorito. vedendo nascere il centro sportivo Cespo del quale ho anche avuto l’onore di prendere parte alla partita inaugurale. Con il Colfiorito ho raggiunto il mio massimo della mia “carriera” calcistica avendo anche il piacere di condividere il campo per qualche stagione con il nostro capitano “per sempre”: Lorenzo Manuali.

I miei genitori, Gambini Cesare e Grilli Maria sono nati a Osimo, ormai anziani ed in pensione vivono ad Osimo, zona Molino Mensa, vicino al ristorante Ada. La casa paterna nella quale ho il piacere di tornare per circa 1 mese e mezzo all’anno con la mia famiglia durante le varie vacanze sparse durante l’anno.

I miei genitori hanno lavorato tutta la vita nella fabbrica di grani per le corone che si trovava lungo “la strada nuova per andare in piazza” così veniva chiamata via  Cialdini, e la fabbrica, per l’esattezza, si trovava di fronte al meccanico “Meme” del Borgo.

La scelta di emigrare in Polonia è stata dettata dalla volontà ed auspicio di sfruttare un’opportunità lavorativa. Nessuno chiederebbe ad un ingegnere senza esperienza di fare una cosa del genere in Italia. Questo non deve però fare pensare che l’opportunità sia legata esclusivamente alla Polonia, nel senso che è vero che la mia professione si è sviluppata all’estero ma è arrivata perché lavoravo in una impresa italiana con una visione internazionale di sviluppo che ha dato seguito ad importante progetto di espansione.

Non penso, come sento dire ad altri emigrati, che andare via dall’Italia sia l’unico modo di fare carriera. Tutto quello che mi è successo si è verificato perché alla base c’era un’impresa italiana, con la sua cultura del lavoro e della professionalità. Non sarebbe bastato andare all’estero per fare un’azienda di successo. Sicuramente esistono professioni che in Italia non hanno un futuro, ma questo non deve far pensare che in Italia non ci siano occasioni. La mia occasione è nata a Castelfidardo. Per quel che mi riguarda sarei andato anche in Papuasia se ne fosse valsa la pena.

Dopo circa un anno e mezzo dall’arrivo in Polonia ho avuto la fortuna di conoscere Monika, la mia compagna, che ho sposato nel 2019 proprio al comune di Osimo, e con la quale abbiamo due splendidi bambini: Matilde e Matteo rispettivamente di 9 e 5 anni.

Ai bambini piace tornare ad Osimo perché negli anni abbiamo mantenuto salde relazioni con le persone per me importanti, e con le quali avevo costruito solidi rapporti prima della partenza. Ovviamente anche i bambini parlano perfettamente italiano oltre che polacco e sono contentissimi di tornare dai nonni soprattutto d’estate per godersi un po’ di sole e di mare. Proprio questa è stata per me una delle differenze più difficili da digerire tra Osimo e la Polonia, l’assenza di sole o comunque un tempo che prevede circa 200 giorni di pioggia all’anno, al posto dei 200 giorni di sole delle Marche.

Sono arrivato in Polonia nel 2007 e come anticipato sono venuto qui con una missione ben precisa, aprire – per conto del Gruppo Zannini – un’azienda e farla funzionare. Un’azienda, come la sede operativa principale di Castelfidardo,   specializzata nella produzione di minuterie metalliche tornite e componenti meccanici di precisione.

L’inizio è stato abbastanza difficoltoso, il mondo del 2007 era molto diverso da quello di oggi. Arrivato in un Paese come la Polonia sei solo, a meno che tu non conosca qualcuno. Ricordo ancora la sensazione alla bocca dello stomaco,  la mattina,  quando non sapevo che avventura mi sarebbe capitata ogni volta che entravo in ufficio. Dentro di me c’erano l’inesperienza del ruolo appena assunto, e lo sballottamento del trasferimento in nuovo Paese. Un periodo molto stimolante dove mi sentivo spesso sulle montagne russe, un momento super eccitato per la novità e il momento dopo depresso per essere stato catapultato a migliaia di km fuori dalla mia zona di comfort.

L’obiettivo è stato raggiunto in pieno e grazie al supporto della nostra casa madre a Castelfidardo siamo diventati nell’arco di 15 anni l’azienda con più persone del gruppo, con i nostri 260 dipendenti.

Nonostante mi sia laureato in Ingegneria, alle scuole superiori ho frequentato ragioneria, che sembrerebbe un percorso strano per un ingegnere.

Per i casi della vita, invece, essere ingegnere ed essere diplomato in ragioneria, sono state le mie chiavi vincenti per portare avanti il mestiere di CEO che svolgo adesso. Ho avuto la sensazione di avere unito i puntini della mia vita.

Quelli del “Corridoni” sono stati anni per certi versi complicati, corrispondendo al periodo dell’adolescenza, ma sicuramente li ricordo con nostalgia e simpatia. Molti degli insegnamenti appresi in quell’istituto sono stati fondamentali e sono ancora di riferimento e la  base per esercitare il mio attuale mestiere.

Ricordo, in particolare, con piacere e nostalgia il prof. Franco Del Prete. La conoscenza dell’inglese è stata fondamentale per poter iniziare la vita all’estero e se tutt’oggi sono un accanito lettore lo devo sostanzialmente alla prof.ssa Giuliana Bolognini che è riuscita a trasmettermi l’amore per la letteratura. Molto utili nel tempo si sono rivelati le lezioni di ragioneria della prof.ssa Anna Antonelli e di economia con le basi di diritto fornitemi della prof.ssa AnnaRita Durantini. Con il tempo ho realizzato che l’alto livello di insegnamento di quella scuola ha avuto un impatto impressionante nella mia forma mentis: l’avere avuto basi solide mi ha permesso di espandere le mie conoscenze tecniche senza impoverire le caratteristiche più umanistiche ed economiche che non sono nel bagaglio proprio di un ingegnere meccanico.

Ho iniziato a lavorare in fabbrica (come apprendista  stagionale) durante le vacanze scolastiche, da quando avevo 14 anni. Ho lavorato in varie fabbriche e artigiani meccanici, facendo tutti i lavori da “garzò di bottega”.  Proprio da quelle esperienze lavorative è partita la mia passione per la meccanica ed è “iniziato a nascere” l’ingegnere, dirigente d’azienda,  che oggi sono.

Fare tutti i lavori da “garzò” possibili durante gli studi è stata un’esperienza impagabile. Ancora oggi se ci sono lavorazioni da sistemare e perfezionare, molto spesso mi siedo al banco con l’operatore e insieme vediamo come si può migliorare il processo per realizzare un prodotto innovativo di alta qualità.

Come è stata l’integrazione con la mentalità, la lingua, il modo di vivere polacco? Non appena ho iniziato a vivere in Polonia ho capito subito che conoscere la lingua era un imperativo per potersi integrare. L’inglese mi permetteva di sopravvivere e di parlare con i clienti ma per vivere e per dirigere le persone sapere la lingua locale è un vantaggio competitivo.
Questo mi ha spinto ad iscrivermi ad un corso di polacco. Non studiavo molto ma mi sforzavo di andare a lezione per imparare le regole grammaticali (che tra l’altro sono terribili), per poi piano piano aggiungerci le parole intorno.  Così nel giro di tre anni ho imparato un polacco decente che mi ha permesso di fare un salto di qualità nella comunicazione e aumentare la qualità della gestione del team, che nel frattempo stava crescendo.
L’impatto con la società dell’est per un marchigiano expat è molto forte. Non appena arrivato è tutto molto entusiasmante in quanto le differenze che si notano sono quelle positive. Tutto è stimolante e nuovo come una vacanza. Con l’andare del tempo si fanno largo le differenze sostanziali e per lo più incolmabili, come il meteo sempre grigio, l’assenza dei cari e degli amici, ed il sentirsi comunque “lontano” in terra straniera, che se da una parte è una boccata di libertà inesauribile, d’altra parte, a volte fa emergere un po’ di nostalgia di casa.

Dopo 14 anni quasi non ricordo più come era la mia vita in Italia. Quando sono arrivato qui ero giovane e adesso ho una famiglia. I miei legami stabili sono ormai qui, lontano dalla mia Osimo che comunque porto nel cuore.
Uno dei difetti di noi italiani all’estero è che ovunque andiamo vorremmo portare un po’ di Italia con noi, anche quando questo si traduce in mangiare la pasta. Invece è proprio questo uno degli aspetti più stimolanti della vita lontano da casa: osservare, imparare e fare propri anche usi e costumi non propri. Apprezzare la differenza nel modo di pensare delle persone e sforzarsi di capire la genesi di tali differenze e realizzare che in fondo, tutto il mondo non è l’Italia e per fortuna va bene così.
Sono stato accolto a braccia aperte dai colleghi e dai conoscenti polacchi acquisiti nei periodi precedenti al trasferimento e durante la fase di pendolarismo. Si sono occupati e preoccupati di me sin dall’inizio, introducendomi alle loro amicizie e invitandomi nelle loro case. Si percepiva il piacere di condividere le esperienze e la curiosità di conoscere una persona con abitudini e costumi così lontani e per certi versi, per loro, anche un po’ esotici.

Le cosiddette differenze culturali sono evidenti e sono quelle tipiche che si possono riscontrare tra gli abitanti dei paesi dell’ex blocco sovietico e quelli dei paesi del mediterraneo.

I rapporti tra le persone in Polonia ci sembrano più freddi e molto più formali, e se per certi versi questo è vero, per molti altri aspetti non riusciamo a capire la società dove queste persone sono cresciute. Mentre da noi, nei magnifici anni ’80, pensavamo alle Timberland e ai Moncler, in Polonia per avere una finestra sull’Europa guardavano Rai 1. La gente conosce Gigi Sabani, Toto Cutugno, Drupi, Albano e Romina e la Pausini perché l’unica trasmissione internazionale che entrava nelle case polacche in quegli anni era il Festival di Sanremo. Cantanti per noi sorpassati,  sono l’ immagine del nostro Paese nella mentalità dell’est.

Per un italiano fare la fila è un disonore. Per un polacco la fila è confortante. È un retaggio del comunismo, quando avere un posto in fila significava entrare al negozio. Dovremmo imparare da loro a stare calmi ed aspettare il nostro turno come persone normali.  Mi sono accorto spesso che il nostro saltare la fila non è un modo per guadagnare tempo, ma solo di farlo perdere anche agli altri.

D’altro lato la nostra propensione al dialogo, a fare caciara, con la nostra lingua così musicale ed aperta, che contrasta con una lingua piena zeppa di suoni chiusi e spigolosi con tante consonanti, affascina i polacchi. Attenzione però: i polacchi tendono a stancarsi presto di chi parla tanto ma non dimostra con i fatti, come  – purtroppo si comportano – molti connazionali che si incontrano da queste parti.

Va notato infatti che la Polonia è piena di italiani che arrivano pensando che tutti li stiano aspettando per regalare loro soldi. Le più grosse fregature all’estero si prendono da questi soggetti, disperati e scappati dall’Italia con la speranza che la “fuffa” diventi produttiva una volta esportata, oppure qui per fregare la gente con metodi innovativi.

Purtroppo oltre la Ferrari e la pizza esportiamo anche scappati di casa che non fanno bene alla nostra immagine. Nonostante tutto però, gli italiani sono visti con un occhio di riguardo, sia per una storia di immigrazione di lungo corso in terra polacca – la Fiat è arrivata qui prima del crollo del comunismo – sia per l’immagine esotica veicolata dalla televisione che ci portiamo dietro.
Non ho notizie di osimani in Polonia, la Zannini Poland comunque impiega in totale tre italiani oltre a me: uno di Ancona, uno di Fabriano e un bergamasco doc.

La comunità italiana in generale è molto folta e ci sono associazioni sia industriali (Confindustria) che private che ci permettono di tenerci in contatto e di tanto in tanto organizzare degli incontri con connazionali e polacchi.

Sono fermamente convinto che il vantaggio di essere in Polonia si concretizzi al 100 % qualora si riesca a fare un’integrazione delle mentalità e delle forma-mentis diverse ma complementari, distanti ma spesso indistinguibili perché semplicemente umane.

Oggi mi sento  “cittadino dell’Europa”.
In particolare  apprezzo le differenze culturali e farne, di queste, un punto di forza per migliorare.
Integrarsi significa completarsi a vicenda e far fruttare i propri talenti senza entrare in inutili dimostrazioni di superiorità, sempre presunta e mai accertata. Essere cittadino dell’Europa significa essere curiosi del nuovo, ma anche affezionati al proprio background, non ho mai visto morire nessuno per troppa apertura di idee. Che gli uomini siano diversi uno dall’altro è un dato di fatto, e queste differenze non dipendono dalla nazionalità o dal colore della pelle, semplicemente ogni persona è unica e va rispettata, compresa e apprezzata per la sua unicità. Solo integrando tutte le unicità si ha accesso all’eccellenza. Se prediligere il nostro simile è un meccanismo automatico del nostro cervello, superare questo limite è un obbligo per sottomettere le azioni alla nostra volontà. Mentre dividersi e isolarsi è un istinto, completarsi viene da una volontà che ci permettere di “Essere Umani”.

Il bello della Polonia. Sicuramente la frizzante situazione di mercato, la concentrazione di tutti i maggiori player mondiali in tutti i settori (Informatico, automotive, mobili, ecc.), una situazione di grande sviluppo e cambiamento repentino, rendono la Polonia un Paese molto attraente per quel che riguarda il mondo del lavoro e del business. Qui trovare o cambiare lavoro risulta estremamente facile, come così come perderlo. Gli ammortizzatori sociali non esistono (o quasi) per quel che riguarda il mondo del lavoro. In pratica non esiste cassa integrazione e anche i contratti a tempo indeterminato possono essere interrotti con facilità. Tutto questo porta ad un costo del lavoro più basso che nel resto dell’Europa. Se pagare meno contributi è da un lato un plus, dall’altro la sanità pubblica, seppure negli ultimi anni si stia rinnovando, resta una macchina burocratica, lunga e spesso poco affidabile. Chi se lo può permettere paga un’assicurazione sanitaria privata che consente di avere un’assistenza rapida e professionale.

La forte iniezione di fondi europei strutturali renderebbe la Polonia uno dei paesi più attraenti per le nostre PMI che negli anni passati hanno fatto la fortuna del tessuto economico italiano. Qui l’aziendina a conduzione familiare che contribuisce a sviluppare tutto il territorio, cioè quelle imprese di cui sono piene le nostre aree industriali, non è molto comune. Si potrebbe dire che per motivi storici manca una mentalità imprenditoriale che negli anni ’70 ha fatto sviluppare l’Italia fino a renderla un’eccellenza a livello mondiale.

Il miglior pregio e il peggior difetto del vivere in Polonia. Il maggior pregio della vita in Polonia è la situazione economica in rapida evoluzione che permette di avere molte occasioni di miglioramento professionale e personale.
Dopo 14 anni non mi rassegno ancora al cielo grigio color Polonia. Per motivi di latitudine anche l’azzurro del cielo è sbiadito, ogni volta che vedo l’azzurro del cielo in Italia mi si riempie ancora il cuore. Per un italiano il cibo è mezza vita, qui non tanto, la contaminazione americana ha portato al proliferare dei fast food accanto ai locali di cucina tipica polacca e all’immancabile ristorante Italiano dove il pizzaiolo,  in Italia faceva il gommista. Esistono ottimi ristoranti di tutti i tipi, ma per adesso il mio preferito resta casa mia.
Ho trovato soddisfazione e realizzazione all’estero, ma non mi sento di dire che altrove si sta meglio che in patria. L’Italia è una grande nazione, fonte di ispirazione per tanti Paesi esteri e seppure alcune cose non funzionino al meglio rappresenta comunque un’avanguardia a livello mondiale per la cultura, e per le libertà individuali.
La Polonia non è uno stato assistenzialista, anzi. I governi di destra, sovranisti e populisti che si stanno succedendo stanno dando soldi facili alle famiglie per ottenere consenso senza realmente cambiare la vita delle persone, anzi impoverendole perché non stimolano l’economia ma sotto un certo punto di vista la “drogano” comprando consensi.
La disoccupazione è inferiore al 7%, due anni fa era del 4%, per cui in un sistema di piena occupazione soltanto chi non vuole non lavora, e questo conforta un governo la cui politica non è propriamente incentrata sul welfare.
La Polonia è uno dei paesi più giovani d’Europa con un tasso di crescita importante, seppur in diminuzione.
Se da una parte il governo fornisce contributi per i figli a pioggia, di fatto la politica economica di destra stimola il ricorso a sanità ed istruzione privata per avere dei servizi di qualità.
Le strutture statali esistono e funzionano seppur la burocrazia imperi, e chi vuole qualcosa in più è costretto a rivolgersi alla sanità e istruzione privata.

Per quanto riguarda la bellezza e la cultura, nella città dove vivo, Bedzin, c’è un solo edificio di interesse storico, il castello residenza estiva del re di Polonia Casimiro il grande, circondato da palazzoni di epoca comunista. Sicuramente l’influenza sovietica ha appiattito la storia pur interessante della Polonia.
La città da vedere assolutamente è Cracovia, l’unica città che abbia superato pressoché incolume la seconda guerra mondiale. Cracovia con il suo meraviglioso centro storico, il quartiere ebraico, il mercato dell’ambra, la fabbrica di Schindler e il castello di Wawel dove è conservata “La Dama con l’ermellino”, uno dei più famosi dipinti di Leonardo, è una tappa imprescindibile per ogni itinerario turistico.
Da visitare sempre nel raggio di 50 km da Cracovia c’è il museo storico di Auschwitz-Birkenau, che comprende la tristemente famosa ferrovia che portava i detenuti direttamente al campo. È una tappa obbligata per mantenere la memoria viva contro rigurgiti fascisti. La memoria è l’unico modo per combatterli e chi visita il museo ne esce sempre con una visione diversa della vita e della morte. Non è un luogo allegro ma va visitato.
Sempre nei dintorni c’è anche una famosa miniera di sale, Wielicka, in pratica una città sotterranea con cunicoli e carrucole, ormai non più operativa, che però offre uno spaccato della vita dei minatori e di come fosse organizzata l’estrazione di quello che una volta era una preziosa moneta di scambio.
Varsavia, la capitale, è stata rasa al suolo durante la Seconda guerra mondiale, le poche parti storiche del centro sono state ricostruite, e rappresenta bene la Polonia dei giorni nostri. Quando si arriva a Varsavia da sud, si accede alla città con un super strada dove a sinistra ci sono grattacieli stile city di Londra e dall’altra i block di epoca comunista. Mai immagine fu più iconica quando la vidi.

Mi manca l’Italia e la nostra Osimo ? Non è difficile immaginare che sebbene adesso i prodotti alimentari italiani siano più presenti rispetto a qualche anno fa, un bancone dei salumi con i formaggi freschi è un sogno che da 14 anni resta irrealizzato. Di Osimo mi manca la familiarità con i luoghi e le persone. Gli amici. I genitori. Vivere all’estero però ti fa sentire libero, e soprattutto all’inizio quando non conosci nessuno e loro non conoscono te, questo ti rende invisibile. Per me questo significa libertà di essere me stesso.

Dal punto di vista dei rientri quest’anno è stato quantomeno complicato dal Covid. Per la prima volta dopo 14 anni non ho fatto il Natale a casa, ma solo con la mia famiglia in Polonia.
Non rientro a Osimo da fine agosto 2020, per cui la prossima volta che verrò sarà quasi passato un anno. È il periodo più lungo in questi 14 anni, purtroppo ci siamo dovuti adeguare alla situazione internazionale.
Ogni volta che torno a Osimo noto qualcosa di diverso, ma con l’andare degli anni le differenze si fanno sempre minori  e questo perché penso il ricordo di com’era Osimo 14 anni fa si sia fatto sempre più sbiadito.
Ricordo comunque i primi anni di assenza, quando ad ogni mia visita a Osimo scompariva qualche semaforo e appariva una rotonda. Penso ai semafori del crocifisso, ai tre archi e le varie rotonde comparse con il tempo. Negli ultimi anni le novità più importanti sono il nuovo Conad all’ex Consorzio e ovviamente la nuova “Lega del Filo d’oro” in via Linguetta.

L’Italia vista dalla Polonia è molto più bella che vissuta dall’interno. È il paese dell’arte, del turismo, culla della cultura rinascimentale ed il Paese dove si mangia meglio al mondo. Se confronto la qualità della vita in Polonia, con la qualità della vita in Italia, la nostra vecchia repubblica detiene sempre la posizione d’onore. Il mio sogno sarebbe invecchiare sulle colline marchigiane, sorseggiando buon vino e mangiando pesce. Sembrano cose banali e scontate, ma queste piccole aggiunte innalzano in modo significativo la qualità della vita percepita, e nella maggior parte del mondo sono assenti. Tuttavia, come detto sopra, all’estero ci sono opportunità lavorative che ormai in Italia, purtroppo,  non ci sono più.

L’Italia però, è anche la terra delle eccellenze in vari comparti industriali e della cultura aziendale, così come lo siamo noi del Gruppo Zannini.  La diffusione della rete delle piccole industrie,  in tutta Italia ed anche  nelle nostre Marche,  sono state e continuano ad essere oggetto  di studi internazionale. Il successo della piccola media impresa, i territori che sviluppano un tessuto industriale che dà lavoro a diversi paesi nei dintorni: questi sono segni caratteristici dell’industria italiana che funzionano ovunque. Una chiave per la crescita sembra essere quella di esportare i nostri metodi e conoscenze, che uniti ai finanziamenti presenti in altre nazioni potrebbero creare sinergie per ampliare l’orizzonte dell’industria, che se chiusa in sé stessa, rischia di collassare. Esportare know-how potrebbe essere un modo di allargare la torta a disposizione delle imprese, in modo da creare sinergie con le consociate estere.

L’augurio che potrei fare alla nostra Italia è quella di tornare a ricoprire il ruolo internazionale che le compete, sia a livello economico che di immagine. Anche alla nostra Osimo auguro un futuro di benessere. Spero che la nuova generazione politica sia in grado di affrontare le sfide di integrazione e cambiamento alle quali è sottoposta la società in questo passaggio storico.

Siamo ai saluti finali.
Mi piacerebbe che della mia storia fosse scritto che la tanto bistrattata scuola italiana mi ha dato, “gratis”, i mezzi e le basi per affrontare la sfida di evolvermi come persona e di portare il mio contributo in un altro Paese. Mi piacerebbe che fosse sottolineato che, oltre che all’aspetto imprenditoriale, contribuiamo in maniera positiva allo sviluppo del personale, portando lavoro sia ai lavoratori polacchi ma indirettamente anche alle famiglie italiane.

La mia storia è un esempio di come per avere qualcosa di più, bisogna fare qualcosa in più. Allontanandomi da casa ho scoperto me stesso. Mi sono reso conto che si cresce veramente quando ci si trova da soli a risolvere i problemi. Andare lontano da casa ed uscire dalla zona di comfort permette di tirare fuori ed esprimere il proprio potenziale e contemporaneamente forma il carattere.

Nel mio futuro vedo ancora crescita personale e sviluppo lavorativo. Per adesso lo vedo in Polonia, visto l’esperienza accumulata, la conoscenza della lingua e la rete creata. Mi propongo di accrescere la mia professionalità per poter diventare un punto di riferimento per chi si appresta a un’esperienza di internazionalizzazione in Polonia, anche attraverso la nuova Confindustria Polonia del quale sono stato padre fondatore e attualmente membro del CDA.

La Zannini Poland  ha ancora tanti obiettivi da raggiungere, primo dei quali concludere la fase di investimento attuale entro tre anni. Altri ne arriveranno vista la politica di espansione dei mercati che stiamo tentando di attuare.

Osimo è sempre nei miei pensieri e ricordi. Per scrivere tutti i ricordi associati a Osimo non basterebbe un libro, in pratica ci sono 33 anni della mia vita e tutte le fasi di crescita. Ricordo con piacere i compagni e, come già detto,  i professori del Corridoni, alcuni di loro hanno veramente lasciato un segno profondo nella mia ricettiva mente adolescenziale. Ricordo tutti gli avversari e compagni del calcio a 5 incontrati negli anni, non riuscirei a ricordarli tutti nemmeno volendo, ma non posso non citare i ragazzi dell’Avis Osimo e la ex squadra del Colfiorito calcio a 5, che adesso credo si chiami Sportwear.
Osimo rappresenta per me il punto di partenza, il background che ha dato inizio a tutto. Quando ero giovane quasi odiavo la sua provincialità, pensavo che limitasse le prospettive e che tutto fosse al di fuori delle sue mura. In realtà adesso che sono distante ho capito che avere avuto la possibilità di crescere in provincia non è stata una sfortuna. Crescere nell’ambiente marchigiano mi ha permesso di acquisire una forma-mentis basata sul lavoro e sull’impegno.

Un messaggio ai miei coetanei e ai giovani della nostra città.
A tutti i ragazzi del mio team e generalmente a tutti i giovani, osimani e non, vorrei lanciare un messaggio di fiducia e speranza. Sono nato in una famiglia operaia, molto dignitosa ma con un livello di istruzione da fine seconda guerra mondiale. Eppure sono riuscito a laurearmi e per certi versi a realizzare il mio sogno, di essere un dirigente d’azienda con un ruolo importante per i soci e per la società che mi circonda.

Di storie come la mia, anche più difficili, ne sono piene le cronache. Semplicemente capitano quando le motivazioni sono più forti delle scuse. Dico quindi a tutti di non ascoltare le voci, interiori ed esterne, che tentano di farci desistere. Sicuramente non possiamo pensare di uscire da casa e trovare l’occasione della nostra vita. Per questo a volte per cercare il meglio bisogna essere disposti a fare le valigie (spesso di cartone) ed andare in cerca di un futuro migliore. Non intendo dire che sia facile e che basti provare, ma per partire tutto quello che basta è tanta voglia di fare bene e olio di gomito. Ho capito che la fortuna non arriva da sola, arriva quando ci muoviamo per migliorarci.

Con gli amici tifosi dell’ “Armata Ultrà Osimomentale” così incitavamo i nostri beniamini del calcio:
Di vivere circondati da queste mura, rendiamo grazie a Dio. Grazie a Dio siamo Osimani!!”  
Oggi mi sento di urlarlo, nel salutarVi, a tutti Voi Osimane e Osimani.


Ciao Marco “cześć”!! Ci hai raccontato cosa ci fa un osimano in Polonia. Una terra a cui mi sento legata per un istintivo sentimento di riconoscenza legata a persone e fatti : Karol Wojtyla, Lech Wałęsa, l’esperienza non violenta di conquista di libertà e democrazia di Solidarność, le vicende della comunità ebraica polacca, il cammino eroico e la storia personale dei tanti giovani polacchi dell’armata del Generale Anders che hanno sacrificato la loro vita per la nostra libertà.
Ora abbiamo un nostro concittadino che con una azienda marchigiana, senza togliere risorse al nostro territorio,  contribuisce alla ricchezza materiale di questo popolo generoso e altruista e in qualche modo a restituire quanto di buono abbiamo ricevuto.
Una  storia, quella che Marco ci ha raccontato,  fatta di intraprendenza, di idee, di innovazione, impegno ma anche di grande rispetto delle tradizioni. Non possiamo che essere orgogliosi, esattamente come lo sono stata in occasione dei precedenti contest che il giornale locale “LaMeridiana” ha ospitato. Un vanto per la nostra città scoprire quanto di buono i nostri concittadini sanno realizzare anche fuori dalle nostre mura. Wszystkiego najlepszego a te Marco ed alla tua famiglia.
 
Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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