Osimo calls World: Donatella Fiorani

Fiorani Donatella nata in Osimo, classe 1956.
Sono tantissime le storie che legano la nostra città con il Mondo. Donatella Fiorani, amica gentile e sempre con l’animo rivolto verso gli altri ci racconta il suo straordinario percorso di vita che oggi la vede impegnata in Canada.

Donatella Fiorani

A tutti voi osimani che mi leggete, un caro saluto da Montréal (Canada) da Donatella Fiorani, classe ‘56, osimana “doc”, ma già da molti anni assente dalla nostra bella cittadina. Sono nata in Piazza del Comune: i miei genitori (Franco e Marisa) erano comproprietari del Caffé Centrale insieme ai miei zii Gabriele – detto Biba – e Anna. Certamente molti di voi ricorderanno i buonissimi gelati (“Bimbi belli, bimbi sani, coi gelati di Fiorani”), gli squisiti Ali’ Baba’ (Biba li vende e Franco li fa),i tavolini in piazza, i “Bibaroli” in piedi, davanti al Bar, a chiacchierare… Ho una sorella, Daniela, che attualmente vive a Bologna, e un fratello, Francesco, detto Chicco, sposato con Stefania e padre di Matteo e Caterina. Loro vivono in Osimo.

La mia vita da bambina e da adolescente è simile a quella di tante altre mie coetanee: ho frequentato la Scuola elementare Bruno da Osimo con la mia amatissima maestra Maria Strappati, le Scuole Medie alla Caio Giulio Cesare insieme alla mia inseparabile compagna Francesca Fei e poi il Liceo Classico “Federico e Muzio Campana”. Di questi anni di scuola ricordo benissimo i miei insegnanti, a cui sono grata per averci dato e richiesto il massimo impegno, e i miei compagni e compagne. Sono troppi per poterli nominare tutti  e certamente rischierei di dimenticarne qualcuno, ma  – se leggono queste righe- voglio rassicurarli che sono tutti “presentissimi” nella mia memoria e nel mio cuore.

Anche lo sport ha avuto un posto importante per me: la pallavolo nella Volleyball, la pallacanestro con la Lenco Robur, il tennis, al Circolo del Tennis di Via Olimpia.

Sono a Montréal dal settembre 2016. Quando mi capita di fare conoscenza con qualcuno e dico che sono italiana, due sono le reazioni immediate del mio interlocutore. La prima: ” Ah, l’Italia!” e in questa esclamazione si sente tutta l’ammirazione, perché qui Italia significa bellezze naturali, arte, musica, storia, cibo buono…E, immediatamente dopo, una domanda: ”Perché hai lasciato l’Italia per venire qui?”

Eh già! Perché ho lasciato la mia bella Osimo e poi l’Italia? Cercherò di spiegarvelo.

Galeotto fu uno spettacolo musicale al Teatro la Fenice, nel lontano febbraio 1970. Avevo 13 anni e, come la maggior parte degli adolescenti, stavo mettendo in discussione quanto i miei genitori mi avevano insegnato. Una delle cose che non capivo era perché dovevo andare alla Messa e fare la “brava ragazza”, quando era molto più interessante seguire i discorsi di un mio cugino, anarchico militante e ateo, che voleva cambiare il mondo.

A quello spettacolo mi aveva invitato mia sorella e anche se non andavamo tanto d’accordo e avevamo gusti e abitudini molto diversi, ho accettato l’invito perché la musica mi piace . Il gruppo musicale si chiamava “Gen Rosso”: erano giovani provenienti da vari Paesi e, con mia grande sorpresa, nel loro spettacolo parlavano di un Dio che è amore e di un Vangelo da mettere in pratica nella vita di tutti i giorni. Ma quello che mi ha veramente colpito è stato il loro modo di salutarmi quando, dopo lo spettacolo, sono andata da loro insieme a mia sorella: sembrava che mi conoscessero da sempre, non era solo gentilezza, era qualcosa di più. Dopo quella sera ho voluto conoscere meglio il Gen Rosso, e ho scoperto che erano espressione di un Movimento più vasto, il Movimento dei Focolari, nato a Trento nel dopoguerra da Chiara Lubich e da un gruppo di ragazze. E ho scoperto che anche mia sorella e le sue amiche facevano parte di questo Movimento, e questo spiegava perché Daniela, da qualche tempo, era diventata così gentile con me.

Questa “scoperta” ha dato un nuovo corso alla mia esistenza. Continuavo a fare le cose che facevo prima, ma adesso avevo uno scopo, un ideale che condividevo con tanti altri giovani in tutto il mondo: dare il nostro contributo per un mondo più unito, più fraterno. Ho cominciato a partecipare a Meeting internazionali, a conoscere persone di varie lingue, Paesi, culture e anche di religioni diverse e questo mi ha aiutato a uscire dal mio piccolo mondo per avere una visione più larga.

Dopo il Liceo, mi sono iscritta all’Università di Urbino, dove ho studiato Scienze politiche e, contemporaneamente, ho fatto il corso di Studi Superiori per diventare Assistente Sociale. Finiti gli studi, ho trovato subito un lavoro come Assistente Sociale nel Consultorio familiare di Osimo e, contemporaneamente, mi sono trasferita ad Ancona per entrare a far parte del “focolare”, cioè di una di quelle piccole comunità presenti in varie parti del mondo, che sono al cuore del Movimento dei Focolari. Sono rimasta ad Ancona fino al 1999 e poi mi sono trasferita a Bologna. Sia ad Ancona che a Bologna ho lavorato come Assistente Sociale alle dipendenze del Ministero della Giustizia, con i minorenni autori di reato: un lavoro appassionante, che mi ha messo a contatto con tante situazioni dolorose, che non avrei mai immaginato potessero esistere. Molti di questi ragazzi erano immigrati da Paesi poveri e la loro condizione li aveva spinti a entrare nell’illegalità.

Nel 2016, quando ormai ero arrivata al vertice della mia carriera professionale, mi è stato chiesto se ero disponibile a partire per il Canada, per far parte del focolare di Montréal… non ho esitato ad accettare la proposta, ed ecco perché ora mi trovo qui!

Sono arrivata a Montréal a settembre, nella stagione più  bella, quando fa ancora caldo e gli alberi si tingono di rosso, di giallo, di arancio: un vero spettacolo davanti al quale i migliori quadri degli impressionisti sembrano impallidire!

Sono stata accolta con calore dagli amici del focolare e, all’inizio, tutto mi sembrava bello e interessante. Ma, dopo i primi due mesi, come tutti gli immigrati, ho sperimentato il cosiddetto “shock culturale”. Tanto per cominciare mi sono resa conto che il mio francese, studiato a scuola e mai più praticato, non era sufficiente per  comunicare con la gente di qui che, oltretutto, parla il québecois, cioè un francese un po’ diverso. A metà novembre ha cominciato a nevicare e ho iniziato a sperimentare l’inverno canadese, con temperature che arrivavano anche ai 30 sotto zero, con la neve alta 30- 40 cm e con la terribile pioggia “verglassante” che trasforma tutto in ghiaccio: il marciapiedi, dove sembra di camminare sul sapone, lo sportello della macchina, che devi aprire a colpi di scalpello, etc.

Ho cominciato a sentire la mancanza dell’Italia e di tutto quello che aveva costituito la mia vita fino a quel momento. Si è trattato solo di una fase iniziale e, a poco a poco, queste difficoltà si sono trasformate in sfide che mi hanno permesso di imparare tante cose nuove fino a sentirmi sempre più a casa (anche se ci sono alcune cose che continuano a mancarmi: i miei familiari, innanzitutto, ma anche il parmigiano e il mare di Marcelli con il Monte Conero!)

Per imparare la lingua ho potuto usufruire di un corso di francese di 6 mesi che il Québec offre gratuitamente ai nuovi arrivati, e più volte ho ringraziato in cuor mio la mia prof. di francese, la signora Elisabetta Niccoli, che mi aveva dato delle ottime basi di grammatica e una buona pronuncia. Per quanto riguarda il freddo, ho imparato a vestirmi adeguatamente: qui ci sono cappotti garantiti per le temperature polari e stivali con i cramponi incorporati che non ti fanno scivolare sul ghiaccio. Tutti gli ambienti sono ben riscaldati, compresi gli autobus, il metrò, e persino i sedili delle auto!

E poi, sarà forse a causa dei cambiamenti climatici, ma gli ultimi due inverni non sono stati così freddi e si poteva circolare tranquillamente senza tanti problemi.

Il Canada è un Paese immenso, ricco di fiumi e di laghi, e, fino ad ora, ne ho conosciuto solo una piccolissima parte: la regione del Québéc, dove vivo e dove si parla il francese, e qualche città dell’Ontario (Toronto e Ottawa), regione per lo più anglofona. In Ontario ho visitato anche le famose cascate del Niagara: uno spettacolo mozzafiato!

Montréal è una bella città moderna su un’isola circondata dal grande fiume San Lorenzo. La zona che mi piace di più è il “Vieux Port” dove respiri un po’ della storia della città, fondata nel 1642 dai coloni francesi. Qui c’è anche la bellissima Chiesa di Notre-Dame, costruita sul modello di Notre-Dame de Paris. La storia di Montréal à molto particolare e interessante, ma non c’è qui lo spazio per raccontarvela. Vi invito ad andare a cercarla su internet.

Per quanto riguarda la vita sociale, definirei il Canada come il Paese delle “3p”: pulizia, puntualità, politesse (gentilezza). La gente è molto rispettosa degli altri: per salire sull’autobus,  pagare alla cassa di un negozio o arrivare allo sportello di un ufficio pubblico si fa la fila, aspettando pazientemente il proprio turno. Raramente le case sono circondate da cancelli, perché la proprietà privata è sacrosanta e nessuno si sogna di entrare nel giardino di un altro. Le strade sono molto pulite: è raro trovare cartacce per terra. In prossimità di Parchi o di scuole si rispetta il limite di velocità di 30 Km all’ora e i pedoni possono tranquillamente attraversare sulle strisce pedonali, sicuri che gli automobilisti doneranno loro la precedenza.. Davanti alle Scuole ci sono i cosiddetti “brigadiers”: uomini o donne gia’ in pensione che aiutano i bambini ad attraversare la strada e che, per fare questo servizio, restano per ore sotto la pioggia, la neve o il sole cocente.

Qui si arriva puntuali: mi è capitato di aver dato un appuntamento alle 5 del pomeriggio ad una persona e di averla vista fuori già dalle 5 meno 10, ma ha aspettato le 5 in punto per suonare alla porta!

In questo Paese il tasso di disoccupazione è bassissimo, c’è tanta richiesta di mano d’opera, ma per poter entrare nel Paese dall’estero non è così semplice e, soprattutto, se si vuole esercitare una professione “intellettuale”, bisogna  ricominciare a studiare.

Io, ad esempio, sono qui con un permesso “religioso” che mi permette di lavorare solo nell’ambito della Chiesa e per questo, da due anni, lavoro per la Diocesi di Montréal. Dopo qualche mese dal mio arrivo ho fatto anche volontariato in un Centro di “Pediatria Sociale”, in uno dei quartieri più poveri della città, poi in un Centro per richiedenti asilo e anche come insegnante di italiano in un Centro Comunitario. Naturalmente continuo a partecipare attivamente alle attività e alla vita della comunità locale del Movimento dei Focolari. Tutte esperienze che mi hanno permesso di conoscere un po’ di più questa società e mi hanno arricchito tanto.

Da quando è scoppiata la pandemia lavoro da casa, in ‘teletravail’ e questo, se mi risparmia di prendere l’autobus, il metro e di non temere più le tempeste di neve, ha limitato molto i contatti sociali che ho mantenuto attraverso il telefono, per  Zoom o Teams. Sto frequentando anche un corso di inglese su Zoom, e questa e’ una nuova sfida che mi trovo ad affrontare. Durante la pandemia le chiese sono rimaste chiuse a lungo, poi hanno riaperto ammettendo solo 10 persone per celebrazione, poi 25,e ora, finalmente, 250.

La vaccinazione à cominciata in ritardo, perché il Canada non era produttore del vaccino e ha dovuto attendere le forniture dagli Stati Uniti e dall’Europa. Ma ora siamo a una buona percentuale di vaccinati (io ho già ricevuto entrambe le dosi di Astra Zeneca, fortunatamente senza conseguenze negative) ed è già iniziata una lenta ma progressiva fase di deconfinamento.

Ci sarebbero tante altre cose di cui parlare, come ad es. la passione per l’hokey su ghiaccio (proprio in questi giorni la squadra di Montréal à impegnata nelle finali della coppa Stanley), la difficile relazione tra il governo canadese e  le “Prime Nazioni” (che fino a questo momento avevo conosciuto sotto il nome di “Indiani”), i piatti tipici del Québec, come la poutine e il paté chinois, oltre al famoso sciroppo d’acero . Ma non ho lo spazio per farlo e, soprattutto, voglio lasciarvi con la curiosità e la voglia di venirmi a trovare!

L’ultima volta che sono tornata a Osimo è stato nel maggio 2019; torno sempre volentieri nella mia città natale, ma ho provato una certa tristezza nel vedere molte case del centro disabitate: è come se il cuore della città avesse cessato di pulsare al ritmo che conoscevo.

Il messaggio finale che vorrei lasciare agli osimani, soprattutto ai giovani, è di imparare ad apprezzare un po’ di più il nostro Paese. Noi italiani ci lamentiamo spesso di tutto quello che non va, ma bisognerebbe vivere un po’ all’estero per vedere quante ricchezze abbiamo e che gli altri ci invidiano!

Inoltre, in base alla mia esperienza, direi di essere sempre aperti al dialogo con chi è diverso da noi , di evitare ogni atteggiamento di superiorità perché magari abbiamo avuto la fortuna di nascere in un Paese dove non si soffre la fame, dove c’è libertà di espressione e la possibilità di studiare. Ogni differenza può diventare una ricchezza se la sappiamo accogliere, ogni popolo ha qualcosa da donare agli altri, ogni persona è un dono e la cosa più importante, che resta al di là del tempo e delle distanze, sono i rapporti più belli che abbiamo il coraggio di costruire.


Grazie Donatella  per averci fatti partecipi del  tuo straordinario “intreccio” di vita  che da Piazza del Comune ti ha condotto per le  strade del Mondo a donare amore e solidarietà.
Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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#OSIMANI con l’hashtag: i f.lli Lanfranco e Gabriele FIORANI vale a dire Franco e Biba

Ci sono luoghi della città, famiglie, persone, volti, atmosfere forse dimenticate, dei quali è bello ed è importante condividerne il ricordo e la storia.

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Fiorani Lanfranco ( per i più “Franco”) e suo fratello Gabriele ( per gli osimani “Biba”) sono stati i storici proprietari  ed ultimi gestori del “Caffè Centrale” diventato per gli Osimani di ameno due generazioni non solo un punto di ritrovo, ma anche un riferimento nella geografia della città. Una storia che c’è tutta e che non è una forzatura del marketing, una storia che – come evidenziava la vecchia scritta posta accanto all’entrate dell’esercizio di Piazza del Comune al n° 11 – ha avuto origine nel 1894.

fiorani-brothersTutto è partito, come mi riferisce Franco classe 1923, con il nonno Clemente che apre nell’immobile di Piazza del Comune prima una semplice cantina che poi trasformò, all’inizio del ‘900, in  “Albergo Fiaschetteria e Ristorante Fiorani “. Un’attività condotta con la moglie Rosa che si basava come  ingrediente del successo sulla fatica, l’impegno e il piacere di fare.
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Alla prematura morte del marito  Clemente, la moglie Rosa fu costretta a ridimensionare l’attività limitandosi all’ affitto delle camere.

Dei cinque figli: Rosa, Raniero, Ruggero, Roberto e Raimondo; solo quest’ultimo continuò l’attività familiare mentre gli altri si dedicarono ad altre professioni in particolare  Raniero si trasferì a Bologna ad insegnare Filosofia, Ruggero e Roberto emigrarono in Argentina dove trovarono fortuna.

Raimondo dopo aver liquidato tutti i fratelli ebbe l’intuito di trasformare l’esercizio di affitta-camere in quella di  bar-caffè, con la nuova denominazione dell’attività: “Caffè Centrale“. Erano gli anni del dopo guerra 1915-1918 e Raimondo FIORANI con tanti sacrifici, equilibrio e coraggio in una Osimo la cui economia si basava prevalentemente sull’agricoltura, aiutato dalla moglie Arduina POLVERINI ( anche lei osimana), riusciva con le entrate dell’esercizio commerciale a dare sostentamento e garantire una sufficiente sicurezza economica alla propria famiglia. La signora Arduina preparava in casa i “bignè”,   i “cecetti” ed i profumati “maritozzi” che tanto successo riscuotevano nella clientela.

Ben presto anche tutti i cinque figli ( nell’ordine: Clemente, Lanfranco, Elina, Gabriele e Gabriella), benchè giovanissimi, ognuno con propri specifici compiti,  iniziarono a lavorare per il “Caffè”.
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A Lanfranco appena dodicenne ma già robusto di corporatura spettava il compito di andare a comprare il ghiaccio in un locale che era collocato vicino alle attuali poste allora Carcere municipale di Osimo. Non esistevano i frigoriferi e neppure la ghiacciaia e i gelati si preparavano con i panetti di ghiaccio avvolto nella tela grezza e tanto sale grosso.

La guerra e le sue conseguenze arrivarono  quando Lanfranco frequentava il terzo anno di ragioneria. Tutti i ragazzi del 1923 e del 1924 furono richiamati alle armi. Lanfranco fu costretto a lasciare Osimo e  il padre, rimase da solo a gestire  l’attività commerciale della caffetteria di  Piazza del Comune.

Passato il fronte con i suoi segni di lutti e di danni materiali, i due fratelli Fiorani si diplomarono ragionieri nell’anno 1946.

Lanfranco che amava la ragioneria si iscrisse all’Università di Bologna per realizzare il suo sogno che era quello di laurearsi in Economia e Commercio.

Dopo aver superato brillantemente 12 esami arriva inaspettata la lettera del padre che l’informava che non poteva più garantire l’apertura del Caffè perchè ammalato e al più presto, si doveva decidere: o vendere o lasciare a Lanfranco la responsabilità di farsi carico dell’attività di famiglia.

Lanfranco e Gabriele nel 1950,  27enne il primo, e 24enne il secondo, si ritrovarono, così   a gestire  l’attività familiare.

Ad Osimo in quel periodo c’erano altri bar, in particolare in centro c’erano: il bar di “Pisciò” dove attualmente c’è il bar Diana, il Caffè di Abramo, il bar Sernari, il bar di Basì, mentre all’inizio della costa del Duomo aveva chiuso il bar Nazionale e al suo posto era stata  aperta la Farmacia Theodori.
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Lanfranco che veniva da Bologna e lì aveva avuto modo di frequentare ed apprezzare le squisitezze delle più importanti e storiche caffetterie della città delle due torri come: il bar Ferrari, il Caffè Terzi, Bar Pasticceria Zanarini, appena alla guida del “Caffè Centrale” pensò subito di apportare importanti e decisivi cambiamenti per un rilancio dell’attività. Un notevole lavoro anche di restauro, condotto però all’insegna del gusto e del rispetto della storicità del locale.

Non solo un nuovo arredamento con la predisposizione di  un lungo bancone, di due nuovi biliardi “Boeri” e nuovi tavoli da gioco, ma anche la dotazione di una più moderna tecnologia nella produzione e presentazione del caffè. Questi investimenti spiazzarono  la concorrenza, in poco tempo “il Caffè Centrale dei f.lli Fiorani” divenne la caffetteria preferita dagli osimani. In Osimo, Castelfidardo, Ancona girava voce, diffondendosi velocemente di bocca in bocca,   che il “caffè da Biba” con la sua alchimia particolare era senza pari.
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Sempre Lanfranco che della gestione del “Caffè centrale” è stato la mente aveva addirittura coniato e pubblicizzato, come oggi si fa nelle più importanti operazioni di marketing,   il nuovo brand  alla caffetteria:

Caffè Centrale, non il solito caffè espresso ma crema di caffè

Gli osimani pian piano, apprezzando l’effettiva squisitezza del prodotto, cambiarono le loro abitudini, cominciando con l’iniziare  la giornata lavorativa facendo colazione da Biba e suo fratello,  e così anche,  di  sera, era divenuto rituale andare in Piazza a prendere  il caffè di Fiorani dopo cena.
Racconta Lanfranco che per anni la loro caffetteria ha servito più di 700 caffè al giorno. Il successo lasciava la  concorrenza sempre più sbigottita per la  sorprendente capacità dei due giovani Fiorani, di aver saputo ridare linfa e vigore al vecchio bar di Raimondo Fiorani, trasformandolo, in poco tempo, nell’esercizio più noto e frequentato di Osimo.

Il segreto di tale bontà del caffè, rimasto per molto tempo tale, non era altro che la qualità del prodotto ( la nuova produzione “Segafredo”), ma soprattutto la dotazione della nuova macchina da caffè, una moderna “Gaggia” a pompa oleodinamica ad erogazione continua, sconosciuta allora in Osimo e dintorni, che produceva un prodotto cremoso, più aromatico,  un caffè speciale molto gustoso.
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Dopo il caffè , Lanfranco intuì che occorreva mettere mano ad un altro prodotto che avrebbe poi caratterizzato per sempre “il Caffè Centrale”:  il   gelato.

Fino a quel momento il gelato in tutti i bar osimani  veniva preparato ( e gli unici gusti erano la cioccolata e la crema), solo per il  sabato e la domenica ,  anche per la grande fatica che la produzione richiedeva: ghiaccio, sale e tanta manualità a mezzo di un lungo bastone a spatola.

La “ditta Fiorani” intuì che il gelato a basso prezzo e di buona qualità doveva essere offerto  tutti i giorni e per una clientela variegata: dai bambini,  agli adulti dal palato più raffinato, tant’è che ancora oggi molti ricordano il motto che Franco o Biba riferivano alla clientela mentre servivano i coni:

” Bimbi belli, bimbi sani, coi gelati Fiorani !!! 

Anche in questo campo gli anni vissuti da studente universitario tornarono utili a Lanfranco che ispirandosi ai più rinomati bar della “dotta e grassa Bologna” realizzò in un angolo riservato del negozio di Piazza del Comune un piccolo ma attrezzato laboratorio con gli strumenti e le apparecchiature più moderne per la realizzazione del gelato artigianale. Nessuno in Osimo e forse neanche in Ancona si era attrezzato e neanche aveva mai sentito solo parlare di: frigorifero a temperatura positiva dove conservare le materie prime come il latte fresco o la panna; del mantecatore; e della macchina per pastorizzare il latte.

Grazie a questi nuovi macchinari  ed alle sapienti mani di Lanfranco che con correttezza e precisione regolava il giusto dosaggio,  prendeva  corpo tutti i giorni,  dal laboratorio “magico” dei Fiorani  un gelato  soffice, morbido, caldo e delicato che non aveva pari negli altri bar osimani e di Ancona. Poi arrivarono i semifreddi e un “cremino” che è ancora oggi  vivo nella memoria e nel palato dei più golosi osimani ed affezionati clienti: ” l’Alì Babà” di Fiorani.

A proposito dell’Alì Babà in Osimo si diceva:

” Gli Alì Babà, i gelati dei Fiorani: Biba li vende, Franco li fà”.

Insomma “Il Caffè Centrale” con, dietro il bancone, i Fiorani e le loro gentili  consorti – Marisa e Anna – è stato,   tra innovazioni e ricerca della buona tradizione il bar e il luogo di ritrovo preferito dagli osimani, il luogo dove raccoglievi gli umori della gente e il “sentire” degli osimani.

Quando a 70 anni oramai suonati ( nella primavera del 1990) i fratelli  Fiorani hanno deciso di abbassare la serracinesca o per meglio dire,  passare l’attività all’attuale gestore del locale  ( ristorante Gustibus ) non è stata sicuramente una scelta facile come non sarà stata facile per i molti affezionati clienti accettarla.
I Barulli, Dedo Baleani, Sverzò, Archemuse, Farina, Carcarello, Giorgettì, Pantera, Pascucci, i tifosi del Bologna, i cacciatori amici di Biba, Nardi e gli amici pescatori di Franco, gli amici  del biliardo, i “bibaroli”, gli incalliti e nottambuli giocatori di carte, i  tanti  anonimi affezionati clienti ed Osimo hanno  perso non un qualsiasi bar ma il loro punto di riferimento, un’icona della nostra città.

Una volta liberi dagli impegni lavorativi i fratelli Fiorani hanno potuto finalmente dare seguito alle loro passioni ed ai loro interessi:
La caccia , il cane, il tifo per il Bologna,  le lunghe passeggiate per Gabriele Fiorani detto Biba oggi 91enne.
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La costruzione in miniatura di barche in legno, velieri antichi, galeoni e motoscafi ( vere opere d’arte), la cucina, gli amici del  Masci, le poesie in dialetto osimano, “i racconti di Medeo” di Umberto Graciotti e le recite della “Battaglia del Porcu” del fijo de Pietro,  la montagna  per Lanfranco che il 20 febbraio compirà invece 94 anni.

Auguri e un Grazie di cuore a queste due persone straordinarie esempio  di  coraggio, ingegno, fatica che ancora oggi, a distanza di anni, vengono ricordate con piacere e simpatia da tanti osimani, e che costituiscono un pezzo importante, e non certo minore, di un lembo della storia della nostra città.

Paola Andreoni
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