#Osimane: Peppina Pierantoni la signora delle punture

Non credo di essere l’unica osimana che la ricorda così: un sorriso rassicurante e il pizzico dell’ago sul braccio al momento dei primi vaccini.
Per quasi 40 anni il suo è stato un ruolo cruciale. Non ha solo gestito un importante servizio comunale, è stata osservatorio privilegiato di umori, paure, pianti, a volte anche di fughe all’interno dell’ufficio igiene del Comune di Osimo. 

Pierantoni  Giuseppa, per i bambini osimani di ieri: Peppina la signora delle punture e dello zuccherino

Compirà il prossimo 17 dicembre  92 anni e vive con  i suoi figli,  Vittorio e Giovanni a Castelfidardo. Hai i suoi acciacchi, soprattutto una vista malferma che le impedisce la piena autonomia, ma è ancora la Peppina dei miei ricordi: gioviale, il carattere aperto, e con una memoria brillante.  L’ho rintracciata per telefono e appena mi sono presentata, lei subito si è ricordata di me, dei miei genitori, del loro lavoro, della scuola elementare che ho frequentato,  e sono sicura che come me riserba il ricordo di migliaia di bambine  e bambini  osimani ai quali ha iniettato i vaccini anti-morbillo, anti-rosolia, anti tetanica, anti poliomielitica.

Giuseppa Pierantoni che intere generazioni,  in Osimo conoscono come “Peppina la signora delle punture e dello zuccherino” ha lavorato come infermiera presso l’Ufficio Igiene del Comune di Osimo, ufficio dove si sono alternati anche dei bravissimi medici come: Alessandro Riccioni, Edgardo Bartoli e Lanfranco Borgognoni. Era l’ufficio collocato all’interno del Palazzo Comunale, che oggi viene chiamato “l’ Ufficio di mezzo”,  adibito alle vaccinazioni obbligatorie per i bambini.  Peppina era addetta alla tenuta dei registri di vaccinazione e provvedeva direttamente alle somministrazioni, o come oggi – al tempo del Covid – abbiamo imparato a dire , inolucazione dei vari vaccini e dei loro richiami.
Gentilissima, sempre con quel sorriso rassicurante che sapeva ingannare noi bambini che arrivavamo lì diffidenti, con il “cuore in gola”,  accompagnati dai nostri genitori e dopo la puntura spesso Peppina, in regalo, sapeva recuperare il “torto” del pizzico dell’ago della puntura, con un cubetto di zucchero con il quale sapeva ricompensare la lacrimuccia.

Peppina con il suo camice bianco, simbolo dell’autorevolezza  e della rispettabilità della persona che lo indossa, ha rappresentato per intere generazioni di osimani il primo ricordo che un bambino ha delle visite mediche. Ma Peppina di formazione, in realtà,  è  una maestra. Si è diplomata, infatti, all’ist.Magistrale “Pier Giorgio Frassati”   nell’anno scolastico 1950/1951 e sue compagne di scuola sono state le maestre Rita Alessandrini, Anna Maria Belli, Sabbatini Anna Maria. Erano gli anni della ricostruzione, della prima edizione di San Remo, e desiderio di Peppina era quello di avere una cattedra e bambini a cui insegnare l’abc e la matematica, ma nella Scuola ancora latitavano i concorsi e la necessità di avere subito un lavoro stabile la spinse verso altre scelte. Si diploma Assistente Socio Sanitaria  ed entra a lavorare  nell’Onarmo ( Opera Nazionale di assistenza degli operai) organizzazione di assistenza delle classi sociali più povere. Con dedizione svolge l’attività di assistenza sociale e si dedica ad insegnare nelle scuole serali a Offagna, alla Pietà. Con lei a provvedere alle mense popolari ed ai bisogni materiali delle   tante famiglie povere osimane c’erano altre giovani osimane come Giuliana Marsili ( futura moglie del prof. Tito Belli), Maria Simoncini, Marcella Feliziani, Cesaretti Giuseppa e Adriana Fagotti.

Nel 1958 entra a lavorare in Comune per gestire l’Ufficio Igiene, ufficio dove rimarrà fino al dicembre del 1997. Anni di impegno a garantire e proteggere i bambini  delle famiglie osimane dalla varicella, dalla poliomielite, dalla pertosse. Dal punto di vista infermieristico Peppina ha vissuto gli anni delle siringhe di vetro, degli aghi di acciaio. Gli anni in cui il monouso era ancora fantascienza e il pensiero  no-vax non apparteneva neppure alla più recondita immaginazione.

Peppina  Pierantoni è sempre stata molto gentile con noi giovanissimi  utenti, preparata sensibile ed attenta nel suo lavoro che ha svolto in silenzio e dedizione. Anche se diventata infermiera per caso e necessità, mossa dal desiderio di autonomia e indipendenza, ha potuto realizzare quello che è stato sempre il suo obiettivo di vita: essere d’aiuto agli altri. Con passione ed entusiasmo Peppina è stata  una donna protagonista  della vita di tutta una generazione di osimani che merita la pubblicazione su queste pagine.


Ciao Peppina rimani nei ricordi di una generazione di noi Osimani, Peppina l’Infermiera delle punture e dello zuccherino. Grazie da parte mia e a nome di tutti gli osimani.

Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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Dal legno dei barconi dei migranti

Una bellissima idea.
Da Lampedusa a Milano, il legno dei barconi dei migranti per costruire violini. Da quel legno, che ha contribuito a riempire di morti il Mediterraneo, usciranno strumenti di vita e note di pura felicità.

Paola Andreoni 

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Osimo calls World: Dominique Guillemant

Dalla Francia ad Osimo per amore: la storia di Domique Guillemant nata in Lens il 1 novembre 1967.
C’è chi nasce con le idee chiare e chi invece per trovare la propria strada ha bisogno di percorrerne altre. Questa è la storia di una #Nuovaosimana,  Dominique, che dalla Francia ha deciso di trasferirsi in Osimo dove ha trovato amore, e la propria realizzazione professionale. Oggi vive con la sua famiglia nel cuore della frazione di  Passatempo ed insegna francese all’Università di Macerata

Dominique Guillemant nuova osimana, francese insegna all’Università di Macerata

Mi chiamo Dominique Guillemant e sono originaria di Arras (regione Hauts-de-France). Mio padre era taglia pietra e mia madre era babysitter certificata. Purtroppo, sono venuti a mancare. Sono la primogenita di quattro figli. Sono nata a Lens nel 1967 ma sono sempre vissuta in un paese alle porte di Arras. A 18 anni mi sono trasferita a Lille per motivi di studio. Arras è una città famosa per le sue piazze e deve il suo nome al termine “arrazzi” in quanto nel Medioevo era un importante centro commerciale, ed è la città natale di Robespierre… a questo proposito scherzo sempre sul fatto di aver sposato un senza testa!

Ho fatto tutto il mio percorso scolastico vicino casa. Dopo aver studiato l’inglese già alle elementari, più lo spagnolo alle medie, al 1° anno di liceo ho aggiunto l’italiano. Tre anni dopo mi sono iscritta all’università di Lille dove ho conseguito una laurea quadriennale in lettere e civiltà italiane, l’equivalente di una LM37. Purtroppo, l’Italia non riconosce il mio titolo di studio, a fronte di concorsi sono costretta ogni volta di richiedere al MIUR un’equivalenza valida soltanto a fronte di un bando di concorso. Nel 2019 ho conseguito un master in traduzione settoriale presso la Scuola interpreti di Pescara.

Prima di arrivare ad Osimo sono stata ragazza alla pari in una famiglia di Porto Recanati; è stato subito innamoramento per  le belle  colline del vostro territorio, e una grande commozione andando a Loreto. Ho ottenuto successivamente il posto di assistente “madrelingua”, prima a Recanati e poi ad Osimo. E’ a fianco di due bravissimi insegnanti, Lino Palanca e di Anna Rizza, che ho fatto le mie prime esperienze di insegnamento.

Non ho ricordi particolari della scuola, ricordo la mia maestra delle elementari che si disperava perché avevo un rifiuto per la matematica…

Fino all’età di 18 anni sono stata majorette, era una vera e propria passione… ogni tanto tiro ancora fuori il bastone per fare qualche esercizio, è come la bicicletta, non si scorda mai!  Ciò che adoravo, erano le uscite con la banda. Ancora oggi se sento suonare la banda mi emoziono e mi viene da marciare!

Quando sono arrivata in Italia per la prima volta, parlavo come un libro, i miei punti di riferimento erano Dante, Petrarca, Boccaccio, Manzoni, Parini…. Facevo un po’ sorridere. Andavo in biblioteca per stare a contatto con altri studenti e per far amicizia…  avrebbero potuto confermarlo Luciano, Antonella e Ivana e ovviamente Francesco! Quanto li ho tormentati per la tesi, eppure mi hanno sempre accolta con il sorriso. Stare lì era come stare a casa, e galeotta fu la biblioteca poiché è proprio lì che ho conosciuto Marco Bolognini anche lui giovane studente universitario.

Sono arrivata ad Osimo nell’ottobre del ’90 e nell’agosto ’93 ci siamo sposati. Insegnavo un po’ qua e là tra Osimo, Recanati, Loreto e Filottrano. Ricordo le risate insieme a Sarah Howell quando andavamo alle medie di Filottrano. Ho girato tutte le scuole del circondario prendendo un sacco di corriere, è stato faticoso, ma per poter rimanere dovevo rimboccarmi le maniche.

Una volta sposati ho seguito Marco che per lavoro era stato trasferito a Rieti,  lì ho lavorato in un liceo linguistico. Nel 1994 è nata  Chiara e ad Avezzano  – dove nel frattempo ci eravamo trasferiti per la nuova assegnazione di lavoro di mio marito –  nel 1997 è nato Damiano. Ricordo che quando venivamo in Osimo il viaggio di ritorno era tragico. Provavo tanta nostalgia di Osimo, una nostalgia che non ho mai provato per il mio Paese natio. Non so neanch’io spiegarmi questo attaccamento alla Vostra città.

Nel 2000 siamo tornati e mi sono subito messa alla ricerca di un posto dove insegnare. Ho trovato subito un posto alla Scuola per interpreti di Ancona e facevo qua e là corsi per le certificazioni. Nel 2001, ho inviato il cv alla casa editrice ELI con delle proposte editoriali, questa collaborazione ha raggiunto ormai 20 anni di età. Mi occupo di tre riviste, ho pubblicato corsi, libri di lettura, giochi da tavola… è un lavoro molto creativo. Dal 2006 insegno all’università di Macerata come esperto linguistico.

Sono diventata Italiana nel 2019, dopo due anni di pratiche estenuanti, ma ho comunque mantenuto la cittadinanza francese. Non potrei rinunciarci, sarebbe come dare le spalle alla mia famiglia. Mi dispiace sempre molto quando magari commento un fatto e mi si ribatte con ciò che accade in Francia , con frasi del tipo: “… a Voi in Francia”, in questo si capisce che per certe persone sarò sempre straniera.

Non partecipo attivamente alla vita osimana, cioè non sono impegnata in nessuna realtà sociale. Ho fatto l’esperienza di “catechista per caso”, poi l’oratorio a San Marco con la mia cara amica Rosi, e infine a Passatempo, dove abito,  dove avevo messo su un gruppetto di majorette che ha persino sfilato con la banda. È stato bellissimo!

La prima parola o espressione in dialetto osimano che ho appreso? Forse i “bardasci” e in procinto di sposarmi “moglie e buoi dei paesi tuoi” a dire il vero rivolta a mio marito!  Gli amici ridono molto quando parlando infilo qua e là parole di dialetto. Lo scorso Natale sono stata coinvolta in un’iniziativa: recitare un componimento in dialetto osimano nel Museo diocesano. Forte!

Mio marito è ingegnere e lavora a Parma, anche se attualmente – per via della pandemia – lavora in Smart working. Lo scorso anno ho cercato di raggiungerlo e ho vinto il concorso all’università di Parma, ma purtroppo ho dovuto rinunciare. Questa pandemia ha sconvolto i nostri piani, ero pronta ad andare anche se lasciare Osimo non sarebbe stato facile. Qui ho il mio piccolo mondo.

Nostra figlia Chiara è laureata in Educazione professionale e in Scienze pedagogiche a Macerata, lavora all’Anffas di Macerata. Damiano conseguirà a marzo la magistrale in ingegneria informatica a Bologna.

Cucino di rado piatti francesi, mi piace la cucina italiana! Sono diventata una pizzaiola provetta e ho cercato anche di fare la sfoglia. Un giorno la nonna di mio marito l’ha vista e mi ha chiesto se fosse un aereo… fine dell’esperimento😊 ! Ogni tanto mi piace fare il gratin di porri (o di indivia) arrotolati nel prosciutto cotto, poi le crepes dolci il giorno di Martedì Grasso e la galette des rois all’epifania. Poco altro…

Quando mi si chiede di parlare del mio lavoro provo sensazioni contrastanti. Da una parte c’è il lavoro in sé, mi riferisco all’insegnamento che mi appaga. Dall’altra sono arrabbiata se penso alle mie condizioni contrattuali. Ogni anno, devo sottopormi ad un concorso, un colloquio che si svolge di fronte ad una commissione formata anche da docenti con i quali lavoro regolarmente da anni. A due riprese l’Ateneo ha perfino deciso di non ribandire il posto,  operando una rotazione all’interno delle graduatorie di merito, mettendo a rischio la mia situazione lavorativa. Mi è stato ripetutamente sottolineato che nulla mi è dovuto e che il posto che occupo da 16 anni non è mio. Non nascondo lo sconforto, né quanto sia molto umiliante. Il co.co.co è davvero una tipologia di contratto disarmante e ingiusta. Non ho diritto a malattia, ferie, tredicesima e sono pagata ogni tre mesi pur facendo 30 ore di lezione a settimana. Come mai non viene applicato il Decreto dignità anche in questi casi?

Osimo bello, Castello segreto… Sì, Osimo è davvero una bella cittadina, mi sarebbe piaciuto rimanere in centro ma c’era il problema dei parcheggi e della viabilità in caso di eventi. Ricordo che non era semplice, carica della spesa con bambini appresso, un vero tour de force! Andiamo in piazza il sabato mattina per far rifornimento di ortaggi freschi alla piazza delle erbe, poi la colazione da Ridolfi… per forza! Andiamo a messa al Santuario al quale sono particolarmente legata e dopo la messa incontriamo gli amici. Non sempre partecipo alle proposte culturali, un po’ di più durante le feste patronali. Quest’anno i frati conventuali del santuario mi hanno chiesto di curare una rubrica in “Donare pace e bene”, la rivista del santuario. Adoro scrivere in italiano, specialmente se si tratta di Francesco d’Assisi.

Il miglior pregio di Osimo? Il suo centro storico, è piacevole passeggiare sul corso e sul belvedere. Quando mi vengono a trovare parenti rimangono sempre estasiati. La mia regione viene chiamata “le plat pays”, qui è un susseguirsi di saliscendi. Devo dire che prendere la patente in Osimo è stata un’impresa per una che veniva da un territorio piatto!

Il peggior difetto? Il traffico nelle ore di punta, a volte ci metto quasi mezzora da Passatempo fino a via Marco Polo! E una volta secondo me i giardini pubblici erano più curati, perlomeno se vedo le foto del matrimonio mi sembrano molto diversi. Dicono che quando il nonno di mio marito era il giardiniere erano un gioiellino.

Cosa bisogna evitare con gli Osimani? Penso che i rapporti interpersonali siano un po’ uguali ovunque, con certe persone riesci ad intessere relazioni, con altre no. Io sono una persona aperta ma vivo in una frazione, è diverso dallo stare in centro. Le frazioni sono come famiglie allargate, rimani sempre uno che viene da fuori, anche se sei un osimano che viene dal centro. Ci sta! Comunque, ho delle carissime amiche anche lì e dei vicini di casa fantastici! Quando veniva mio padre e andavamo in centro si stupiva di quanta gente mi salutasse e questo è bello! Ti fa sentire parte della comunità.

Se doveste andare dalle mie parti, vi inviterei a visitare le piazze di Arras e a salire sul Beffroi, tipica torre civica del nord. Poi vi suggerirei di andare a visitare il Memoriale di Vimy e Notre Dame de Lorette con il suo grande anello dove figurano i nomi di tutti i caduti della Prima guerra mondiale. Essendo terra di miniere, vi direi di andare a visitare il “Centre historique minier” di Lewarde e di andare a Loisinor, una pista da sci artificiale costruita su un “terril” di 129 metri. I terrils sono formati con gli scarti della miniera. I miei nonni erano minatori e ho ancora un pezzetto di carbone riportato da mio nonno materno, è un ricordo al quale tengo molto. Per il pranzo, vi consiglierei “la carbonade” o un formaggio puzzolentissimo: “il Maroilles”. Poi di bere una tazza di “chirorée” o di “genièvre” per chi ama le sensazioni forti (40° di gradazione alcolica)! Siamo chiamati “chti”, che è anche la nostra lingua regionale e contrariamente a quanto si pensa, non è una zona  fredda e la gente è calorosa e festaiola. Quando mi si chiede da dove vengo è un crescendo: Sei di Parigi? No, più su. Allora sei della Normandia? No, più su. Allora sei belga! Ecco, sappiate che in mezzo c’è la mia regione e che vale la pena visitarla!

Non vado molto spesso, ma non ho il “mal du pays”, non l’ho mai avuto. Casa è dove ti costruisci una vita, e ormai ho trascorso più tempo in Italia che in Francia. Ho mio marito, miei figli e gli amici… non mi manca nulla! Poi con le nuove tecnologie ora è più facile rimanere in contatto con mio fratello e mia sorella. Quando andavo a trovare i miei, dopo tre giorni avevo già nostalgia di casa.

Ad Osimo non mi risulta ci sia una comunità di miei connazionali. Sono qui da più di 30 anni ma la gente mi identifica ancora come “la francese”, è anche vero che la r moscia non mi abbandonerà mai. Sono un’immigrata come tanti altri, ormai viviamo in un mondo globale ed è normale che Italiani vadano a vivere fuori e viceversa. Ho una carissima amica tunisina, un’amica spagnola, un amico rumeno, una cinese, un’argentina…. È bello no? Non ho mai cercato di stare per forza con altri francesi, semplicemente perché avremmo parlato francese e non avrei fatto progressi in italiano. Mi capita di incontrarne d’estate al mare e non nascondono la loro invidia, sono consapevole di vivere in un posto stupendo.

A volte sento commenti sugli immigrati, trovo la cosa di cattivo gusto e chi le fa dovrebbe sciacquarsi la bocca con il sapone perché ci sono anche tanti Italiani che vivono fuori: c’è posto ovunque e per tutti sotto questo sole! Poi le persone che si comportano male e infrangono la legge non appartengono ad un unico popolo! Il multiculturalismo è un arricchimento, conoscere altre culture e altri modi di fare è bello. Quando la mia amica tunisina mi porta dolcetti tipici faccio salti di gioia! Gli unici commenti sgradevoli che ho sentito sono cliché sui Francesi: in Francia si mangia male, i camerieri sono sgarbati, i Francesi hanno la puzza sotto il naso e così via. Sono stata “discriminata” solo perché a qualcuno il mio accento scortica le orecchie … mi farò una ragione. 😊

Non ho sogni nel cassetto per me ma per i miei figli, auguro loro di realizzarsi nelle loro cose e se volessero migrare altrove non avrei nulla da dire… anche perché io l’ho fatto! Ora sono grandi e mi godo la vita insieme a Marco facendo qualche viaggetto. Non ho mai avuto grandi pretese nella vita, prendo ciò che viene. Chiedo solo di andare in certi posti perché san Francesco vi ha soggiornato e mio marito mi accontenta sempre perché sa quanto sia importante per me.

Come vedo e spero sia il tuo futuro? Un contratto a tempo indeterminato, dopo 16 anni credo di essermelo guadagnato… anche se ormai non ci credo più. Avanti tutta con nuove pubblicazioni e nuovi studenti da conoscere e ai quali trasmettere non solo la mia lingua ma anche la cultura francese. A chi dice che il francese “non serve più a niente” (lo sento spesso purtroppo), dico ricredetevi! Per esperienza posso dire che molti “denigrano” la mia lingua alle medie e al liceo, ma al primo anno d’università molti cambiano idea e scelgono di impararla: accade spesso che la scelgano come terza lingua e che poi diventi la loro 1° o 2° lingua. Quando accade sono felicissima! Non si impara una lingua solo perché serve! Una lingua veicola una cultura, una letteratura, dei valori… Basta fare delle lingue un concetto meramente utilitaristico! Se avessi ragionato così non avrei mai imparato l’italiano!

Voglio dire grazie ai MIEI concittadini osimani per avermi accolta, dagli amici più cari ai commercianti dove mi rifornisco. Liberatevi dagli stereotipi se ne avete, vivrete molto meglio! Non puntate il dito su coloro che non parlano perfettamente la vostra lingua, pensate a come parlereste voi la loro. Cari ragazzi osimani, amate la vostra città! Di notte succedono le peggiori cose in centro, pensate a chi viene a visitarla di giorno e vede il frutto dei vostri attivi incivili. Rovinate la cartolina! Su!

Un saluto caloroso da una senza testa di adozione! Domi


Grazie Dominique per aver dato il tuo contributo a questa iniziativa, raccontandoci la tua storia di “#nuovaOsimana”. Frammenti di vita, belle storie con spesso, le donne come protagoniste.
Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

Dominique legge “Accadrà una notte di Natale” di Umberto Graciotti.
Sala 4 del Museo diocesano di Osimo.
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Osimo calls World nuovi osimani: Fatmir Cela

Fatmir Cela nato a Vlore ( Albania) l’ otto febbraio 1987.

Ho raccontato la storia di tanti osimani, giovani e meno giovani, in giro per il Mondo e per l’Italia, sicuramente una parte migliore della nostra gioventù, ma ci sono anche le belle storie da far conoscere di quanti, lasciandosi alle spalle i loro Paesi, hanno scelto di vivere in Italia e hanno scelto Osimo come luogo della propria vita.
I giovani hanno forza e possibilità uniche per poter cambiare il Mondo e abbattere le barriere tra le diverse culture. Uno di loro è Fatmir Cela nato a Vlore in Albania, figlio di genitori immigrati, arrivato bambino nel nostro Paese, dove è cresciuto, ha giocato a calcio e si è laureato.
Anche Fatmir da giovane è stato, come oggi li chiamiamo “equilibristi fra due mondi”, o anche “generazione Balotelli”, cittadini ma anche stranieri, accolti ma anche respinti, oggi è l’avvocato Fatmir Cela.

Fatmir Cela, nuovo osimano nato in Albania,
oggi è uno stimato e apprezzato avvocato del foro di Ancona

Mi chiamo Fatmir Cela, sono nato a Valona (Albania) il 08/02/1987, terzo figlio di Ilir Cela e Marie Shllaku immigrati in Italia nel 1992 quando io avevo 5 anni.
La storia della mia famiglia è una storia di immigrazione ma soprattutto di integrazione, quell’integrazione resa assai facile dalla società italiana dei primi anni ’90 quando in pochi conoscevano lo stato albanese e le sue vicende. Chi arrivava era soltanto qualcuno da aiutare e per noi così è stato.
Di Valona in quegli anni, la città dove sono nato, ricordo il sole, il mare e il golfo. Non so perché ma i miei ricordi sono concentrati nei periodi estivi, in quelle lunghe giornate al mare passate con gli amici dei mie genitori. Eravamo sempre in tanti a raccoglierci sotto pochi ombrelloni. Poi ricordo bene casa mia. Una casa in pieno centro storico di due piani circondate da mura all’interno delle quali sorgeva un giardino tagliato a metà da un vialetto di rose, accudite con particolare cura da mio nonno, poi alberi di arance e limoni a destra e a sinistra. Gran parte del giardino era coperta da un vigneto a tetto.

Nel corso degli anni ci sono tornato poche volte, e ogni volta tutto sembrava più piccolo. L’ultima volta in cui vi ho fatto ritorno è stata a giugno del 2019, erano 15 anni che non mettevo piede in Albania, la mia fidanzata insisteva perché la portassi almeno una volta.
Ho ritrovato un Paese profondamente cambiato, rinnovato. Strade nuove, edifici moderni, una popolazione giovane e proiettata al futuro, turisti, tanti turisti.
Le uniche cose rimaste invariate sono il mare cristallino, il golfo e i tramonti.
Sin dal mio arrivo in Italia ho vissuto in Osimo, passando per Casenuove, Passatempo (dove ho frequentato la prima elementare) e infine Osimo centro.
Arrivammo in Italia una sera di novembre del ’92 io, mia madre, mia sorella e mio fratello; mio padre viveva in Italia già da un anno.
La mattina seguente potei scorgere per la prima volta Osimo. Solo nebbia e campi, quella è stata la prima immagine di Osimo che ebbi all’età di 5 anni. Eravamo in una casa in campagna a Casenuove. Quindi è questa l’Italia, pensai. A Valona c’era il sole, il mare e la città.

Da Casenuove ci trasferimmo per un periodo a Passatempo per poi trasferirci in via scalette (zona san Marco) dove abbiamo vissuto per una decina d’anni e infine definitivamente in Via Carducci.
Iniziai a frequentare da prima la Bruno da Osimo per poi iscrivermi alla Caio Giulio Cesare.
Vivendo in centro ho avuto la possibilità di farmi molti amici, con alcuni dei quali siamo ad oggi molto legati. All’epoca vivere in centro significava vivere a pieno il centro storico, le partite di calcio in piazza Duomo, le corse in bicicletta tra i vicoli, i pomeriggi passati all’oratorio San Marco e gli eventi delle sere d’estate.
Osimo per me non è stato solo scuola e amici ma è stato anche sport. Ho giocato a calcio da prima nell’Osimo Calcio del grande Roberto Bellezze per poi approdare all’Osimana, squadra con la quale, nel 2007, vinsi il campionato di promozione approdando in eccellenza.

Finite le medie alla Caio mi iscrissi all’Itis di Castelfidardo per poi cambiare totalmente rotta iscrivendomi alla facoltà di Giurisprudenza a Macerata. Nel 2015 tre giorni dopo la laurea partii per Londra.
Avevo sempre sognato di andarci a vivere un giorno e così fu, per lo meno per un breve periodo di sei mesi in cui lavorai presso un ristorante, da prima come lavapiatti, poi come cuoco. A Londra ho vissuto al 46 di Lawrence Close, nell’East London, in una casa assieme ad altre cinque persone: un’italiana , una francese, due portoghesi e un polacco. Un’esperienza unica e formativa. Il mio sogno era quello di fare l’avvocato, capì che in Inghilterra ci avrei impiegato troppo tempo, così un giorno decisi che era arrivato il momento di tornare.
Ebbi la fortuna di trovare lo studio legale presso cui oggi ho il privilegio di lavorare, affiancato probabilmente dai migliori professionisti in materia di diritto amministrativo, societario e penale.
Io personalmente mi occupo più che altro di diritto penale, materia che mi appassiona e che secondo me incarna un po’ il cuore della nostra democrazia e della nostra civiltà.
Difendere un soggetto accusato di qualsiasi delitto innalza la nostra civiltà e ci rende una società illuminata.

Oggi vivo con Eleonora, la mia fidanzata, a Campocavallo. Per comprendere quanto sia cambiata Osimo in questi anni bisogna passare per queste zone, una volta considerate agglomerati di poche case in aperta campagna, periferia, oggi quartieri rinnovati, moderni, popolosi e ben serviti.
Tuttavia, il centro storico resta un posto speciale per chi vi ha trascorso l’infanzia.
Per quel che riguarda l’integrazione nella nostra città devo dire che sia io che la mia famiglia siamo stati molto fortunati. I miei genitori sono arrivati in un periodo, i primi anni ’90, in cui l’immigrazione non era una questione ne politica ne di stampa, se ne parlava poco quindi di fatto non hanno trovato ne difficoltà ad integrarsi ne hanno mai vissuto episodi di razzismo.
Per quanto riguarda me e i miei fratelli l’integrazione è stata rapida e naturale, per i bambini è facile fare amicizia.
Oggi, le difficoltà per gli immigrati che arrivano nel nostro Paese sono molte, a partire da quelle burocratiche, avvallate da una legge sull’immigrazione che non agevola l’integrazione, a quelle culturali, dovute al diffondersi di un sentimento di paura incoraggiato da piccole ma rumorose minoranze.
Su questo fronte Osimo non mi sembra ancora contaminata, tanto si deve probabilmente a questo andirivieni di giovani che partono, ritornano e ripartono e fanno di questa città una realtà cosmopolita.


Abbattere i muri di discriminazione creando ponti d’integrazione e solidarietà è possibile. Ce lo dimostrano Fatmir e i giovani come lui che vivono, crescono e arricchiscono la nostra città del bagaglio culturale e delle esperienze di vita del proprio Paese d’origine.
Grazie Fatmir e buona vita in Osimo a te ed a Eleonora.

Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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“I have a dream”, il sogno di uguaglianza di Martin Luther King

 

Oggi è il Martin Luther King Day, come 54 anni fa, in coro contro la discriminazione di ieri e di oggi.
Paola Andreoni

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#Osimani: Giulianelli Emilio

Questa rubrica racconta storie di Osimo, di osimane e osimani che narrano la loro vita, il loro lavoro e le loro passioni. Si raccontano per farsi conoscere e far conoscere un pezzo di città. Persone comuni, persone qualunque ma che non sono affatto persone qualunque, che raccontano la loro vita quotidiana, le lotte e le sfide che hanno affrontato e che hanno reso più intensa la loro esistenza.

Milio Giulianelli una vita straordinaria: sacrestano, calciatore dell’Osimana,
magazziniere della Lenco, generoso volontario 

Ha 86 anni di nome fa Emilio, ma solo all’anagrafe, perché tutti in Osimo lo conoscono come “Milio”, il cognome è Giulianelli e questo non può cambiare. Nativo di Cingoli, per la precisione della frazione di Trovvigiano,  ha trascorso la sua infanzia in questo piccolo borgo del maceratese dove la sua famiglia era a servizio del Priore della Chiesa di San Donato. Il padre Giuseppe era sacrestano e per oltre trent’anni ha accudito la Chiesa  condividendo con il Parroco, gioie e delusioni. Alla madre, Giulia Marincioni,  originaria di Appignano, il compito di allevare i  quattro figli,  due maschi e due femmine, nell’ordine: Lidia, Maria, Ovidio e il più piccolo Milio. Una infanzia felice quella trascorsa da Milio e la sua famiglia nel piccolo borgo cingolano dove vivere sotto la protezione del Priore non offriva prospettive di ricchezza ma garantiva, comunque, un pasto sicuro al giorno, la frequentazione delle Scuole Elementari per i piccoli Giulianelli.  Con il passaggio del fronte la famiglia Giulianelli è costretta a lasciare Trovvigiano per trasferirsi a  Montefano dove il Parroco, don Antonio Taruschio,  aveva necessità di un nuovo sacrestano. Purtroppo le cose non vanno sempre nel segno auspicato. Dopo due anni di permanenza a Montefano  con  la vita che, dopo le interruzioni causate dalla guerra, aveva ripreso il suo corso naturale, e il piccolo Emilio aveva ripreso gli studi completando la scuola elementare,  un evento imprevisto sconvolgerà  la vita della famiglia Giulianelli: le conseguenze di un incidente stradale con la Lambretta renderà per sempre inabile al lavoro il sacrestano Giuseppe, lasciando nello sconforto e disperazione la famiglia che si ritrova all’improvviso senza alcuna fonte di reddito, una tragedia!.
Purtroppo quando capitano cose del genere si possono prendere solo due strade: o ti abbandoni e ti chiudi in te stesso o reagisci – evidenzia Milio – io per carattere non sono mai riuscito  a stare fermo e ho imboccato, in ogni occasione difficile, sempre la seconda via: quella più difficile, piena di difficoltà ma alla fine vincente.  Come nelle  tante straordinarie scelte che la vita mi ha messo di fronte ,   anche  allora  – ad appena tredici anni –  mi sono fatto carico di sostituire mio padre come “sacrestano” garantendo così la continuità dell’unica fonte di reddito della mia famiglia.  La vita di Milio, bambino-sacrestano, è stata  tutt’ altro che semplice: sveglia  alle 5 del mattino, l’apertura della Chiesa, correre a far suonare le campane, accendere le candele, preparare l’altare, servire messa, raccogliere l’elemosina tra i fedeli, aiutare il parroco a ricomporre i paramenti, poi di corsa alla scuola media.  Il  pomeriggio di nuovo ai servizi della chiesa: le pulizie, la preparazione per le ricorrenti cerimonie, gli addobbi della chiesa in occasione della ricorrenza dei vari Santi, il Rosario, la chiusura della Chiesa alla sera e, da ultimo, la visita serale a casa del parroco per le disposizioni dell’indomani, per rimettersi sopra i libri nel dopo cena.

Neanche la domenica,  era per Milio un giorno di riposo. Mentre vedeva i suoi amici andare a divertirsi o semplicemente a vestirsi a festa, per il giovane Milio la domenica era una giornata intensa  di operazioni da svolgere in aiuto del Parroco; a partire da far suonare la campane a festa ( allora per far rintoccare le campane non c’erano gli automatismi elettronici ma si lavorava di braccia).  Poi in aggiunta a tali impegni, aveva appena quattordici anni e da poco concluse  le scuole dell’obbligo, quando  il parroco pensò di realizzare a Montefano un cinematografo parrocchiale , il “Cinema Alba”,  in concorrenza con il “Cinema Teatro”.  A Milio, viene dato l’ incarico da parte di don Antonio  di  svolgere il ruolo di  “proiezionista”, come Salvatore il protagonista del “Nuovo Cinema Paradiso”: lui impara subito  tutto ciò che riguarda questo mestiere e  in seguito viene  delegato, sempre dal parroco,  anche a  scegliere  le pellicole da proiettare. Un impegno aggiuntivo a quello di sacrestano che Milio svolse con grande passione curando tutta la gestione del cinematografo dalla pubblicità ( provvedendo ad affiggere le locandine nei punti strategici del paese), alla vendita dei biglietti, alla scelta delle pellicole da proiettare ( documentandosi sulle trame dei film, gli attori, cercando di portare al pubblico dei montefanesi buoni film che potevano assicurare un buon incasso e nel contempo proiettare pellicole rispettose della  mentalità e dei costumi  dell’epoca e della natura parrocchiale della sala.

Il “proiezionista” Giulianelli con la “migliore gioventù montefanese”
(foto di Norberto Rimini, storico di Montefano)

Il “cinema Alba” in poco tempo surclassò per incassi e gradimento del  pubblico l’altro cinema cittadino di Montefano  e questo grazie all’impegno, la passione  che Milio aveva scoperto per il cinema perché il cinema, come mi dice Milio ” mi faceva viaggiare, scoprire nuovi mondi e sognare sin da bambino“.
Questa è stata la fanciullezza di Milio: sacrestano-operatore di cinematografo ma anche tanti altri piccoli lavoretti come garzone. Una fanciullezza segnata dalla responsabilità, dalla abnegazione di assicurare alla famiglia una entrata per poter vivere  ma anche tanta allegria.  E le qualità umane di Milio già a questa età vennero alla luce: in particolare quella, straordinaria, di riuscire ad attirare la stima delle persone e la sua capacità di armonizzare studio, allegria, lavoro, impegno e amicizia, serietà e divertimento.

Mentre studia e lavora servendo il parroco e curando il successo del “Cinema Alba”, Milio trova anche il tempo e la grinta per dedicarsi ad attività ludiche all’oratorio: salti , corse e sfide a calcio. Anche in queste attività, Milio,  emerge sempre rispetto agli altri suoi coetanei, pur non essendo dotato di particolari qualità fisiche.

il giovanissimo “Milio” con lo studente di medicina Raimondo Lombardi,
promotore della squadra “Juventus Osimo”

Si dice che il talento emerge senza fatica. Così è successo anche per Milio. E’ bastata una partitina amichevole tra amici per farsi notare e attirare l’attenzione e ammirazione del futuro prof. Raimondo Lombardi (  a quei tempi giovane universitario, ma sempre grande appassionato di calcio, promotore  in Osimo della squadra “Juventus Osimo” ). Lombardi, che di calcio ne capisce, volle a tutti i costi che Milio, il sacrestano-operatore cinematografo di Montefano passasse a giocare tra le file della sua “Juventus”  ad Osimo. Un sogno e una lusinga  per Milio,  ancora ignaro che quel suo divertimento a correre dietro ad un pallone,  poteva diventare, in un futuro non lontano, una vera e propria professione. Con l’approvazione del curato a cui aveva promesso che   avrebbe comunque garantito i servizi parrocchiali  e la gestione del cinema,  Milio veste prima  la maglia della Juventus Osimo e poi diventa tesserato dell’Osimana. Campionato di Prima Divisione, stagione 1952/1953 l’Osimana era presieduta da Rigoberto Lamonica, mentre allenatori  erano Raimondo Lombardi e Galliano Pangrazi. Un’Osimana forte in tutti reparti, con tutti giocatori locali, tranne uno il più giovane (appena 17enne), vince il campionato e vola in Promozione anche grazie ai gol del “giovane piccoletto di Montefano” tutto estro ed invettiva: Milio Giulianelli.Milio ricorda ancora oggi l’emozione dell’esordio con la maglia “giallo-rossa”, ricorda tutti i goal segnati come la rocambolesca doppietta contro la Filottranese che valse la vittoria, il sorpasso in classifica e la conseguente promozione della compagine osimana. In piazza la gente lo fermava, lo acclamava, gli faceva i complimenti e da quel giorno Milio,  “il piccoletto di Montefano” (così lo chiamavano) è entrato nel cuore della tifoseria osimana e anche lui è diventato, per sempre,  un osimano acquisito.

Alla fine sono state quattro le stagioni   passate da Milio nelle file dell’Osimana con all’attivo undici reti. A testimonianza di quanti sia stato apprezzato ed amato dai tifosi “senza testa” Milio è stato  inserito, nel libro di Andreucci – Lombardi che narra la storia dell’Osimana,  nella formazione tipo, a ricoprire il n° 7, nella squadra dei migliori calciatori giallo rossi degli anni 1955-1974.
La carriera calcistica e la vita di Milio ha un sussulto a diciannove anni quando all’apice del successo in Osimo viene venduto alla Maceratese. Una cessione che salvò i bilanci dell’Osimana ma anche  una bella e importante opportunità per il giovane Milio che con il contratto offerto dalla Maceratese poteva lasciare il lavoro da sacrestano e l’amato Cinema “Alba” per dedicarsi completamente alla passione per il calcio.

Milio in azione allo stadio Helvia Recina di Macerata

Due anni pieni di soddisfazione quelli passati da Milio a  Macerata suggellati da reti, successi personali, vittorie di campionati e accesso al professionismo del calcio con un buon stipendio, tanti premi partita, regali e tanta notorietà da parte dei giornali: Milio è riconosciuto dai tifosi e dagli addetti sportivi come  espressione del miglior  calcio.
Un talento, uno spettacolo le sue prestazioni e puntuali e mai scontate le sue reti. Poi ci sono i goal memorabili, conservati nella memoria di Milio, e raccolti  nella cronaca sportiva di cui il nostro cittadino conserva articoli e resoconti. Suoi i   gol  più belli, i più memorabili, i più importanti che hanno lasciato un segno nella  storia calcistica di Macerata. Reti arrivate per caso o per azioni combinate, prodezze balistiche, capolavori di tecnica o potenza, gol di destro, di sinistro e anche di testa (da lui che in campo era il più piccolino di statura) che hanno fatto infiammare i tifosi all’Helvia Recina.

Momenti magici per le gioie  dei tifosi, come il gol vincente ( di testa ) nel derby contro l’Ascoli. Milio ricorda ancora i cori dei tifosi maceratesi gridare il suo nome al termine della partita. Sempre in quegli anni arriva a giocare in prima squadra con lui, un giovanissimo:  Pino Brizi, che poi diverrà l’ emblema del calcio di Macerata  e in seguito grande giocatore della Fiorentina.

In questi anni Milio senza adagiarsi ad una vita di allori e ben conscio che la magia del successo derivante dal calcio avrebbe avuto vita breve,  pensa anche al  suo futuro: giocava a pallone ma nel tempo libero studiava conseguendo  il patentino di operatore cinematografico ( che era diventato obbligatorio) e poi  consegue il diploma di ufficiale esattoriale.

A 21 anni, nel pieno della sua maturità calcistica, arriva la chiamata al servizio militare di leva obbligatorio, che interrompe  irreparabilmente la sua carriera sportiva. Dispiacere, tanta rabbia, e la consapevolezza che diciotto mesi lontano dai campi di gioco avrebbero “fiaccato” il suo fisico e la sua sopraffina tecnica per sempre. Ma la disperazione, come già detto, non fa parte degli “attrezzi del mestiere” della vita di Milio. Riesce anche in questo periodo, grazie al suo carattere a conquistarsi la fiducia e la stima dei  superiori ( compresa quella del generale Albert, responsabile del Comando delle forze armate terrestri Alleate del Sud Europa) e a trasformare quei diciotto mesi “bui” in un periodo utile ad acquisire abilità e competenze  che saranno determinanti per il suo futuro lavoro alla Lenco Italiana.

Alla  nascente fabbrica di giradischi dei fratelli Antonelli e della sig.ra Maria Laeng,  Milio arriverà nel 1965 dopo aver svolto altri avventurosi lavori a Genova. La Lenco stava muovendo i primi passi, i dipendenti erano appena una ventina, ma i disegni e i progetti dei proprietari erano grandi e ambiziosi. La  piccola fabbrica di via Montefanese in breve tempo si sviluppa e diventa una delle maggiori della zona e  Milio vene chiamato dal dott. Luciano Antonelli a dirigere la logistica del magazzino. Il reparto, cuore dell’azienda,  che doveva assicurare  quotidianamente  i mille e passa articoli ( bulloni, viti, voci, applicativi)  da assemblare di cui la catena di produzione aveva necessità per produrre i giradischi e gli altri articoli a marchio Lenco. Anche in questo ambiente Milio si conquista la stima dei colleghi operai, degli ingegneri responsabili della produzione  e la piena fiducia dei titolari, in particolare della Presidenza  svizzera, Fritz Laeng e sua moglie Maria.

La squadra della Lenco Italiana, memorabili le sfide calcistiche con i colleghi svizzeri

Non c’era visita della sig.ra Maria Laeng in fabbrica o scelte aziendali importanti che non si ascoltasse e che non  si tenessero conto anche delle valutazioni e dei consigli del responsabile della logistica: Milio Giulianelli.
Quello della Lenco è stato per Milio  il periodo della stabilità economica e sicurezza del lavoro fisso  dopo tante esperienze di precariato e lavori saltuari.  Un periodo della vita importante di Milio coronato, nel  giugno del 1966, con il matrimonio con la sig.ra Maria Vittoria Sconocchia (montefanese anche lei e un amore nato ai tempi della gestione del cinema), anche lei conosciuta in città e in particolar modo dalle signore per aver svolto per 40anni il lavoro di parrucchiera nei locali di via A.Moro 14.

In pensione dal 2002  Milio è l’icona dell’uomo lavoratore, che non conosce riposo. Dopo la sua famiglia  e quella delle tre amate figlie: Simona, Francesca e Roberta, la sua disponibilità per il volontariato non ha conosciuto e non conosce soste. Volontario presso l’Associazione “Il Campanile” ha distribuito pacchi per le famiglie osimane in difficoltà, impegnato in parrocchia nelle attività promosse come la “Festa dei Popoli”, Milio con il suo sorriso, c’è sempre per tutti a dare una mano:   feste, domeniche, Natale, Pasqua, e neppure raffreddore, febbre, mal di pancia e quant’altro lo ferma.

Emilio con la sua sig.ra Maria Vittoria

Questo è Emilio Giulianelli, una persona, un osimano per bene, che ha creduto in se stesso e con una grande qualità, avere la certezza  di essere sempre al posto giusto: chierichetto, sacrestano, operatore cinematografico, campione di calcio, magazziniere, marito premuroso, padre, volontario generoso, nonno attento, persona che della vita ha saputo e sa apprezzare ogni giorno mondi inesplorati e meravigliosi.


Ognuno di noi è una Storia da raccontare. La grandezza, a volte, è racchiusa nelle storie semplici come quella, narratami e che ho raccolto,  del nostro concittadino Emilio che in realtà è una  storia straordinaria, vera e   sconosciuta per molti osimani.

Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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Per Capodanno 2022 un sogno, buone speranze e tante buone attese

Un inizio dell’anno senza il frastuono dei botti e dei petardi. Verrà mai il tempo per dare “una nuova musica” per salutare l’anno nuovo ? Come già fatto  lo scorso anno, rinnovo l’appello ai miei concittadini “con la testa” ad inaugurare il 2022 senza botti nel rispetto degli animali e non soltanto. Diamo nuove tonalità all’arrivo del nuovo anno che tocchi altre corde che sappia trasmettere un rinnovato spirito di vicinanza e di prossimità a tutta la nostra comunità e che, tra l’altro,  questo duro periodo ci impone di tenere. Un invito a tutti i cittadini a tenere comportamenti che siano espressione di un condiviso senso di responsabilità sia individuale che collettivo.
“Un’altra musica” anche come segno di rispetto per tutte le persone decedute a causa di questa terribile pandemia, e di tutti coloro che stanno attraversando momenti non semplici nonostante il periodo di Festività.
Che il nuovo anno rappresenti la concretizzazione delle speranze e delle attese di ciascuno di noi.

Paola Andreoni 

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 Noi anche se distanti ci siamo sempre.


L’arrivo del pacco natalizio con dentro “… di più” è una festa per Voi che avete scelto di essere  “figli del Mondo”,  ma anche per noi genitori.
Cerchiamo ogni volta di mandarvi i sapori e gli odori di casa, e ogni cosa che fa bene: il parmigiano, in primis, che dà sapore un pó a tutto…
Nel pacco, c’è l’amore, quell’amore racchiuso nelle parole: ” ❤️noi anche se distanti ci siamo sempre ” .
Quel pacco rappresenta tanto, per primo che nonostante le distanze, avete una famiglia che crede in Voi, nei Vostri sogni e nel futuro migliore che voi cercate di garantire anche ai Vostri figli !

Un abbraccio fortissimo a tutte le famiglie che non possono essere al completo neanche in questi giorni di festa, perché i vostri figli, nipoti sono lontani.
Un abbraccio a tutti Voi “Osimani fuori le mura”. Vi sono vicinissima. Con amore infinito.❤️

Paola Andreoni 

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Grazie Sara e Lucia

👠 Grazie Sara. Hai fatto tanti chilometri per regalare alla nostra città tutta la tua dolcezza di giovane donna, scrittrice. Ci hai raccontato del tuo libro, “Quello che mi hai insegnato“, molto coinvolgente che consiglio a tutti quanti, sia giovani che adulti.
Un grazie di cuore anche alla dott.ssa Lucia Pizzichini per averci illustrato benissimo cos’è l’endometriosi, malattia che coinvolge molte donne e del loro faticoso calvario.
Grazie a quante e quanti hanno partecipato all’iniziativa.
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Paola Andreoni 

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Osimo calls World: Marta Lilliù

Lilliù Marta nata in Ancona il 10 settembre 1985.

Osimana della frazione di  Osimo Stazione,  una dote familiare  per la musica,  suona e crea armonie oltre che favorire la sua diffusione come brava  insegnante a Genova.

Marta Lilliù osimana,  oggi insegna musica a Genova

Mi chiamo Marta Lilliù, sono nata ad Ancona nel 1985 e sono un’osimana prestata alla Liguria! Il mio cognome in realtà è sardo (con l’aggiunta di un accento), anche se non ho parenti sull’isola. Mio padre Marcello è abruzzese, ferroviere in pensione, trasferitosi con la sua famiglia ad Osimo Stazione negli anni Settanta. Mia madre è Patrizia Mancinelli, “stazionara” da sempre, impiegata nell’ufficio di Presidenza della Facoltà di Ingegneria di Ancona, nonché sorella del compianto chitarrista e compositore Augusto “Mimmo” Mancinelli.
Mio fratello Marco, infine, lo conoscete già perché è comparso qualche mese fa su queste pagine: nel 2013 si è trasferito a Londra, dove vive con la compagna Marianna (anche lei marchigiana, di Monte Porzio) e la figlia April Matilda Lilliù ovvero la mia amata nipotina!

La mia vita è stata tutta marchigiana fino al 2012, anno in cui mi sono trasferita in Liguria. Ho trascorso l’infanzia nella casa di campagna dove i miei hanno abitato fino al 1991 (l’edificio al momento è della scuola calcio di Osimo Stazione). Crescere in uno spazio libero, aperto e grande, letteralmente saltando nei fossi e sulle zolle di terra, mi ha lasciato un ricordo molto poetico dell’infanzia: mio padre aveva il suo orto, le galline e altri animali. L’idillio si è un po’ interrotto quando ci siamo trasferiti poco più in là, in un appartamento nel palazzo che un tempo era “dei ferrovieri”.
La nostra famiglia non è mai stata ricca, le entrate inizialmente derivavano perlopiù da un solo stipendio ma non ci è mai mancato nulla. I miei genitori sono state e restano persone esemplari per me. So che hanno fatto dei sacrifici per darci il meglio che potevano e sarò loro grata per sempre. Con noi ha vissuto per molti anni anche nostro cugino Deneb, pari età di mio fratello (classe 1987); questa esperienza di famiglia allargata, impegnativa anche dal punto di vista emotivo, ha sicuramente segnato in maniera indelebile la mia crescita e mi ha fatto vedere le cose da diversi punti di vista. Il mio pensiero va spesso anche a mia nonna Luciana Lasca, che ci ha lasciati nel 2020, dopo una vita non certo priva di dolori. Ricordo con affetto la maestra Fiorenza Fazzini all’asilo delle suore di Osimo Stazione e poi la maestra Ivana delle scuole elementari (insieme alle maestre Eleonora Pizzichini e Giuliana Cola Ingargiula). Al mattino, compravamo spesso la merenda da “Zucchero & Sale”, negozio che si trovava lungo la Statale, e poi facevamo la salitona per arrivare al vecchio edificio di epoca fascista, poi abbattuto. La maestra Ivana Accattoli rimarrà sempre nei nostri cuori: era severa ma da lei ho imparato molto e ci faceva fare attività che oggi si svolgono a malapena nella scuola Secondaria! Delle scuole medie ricordo l’esperienza dei pomeriggi, per studiare inglese e francese (in tanti ci siamo innamorati della lingua inglese grazie a una supplente, una giovane “precaria”, di cui ricordiamo solo il nome, Maila), e il nostro orto botanico, con cui abbiamo vinto un viaggio premio a Lamoli (PU)!
Non ho mai frequentato davvero la gente e i luoghi (inesistenti, per i ragazzi) di Osimo Stazione e ho perso di vista fin da subito quasi tutti i miei compagni di scuola. Ho studiato al Liceo Linguistico “G.Leopardi” di Recanati, con vari soggiorni studio all’estero per parlare inglese, francese e tedesco. Una volta smesso di frequentare i corsi dell’associazione “Futura” (avviamento allo sport e poi ginnastica artistica), ho portato avanti solo lo studio del pianoforte, iniziato all’età di otto anni.
Mi sono diplomata nel 2005 al Conservatorio “G.Rossini” di Pesaro a pieni voti, ho conseguito anche il diploma di Clavicembalo – per preparare l’esame di Organo complementare, ho avuto a disposizione l’organo del Duomo di Osimo e sono stata subito reclutata come organista per il coro. Fin da bambina, ho tenuto tanti saggi e concerti ad Osimo, per esempio al Chiostro di San Francesco, nel cortile di Palazzo Campana oppure per l’inaugurazione del restaurato Teatrino Campana, e ho partecipato alla “Coppa Pianisti d’Italia”, vincendo il primo premio nella mia categoria.
Ricordo anche il felice incontro con il M°Gianluca Luisi, osimano d’adozione. Non credo che la dimensione provinciale abbia aiutato la mia formazione pianistica, anzi: il fatto di aver studiato per tanti anni senza il confronto con altre realtà e senza la guida di maestri che potessero aiutare il mio talento a sbocciare con sicurezza e in pienezza, mi ha sicuramente frenata. Specialmente in campo artistico, avere dei mentori più interessati alla tua crescita che a soddisfare il loro ego è fondamentale e credo purtroppo che questo avvenga di rado.
Mio zio Mimmo era raro anche in questo: un grande musicista e un generosissimo didatta. In generale, manca una grande città nelle Marche: questo ha i suoi pro, e vi stupireste nel vedere quanto veniamo apprezzati noi marchigiani fuori regione o all’estero, ma certamente ha tanti contro. Non nel caso dell’università, dove il piccolo e medio ateneo evitano forse la dispersione che si ha nelle grandi università, grazie a un confronto molto più diretto con i docenti. Ho conseguito la laurea in Lettere a Macerata. La mia tesi di laurea triennale in Storia Moderna era incentrata sull’analisi delle Suppliche osimane del Settecento: ho lavorato per alcuni mesi in Archivio Storico e ne è uscito uno scritto che, diversi anni dopo, ho presentato al pubblico osimano durante la manifestazione “Rivivi ‘700”, in compagnia di Manuela Francesca Panini e Niccolò Duranti, ai giardini dell’Episcopio. Mi piacerebbe farne un libro da lasciare agli osimani e ai visitatori curiosi: si tratta di lettere scritte al Comune o alla Chiesa e al Papa, da persone perlopiù molto povere ma non solo: richieste di lavoro, di pagamenti, scritti di carcerati, vedove, frati, capitani di fanteria, lamentele sul rifacimento delle strade… insomma, ho ridato vita a tante voci che non erano mai uscite dall’Archivio prima di quel momento e sono particolarmente orgogliosa di questa mia impresa. Non era la prima volta che entravo in Archivio: nel 2006/2007 ho svolto un anno di Servizio Civile Nazionale presso la Biblioteca “F. Cini” e ho quindi conosciuto sia Ivana Lorenzini sia Luciano Egidi.
Nel 2010 ho vissuto qualche mese in Austria, ad Eisenstadt, dove ho partecipato al programma Erasmus Placement con il Conservatorio: ero la clavicembalista della classe di flauto al “Joseph Haydn Konservatorium” e spesso mi recavo nella vicina Vienna per andare ai concerti al Musikverein (sì, quello che vedete in tv a Capodanno!).
Ho conosciuto gente da tutto il mondo, è stata un’esperienza incredibile ma non ho voluto impostare la mia vita all’estero: sapevo che se avessi iniziato a lavorare oltralpe, non avrei mai più rimesso piede stabilmente in Italia, vista la carenza cronica di lavoro e di opportunità per i giovani. Ho deciso di restare, il mio posto è in Italia. Nel 2012 mi sono trasferita in Liguria per seguire il mio fidanzato dell’epoca: abitavamo sulle alture di Chiavari (GE). Ho conosciuto il dialetto genovese e la cucina locale: trofie al pesto, farinata, focaccia di Recco, focaccia genovese, pansoti in salsa di noci… quando scendo nelle Marche porto in dono il vero pesto ligure, quando salgo in Liguria regalo ciauscoli! Inizialmente lavoravo in due pizzerie e in fabbrica.
Poi ho giocato le mie carte (cioè ho messo in campo tutti i miei talenti e anche quella grinta, quella “tigna” di chi non ha un lavoro e vuole farcela a tutti i costi) e sono stata selezionata, unica insieme a un altro pianista, presso il Conservatorio “Niccolò Paganini” di Genova per il Biennio Formazione Docenti e un anno di Tirocinio Formativo Attivo. Lì ho incontrato davvero tanti musicisti eccellenti, che mi hanno apprezzata e supportata. Ne sono uscita a pieni voti e con in mano l’abilitazione all’insegnamento del pianoforte nella scuola. Sono stata poi ammessa al corso di specializzazione al sostegno didattico sia a Milano Bicocca (settima in graduatoria su cento selezionati) sia all’Università di Genova, dove ho frequentato le lezioni. Ho vissuto a Genova, città che amo moltissimo, per poi ottenere nel 2018 la mia tanto agognata cattedra (il famoso “posto fisso”) a Levanto (SP).
Attualmente conduco una vita tranquilla a Sestri Levante, la splendida città “dei due mari” e del noto “Premio Andersen”. Lavoro all’ISA 23 di Levanto, con allievi anche a Riomaggiore e Monterosso (le famose Cinque Terre) e Deiva Marina: tutti luoghi incantevoli e visitati da tanti turisti per quasi tutto l’anno. Sono stata eletta nel Consiglio d’Istituto nel 2019 e sto accumulando esperienza sia come funzione strumentale (coadiuvo la Dirigente Scolastica ad esempio nell’area della didattica innovativa) sia come referente per la formazione docenti, per i social d’Istituto, per bullismo e cyberbullismo eccetera. Sono stata relatrice al webinar formativo dell’USR Liguria “Un assaggio di buone pratiche musicali liguri” per docenti di ogni ordine e grado. Di recente, ho creato un lavoro innovativo con la mia classe di Pianoforte e l’ho presentato al Premio nazionale Scuola Digitale: abbiamo vinto il secondo premio (500 euro) nella fase provinciale di La Spezia! Insomma, dopo tanta fatica mi sto prendendo le mie belle soddisfazioni! Sto cercando anche di impegnarmi in politica sul territorio: mi sono iscritta a un partito per la prima volta in vita mia e all’ANPI sezione Osimo, perché credo che la democrazia necessiti anche di questi piccoli gesti e del dire apertamente da che parte ci si schiera.
Non ho abbandonato il mio amore per i libri e la scrittura. Da anni collaboro con il sito (marchigianissimo!) “La Bottega di Hamlin”, per cui scrivo recensioni di libri, film, serie tv. Quest’anno ho anche partecipato a una conferenza stampa online con Alberto Angela, su invito per pochi giornalisti e blogger, per la presentazione del suo nuovo libro. Durante la prima chiusura di marzo 2020, vissuta nella mia vecchia cameretta ad Osimo Stazione, ho iniziato a collaborare con un altro sito web e relativa rivista cartacea, ho scritto un racconto che è stato pubblicato dalla casa editrice romana Nutrimenti e, soprattutto, la mia cameretta è finita in prima pagina su “Il Secolo XIX”, noto giornale ligure, all’interno del progetto “I luoghi della quarantena” dell’artista Valeria Nieves. La scorsa estate, poco dopo il funerale di mia nonna Luciana, ho sentito l’esigenza di dar voce ai miei sentimenti e quasi di getto ho creato una poesia sull’app Note del mio cellulare e l’ho inviata a La Repubblica. Vederla pubblicata e commentata poco tempo dopo sul giornale nazionale per me è stata una grande soddisfazione. Avrei ancora tanto da raccontare ma non credo ci sia spazio, quindi se vi va di restare in contatto potete trovarmi su Facebook e soprattutto su Instagram, alla pagina lasignorina_lilliumarta, dove parlo di libri! I social, se usati bene, sono anche fonte di conoscenza,  cultura, contatti importanti.  Vi  aspetto!!


Ogni volta che aggiungo una storia a questa rubrica, scopro  una persona speciale, un universo di osimani giovani e meno giovani nel quale brulica un’energia nascosta fatta di sogni, di passioni, di desideri,  di paure e verità. Questa volta è toccato a Marta  regalarci,  raccontarci e stupirci di come si è “mossa” da Osimo per le vie del Mondo.

Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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Scholz, il nuovo Cancelliere tedesco

Nel suo primo discorso al Bundestag,  Scholz, il nuovo cancelliere tedesco ha parlato di estremismo ed emigrazione:
 
“La maggiore minaccia per la nostra democrazia è l’estremismo di destra”.
 
A dichiararlo Olaf Scholz nel suo primo discorso al Bundestag da cancelliere. Il compito principale dei funzionari di polizia nei prossimi anni, ha evidenziato Scholz, sarà quello di combattere l’estremismo e la criminalità organizzata. L’estremismo dovrà essere perseguito anche su internet, mentre si potenzieranno gli strumenti contro il riciclaggio del denaro. “La Germania è un paese di immigrazione” ha detto il cancelliere e “per questo è giunto il momento di considerarci anche una società di immigrazione e integrazione”.

Un messaggio forte e che tutti i Paesi Europei dovrebbero condividere pienamente
Paola Andreoni
 

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La notizia che tanto aspettavamo: Patrick Zaki scarcerato

Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna, dopo aver passato 22 mesi in carcere in Egitto, è stato rilasciato. Il giovane resta, tuttavia, non assolto dalle imputazioni – come lui meriterebbe -,  e questa ingiustizia va ancora avanti. E’ successo in passato ad altri attivisti, di essere liberati e poi riarrestati di nuovo, per  finire poi stritolati dalla spirale della repressione egiziana che ad oggi ha portato in carcere 60 mila oppositori.
La gioia per la scarcerazione di Patrick e speriamo per la sua definitiva liberazione non deve far indietreggiare il nostro Paese sulla linea dura contro le istituzioni governative egiziane riguardo  l’omertà sulla vicenda dell’assassinio di  Giulio Regeni per cui ancora non c’è stata giustizia.

Paola Andreoni 

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Disability Card. Dal 2022 la tessera per rendere più facile la vita ai disabili

 
#disabilitycard
La tessera si potrà richiedere direttamente dal sito dell’INPS
Si tratta della tessera che dovrebbe consentire a tutti i cittadini con disabilità di dimostrare la propria condizione, al fine di accedere a benefici e servizi – ove previsti – senza dover esibire altri verbali o certificati, nei paesi dell’Unione Europea che abbiano aderito al progetto.
Sicuramente un piccolo, ma significativo passo verso la piena inclusione che semplificherà la vita e l’accesso ai servizi alle persone con disabilità, avvicinando il Paese al raggiungimento degli obiettivi inseriti nella convenzione Onu.
A CHE COSA SERVIRÀ LA TESSERA?
La card servirà non solo ad usufruire di beni e servizi in modo più semplificato – quindi senza dover esibire decine di certificati, verbali o altra scartoffie – ma anche ad “accedere in maniera agevolata a beni e servizi, quando volta per volta saranno attivate le convenzioni con le aziende e gli enti pubblici. Grazie alla #disabilitycard si potrà accedere gratuitamente ai musei pubblici, grazie ad una convenzione con il ministero della Cultura, ed in futuro poter usufruire di sconti, convenzioni e tariffe agevolate con diversi enti e soggetti pubblici e privati, ma soprattutto sostituirà tutti i certificati cartacei.
QUANDO SI POTRÀ RICHIEDERE
Per quanto riguarda i tempi, La Disability Card sarà richiedibile dal 2022 sul sito dell’INPS attraverso una procedura semplice, dal momento in cui il decreto entrerà in vigore sulla Gazzetta Ufficiale e, dopo altri accorgimenti tecnici.
CHI POTRÀ RICHIEDERLA
La misura riguarderà quasi 4 milioni di persone disabili in Italia e da tempo richiesta dalle varie Associazioni vicine alle famiglie dei disabili. Un piccolo passo avanti verso l’inclusione.
 
L’Assessore ai Servizi Sociali di Osimo           
               Paola Andreoni 

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Osimo calls World: Silvia Donati

Donati Silvia  nata in Osimo il 6 agosto 1983. Osimana, artista, appassionata di danza ha girato il mondo “in punta di piedi”,  oggi insegna Storia dell’Arte al Liceo Scientifico Serpieri di Rimini.

Donati Silvia professoressa osimana a Rimini

Nasco a Osimo nel 1983 da madre abruzzese e padre romagnolo, non ho mai sentito realmente le radici marchigiane, i miei primi passi li ho mossi in una casa di via Michelangelo e forse lì il mio destino in campo artistico si stava già facendo strada . Dai 2 anni in poi vivrò sempre in zona Osimo sud, un quartiere che è andato a mano a mano ad ingrandirsi. Il mio cognome è abbastanza noto, soprattutto nelle scuole osimane, avendo padre e zii tutti professori.

Ho frequentato le elementari alla Bruno da Osimo (allora la chiamavamo Santa Lucia) le medie alla Caio Giulio Cesare e le superiori al Liceo Scientifico Campana. Credo di essere stata la prima bambina a vincere a Osimo il concorso di Pittura “Ex Tempore” con il primo premio assoluto, avevo 10 anni e non capivo bene l’importanza della cosa ma ricordo che oltre a quello della famiglia, ebbi all’epoca il supporto delle mie maestre: Anna Maria Gambini e Anna Maria Cingolani delle quali ho un affettuoso ricordo. Allora mi premiò quello che poi sarebbe diventato il mio prof di Arte del liceo: Lucio Paglialunga. Un’altra maestra che ho avuto poco ma della quale avevo una grande ammirazione era la m^ Ernestina Marchegiani, severa, determinata e soprattutto imparziale.

 Dopo le medie e il durissimo percorso liceale, concludo la maturità con il desiderio di diventare insegnante di Storia dell’arte ma allo stesso tempo di smettere gli studi. In questi dubbi esistenziali, mi lascio l’estate per decidere e a settembre mi iscrivo all’Accademia di Belle Arti di Macerata, indirizzo Restauro. Capisco poco dopo che per una liceale l’indirizzo restauro poteva essere una scelta troppo azzardata e di lì a breve mi dirotterò verso il dipartimento di Pittura. Concludo il percorso di 4 anni dell’Accademia con una tesi sperimentale sulla poesia visiva, invece di discuterla decido di ballare davanti ai miei prof e ne esco vittoriosa con un 108/110. Qui si aggancia la mia più grande passione: la danza. Inizio a 2 anni ad appassionarmi a quel mondo con le sigle della mitica Raffaella Carrà ma troverò il coraggio solo a 10anni, grazie a mia cugina, di iscrivermi ad un corso di danza moderna nell’unica scuola allora esistente, in via Pompeiana . Ero la più piccola del gruppo e ricordo che il primo giorno di lezione l’insegnante, Mascia Valentini, mi prese in braccio e disse “Ma sei un genio!”, da lì non l’ho più abbandonata. Negli anni del liceo ho iniziato a frequentare corsi di danza nella “lontana” Ancona, prendevo l’autobus per andare e soprattutto tornavo a tarda sera, dopo cena, l’ora ideale per finire di studiare. I cinque anni del liceo sono stati duri anche per questo, avevo lezione di danza dalle due alle tre volte a settimana e spesso nei weekend spettacoli o prove. Sono entrata in una compagnia a 16 anni, anzi in due, le prove si tenevano a Corridonia, il sabato o la domenica, il tempo per studiare era veramente poco e purtroppo ai professori non interessava minimamente questo mio investimento di energie. All’epoca era considerata una perdita di tempo purtroppo e quindi cercavo in tutti i modi di mantenere una media dignitosa o per lo meno di non essere bocciata. Ad oggi penso che se non avessi avuto la danza non sarei riuscita neanche a finire i 5 anni.

Durante la preparazione della maturità ho iniziato a insegnare danza a Osimo, e nel tempo ho sempre portato avanti lo studio, la compagnia e l’insegnamento. Nel periodo universitario insegnavo in parti diverse delle Marche tra cui, Filottrano, Macerata, Recanati, Ancona e Osimo, negli anni ho portato in scena numerosi spettacoli che sono rimasti nel bagaglio di esperienze fondamentali per accrescere il mio lato creativo. Parlando di esperienze devo assolutamente citare quelle che mi hanno portata ad uscire dai confini marchigiani e soprattutto italiani. Dopo il viaggio di Laurea a San Francisco e New York mi sono letteralmente innamorata degli Stati Uniti e di lì a poco saranno la mia “meta fissa” negli anni. Cerco di essere breve, le tappe fondamentali sono state sicuramente, il viaggio-studio a New York con un gruppo di ballerini provenienti da tutta Italia, all’interno del quale studiavo inglese alla New York University la mattina e danza nel pomeriggio, la sera avevamo delle prove per uno spettacolo che si è poi tenuto proprio all’interno dell’Università. Nelle tre settimane avevo la possibilità di studiare inglese, danza, conoscere ragazzi stranieri, nuove culture, andare a vedere Musical, frequentare quartieri, locali underground, mostre e musei, vivere la grande mela da cittadina e non da turista.

Nello stesso anno vado a trovare un mio amico (“naturalizzato” osimano) in Cina, a Shanghai, dove lui sta studiando Wushu e Kung Fu all’Università dello Sport e proprio nella stessa università, in occasione della festa dedicata agli studenti stranieri, ci esibiamo sulle note di “Libertango” di Piazzolla.  L’anno dopo decido di fare la stessa esperienza, ma da sola, parto per San Francisco per un corso di 4 settimane di inglese alla Kaplan University.

Ad oggi resta forse l’esperienza più bella della mia vita, sia per il forte legame che ho con San Francisco, città estremamente aperta all’accoglienza, alle diverse culture ed espressioni artistiche sia per aver affrontato così tante novità dall’altra parte del mondo e totalmente in solitaria.
Nel mentre proseguo i miei studi accademici e termino i due anni di Abilitazione all’insegnamento del disegno e della storia dell’arte sempre all’Accademia di Belle Arti di Macerata e nel 2009 divento ufficialmente professoressa. Nel 2010 mi iscrivo al Master in Museologia Europea allo IULM di Milano con una tesi sui Musei Tattili, da lì cercherò sempre di approfondire l’ambito museale soprattutto in termini di accessibilità. Grazie a questo master ho girato numerosi musei europei tra Germania, Spagna e Finlandia e ho curato svariate mostre, negli anni, nei locali della Mole Vanvitelliana di Ancona e tenuto conferenze di arte contemporanea in giro per le Marche.
Tornerò negli Stati Uniti negli anni successivi, nel 2012 sarò assistente del mio insegnante di danza Ryan Daniel Beck al Broadway Dance Center di New York, per il video musicale di Nathan Lucrezio “Crazy Girl” e nel 2013 per Galà di danza del Conero Dance Festival tenutosi a Sirolo e Ancona organizzato da La Luna Dance Center.

Intanto nel 2013 inizio ad insegnare arte immagine alle medie prima e disegno e storia dell’arte alle superiori poi nelle scuole riminesi fino ad ottenere il famigerato ruolo nel 2015.
Da qui inizieranno le dolenti note (l’aggettivo non è casuale) perché a causa di un algoritmo voluto dal Ministero mi sono trovata ad essere trasferita, contro la mia volontà, in un paese in Veneto, in provincia di Venezia meglio conosciuto come DOLO, in un alberghiero in cui la mia materia neanche esisteva. Da lì si mobilitano i miei alunni con una petizione https://www.change.org/p/ministero-dell-istruzione-non-portateci-via-la-nostra-professoressa e tutto ciò allieverà l’enorme dolore di dover lasciare studenti, colleghi e la stessa Rimini. Trascorrerò in Veneto qualche giorno, poi riuscirò ad ottenere quella che si chiama assegnazione provvisoria per potermi avvicinare alla famiglia, nelle Marche, e mi ritroverò nel 2018-2019 ad insegnare proprio nel famigerato liceo osimano che ho frequentato qualche anno prima, nell’aula di disegno e storia dell’arte dedicata a Lucio Paglialunga, questa volta nei panni della prof.
Sembra una storia inventata ma in realtà, negli anni, ho potuto constatare che la vita riserva sempre delle sorprese inimmaginabili, soprattutto quando ti ritrovi alcuni dei tuoi insegnanti come colleghi o quando attraversi lo stesso corridoio, tra i banchi della maturità, questa volta come prof.
Giugno 2019, mentre sono in commissione per gli esami di maturità al liceo campana ricevo la mail di trasferimento ottenuto nuovamente a Rimini nello stesso liceo dal quale era partita la petizione.
Quindi ora vivo in Romagna, per la precisione a Viserba, sul nuovo lungomare appena riqualificato. Nelle giornate più pesanti infilo gli auricolari e faccio lunghe passeggiate a riva, oppure mi sposto in centro nei luoghi preferiti: il Borgo San Giuliano il Ponte di Tiberio la zona del Teatro e dei Musei.
Rimini credo sia la città che mostra accoglienza per eccellenza, ha una grande attenzione verso i turisti e lo si vede sia nella cura dei particolari sia nelle persone, che hanno sempre modo di mostrare disponibilità e gentilezza.  Rimini è quindi la città dove vivo e dove insegno, nello specifico al Liceo Scientifico Serpieri.

Nel 2016 gli studenti riminesi mi hanno dato lo spunto per raccogliere le loro perle e formulare il mio primo libro “OK, aprite le gabbie”, un manuale di sopravvivenza nella scuola del nuovo millennio. Sono state stampate 500 copie e presentato in più occasioni tra le Marche e Rimini.
Per quanto riguarda Osimo torno spesso nel weekend e soprattutto durante l’estate, perché, come dico sempre ai miei colleghi riminesi, scherzando, “Vado al mare, quello vero”.

La mia città natale si è trasformata negli anni ma, a parer mio, non abbastanza per il suo potenziale. Osimo avrebbe tutte le carte in regola per essere un centro di aggregazione giovanile se si aprisse maggiormente a quelle fasce d’età che hanno più bisogno di confrontarsi soprattutto dopo tutto il lungo periodo di lockdown che abbiamo vissuto, non solo con strutture ma anche con eventi e soprattutto luoghi.

Le persone fanno i luoghi e i luoghi fanno una città, intesa come ciò che accoglie una comunità, ed è forse questo che manca a Osimo, il sentirsi parte di una comunità che per la città potrebbe molto.

Stando a contatto con i giovani e avendo conosciuto anche quelli osimani, posso affermare che dietro quell’età che sembra così strana spesso nascono idee o proposte che vengono a volte spente dal poco entusiasmo di “noi grandi”. Dovremmo dar maggior spazio alle loro esigenze, ai loro bisogni, non ricordacene solo per eventi random o discoteche ambulanti. Sono teste pensanti e tante volte quei pensieri sono molto più concreti e attuabili dei nostri.

In conclusione, ciò che mi aspetto da parte di questa città è che inizi un reale dialogo con il suo cuore pulsante, per far sì che un giorno, quando qualcuno di loro lascerà “il paesello” per l’estero tornerà fortificato dalle esperienze di vita e le porterà con sé a servizio dei suoi concittadini, magari più giovani.

 Dalla danza ho imparato che c’è un momento per osservare e uno per  “rubare” con gli occhi da chi è più grande e più bravo di noi, per poter crescere, migliorare e confrontarsi, per non sentirsi mai conclusi, arrivati.

 Ed è quello che auguro ai giovani osimani, non sentirsi mai arrivati e tantomeno perfetti, e che nei loro viaggi intorno al mondo mettano in valigia tutte le esperienze e le conoscenze “rubate” per ripotarle, magari un giorno, nella loro città natale con occhi diversi.


Ciao Silvia complimenti, Grazie!! e Buona Vita. Si capisce perchè più di 1000 tra genitori ed allievi hanno scritto al Ministero pur di non perderti di fronte agli irragionevoli algoritmi scolastici.  Significa  che sei una  brava prof.ssa che sa entrare in empatia con i ragazzi, entrare nella loro “tana” forse anche grazie alla tua passione per la danza. Grazie per il tuo impegno e quello che tu chiami “missione quasi impossibile”: portare umanità e trasmettere la bellezza dell’arte nella vita quotidiana dei tuoi  studenti.
E’ un vanto per la nostra città scoprire la determinazione e il coraggio di tanti giovani come te che si fanno valere per le strade del Mondo.

Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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Omaggio a Augusto Mancinelli

Un omaggio ad uno straordinario artista osimano che ha lasciato un segno alla musica jazz italiana: Augusto Mancinelli per tutti semplicemente “Mimmo“.
E’ stata una bella serata quella organizzata, sabato scorso, nel magico ambiente del Chiostro di San Francesco, dove amici e colleghi hanno ricordato la persona  e  le tappe artistiche del musicista osimano prematuramente scomparso nell’estate del 2008 nel pieno della sua maturità artistica.


Ricordi   racchiusi nel  volumetto dal titolo Augusto Mancinelli o della sei corde (Guasco editore) scritto dall’ amico Stefano Galvani che ha presentato  ad un bel ed emozionato pubblico accorso all’evento, e tra questi, oltre  ai familiari,  i tanti osimani che   Mimmo  conoscevano, ed apprezzavano per le sue qualità umane e artistiche.

 Ma non potevano esserci solo le parole a ricordare “Mimmo”. Ci hanno pensato il “Manzi Rossi quartet” a regalare  emozioni con le  note dei più bei pezzi composti e solitamente suonati dal chitarrista jazz  osimano.
Un ensemble di artisti di alto profilo: Massimo Manzi alla batteria, Daniele Cervigni alla chitarra, Stefano Travaglini al contrabbasso e Roberto Rossi trombettista che con le note e i suoni hanno  emotivamente ricordato questo loro indimenticato amico, compagno di  vita e di palcoscenico.
Ha scritto  Massimo Manzi nel suo profilo FB: <Caro “Mimmo” spero che la nostra musica nella serata a te dedicata ti sia piaciuta…>.


Grazie a tutti Voi per le belle emozioni che  ci avete regalato, ciao Mimmo.
Paola

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Osimo calls World: Gabriella Gobbi

Gobbi Gabriella nata in Osimo il 6 gennaio 1966.

Osimana doc, nata e cresciuta davanti la scuola media “C.G.Cesare”, il padre è il maestro Carlo e la sorella è la nostra collega consigliera comunale Cecilia.
Gabriella da anni risiede in Canada, dove si è affermata come prestigiosa ricercatrice e docente universitaria presso il dipartimento di psichiatria della McGill University di Montreal,

Gabriella Gobbi “cittadina onoraria osimana” dal 2013

Mi chiamo Gabriella Gobbi e vivo a Montreal, in Québec, Canada. Sono Professoressa Ordinaria di Psichiatria alla McGill University, dove dirigo un laboratorio di ricerca per nuove terapie per le malattie mentali e sono Psichiatra presso l’ospedale universitario della McGill, chiamato McGill University Health Center. Ho anche fondato una piccola impresa che si chiama Cosmas Therapeutics e sviluppa nuovi brevetti inventati nel mio laboratorio.
Sono arrivata in Canada, e precisamente a Montreal (Québec) il 28 Febbraio 1998. Un po’per caso. Mi ero laureata in medicina e specializzata in psichiatria all’Università Cattolica di Roma, ma la mia passione era fare ricerca nel campo delle malattie mentali, avevo dunque iniziato un Dottorato di Ricerca nel 1996 tra Roma e Cagliari con l’intenzione di fare un periodo all’estero.
Durante un congresso a Nizza nel 1997 avevo incontrato un professore che lavorava alla McGill University e si occupava di temi di ricerca che a me interessavano. Gli chiesi se potessi passare un anno nel suo laboratorio e lui con molto entusiasmo mi accettò.
Partii con due valige, una con vestiti e dei maglioni regalati dai miei amici Marabini per sopravvivere all’inverno canadese ed un’altra valigia con dei libri poiché allora non esistevano i libri ed articoli scientifici in versione PDF. Avevo uno dei primi computer portatile Mac in bianco e nero che pesava 2.5 kg, e le poche persone che viaggiavano con un portatile dovevano mostrare la fattura alla dogana aeroportuale per dichiararlo come bene non-esportabile.
Avevo una borsa di studio italiana di circa 770 euro al mese (1.500.000 lire al mese).
Subito dopo vinsi una prestigiosa borsa di studio di post-dottorato del governo canadese e dopo un anno e mezzo ebbi la proposta da parte dell’Università di diventare professoressa assistente (assistant professor).

In Canada, una volta che hai un posto universitario di professore in una facoltà di medicina, l’ordine dei medici locale riconosce automaticamente la laurea in medicina e la specializzazione. Dunque, nel giro di meno di due anni mi ritrovai professoressa e medico- psichiatra in Canada, senza passare attraverso estenuanti esami, come richiesto in altri Paesi.
La scelta fu molto tormentata. Da una parte non avevo mai progettato di emigrare in un Paese così lontano lasciando la mia cultura, famiglia, affetti ed amici, dall’altra parte però tornare in Italia a 33 anni significava fare una vita di gavetta e di “porta-borse” per almeno 10 anni, con la speranza forse, un giorno, di avere un posto all’Università.
Il mio sogno infatti era poter dedicare la mia vita alla ricerca scientifica e curare i pazienti al tempo stesso, ed in Canada avevo la possibilità di realizzare questo sogno. Avevo maturato la vocazione e passione di fare la scienziata-medico sin dai primi anni universitari a Roma e non potevo rinunciare a questa chiamata.
In più nell’anno della scelta mia madre si ammalò gravemente, complicando ancora di più una decisione così complessa.
Il cammino dell’emigrazione e dell’integrazione in una nuova società è tortuoso e non lineare. Ci sono diverse fasi che vanno dall’entusiasmo iniziale, al rifiuto dei nuovi valori e costumi del nuovo Paese, sino all’integrazione. L’integrazione è un processo in divenire che richiede prima di tutto un cammino psicologico in cui il vecchio e il nuovo debbono integrarsi, ed i valori con cui siamo cresciuti e ci hanno guidato sin da piccoli debbono lasciare spazio a nuovi mondi ed accogliere nuovi punti di vista.
Il Canada è un Paese facile da vivere, basato sul rispetto per l’immigrato, che rappresenta una risorsa socioeconomica e non una minaccia. È un paese di aperture, dove ognuno può trovare un proprio posto.

È un Paese che lascia spazio ai giovani e cerca attivamente la parità tra uomini e donne, soprattutto nei settori in cui le donne hanno poco accesso come i livelli accademici più alti o le posizioni di responsabilità a livello politico e manageriale.
Nel Québec, soprattutto per i medici, è obbligatorio parlare sia il francese che l’inglese. Il francese, grazie ai miei professori Rossana Pesaro (scuole medie) e Pino Attili (ginnasio), lo avevo imparato bene. L’inglese lo avevo studiato da privatista, poiché al Liceo Classico si offriva una solo lingua nei primi due anni (ginnasio), per cui mi ha richiesto uno sforzo maggiore per impararlo. Il Québec, tuttavia, è una società che accoglie tutte le culture del mondo e la gente
è abituata a sentire accenti diversi, per cui non ho avuto mai difficoltà a farmi capire e capire gli altri. A volte ho anche sperimentato che cosa volesse dire il “dono delle lingue”, ossia quel dono che permette di farsi comprendere e comprendere anche se la conoscenza oggettiva della lingua è limitata. Ho curato pazienti provenienti da ogni angolo della Terra, senza mai incontrare nessuna barriera.
Montreal, dopo Toronto e Miami, è la città con più italiani in Nord-America, ci sono circa 350.000 italiani fra vecchie e nuove migrazioni. Nel 2004 insieme al Consolato di Montreal abbiamo fondato il gruppo dei ricercatori italiani in Québec, che raccoglieva più di 100 ricercatori. Si sono create molte solide amicizie ed anche collaborazioni scientifiche e culturali.
Inoltre, collaboro spesso con le associazioni di marchigiani in Québec e parlo italiano con i pazienti italiani.

Il matrimonio con Robin nel 2009 e la nascita di mia figlia Emma, mi hanno ulteriormente obbligata a crescere ancora di più in questo cammino di inclusione ed integrazione. Una figlia italo-canadese ti richiede ogni giorno non solo di parlare tre lingue diverse in casa, ma anche di trasmettere e di far conoscere i valori e le culture che fanno parte della tua storia. I figli però anche insegnano ai genitori moltissimo. Per esempio, mia figlia ha molte amiche asiatiche e mi
ha permesso di conoscere una cultura che conoscevo poco e che, con sorpresa, ho trovato molto affine. Inoltre, mia figlia mi rimprovera spesso poiché uso termini nel linguaggio corrente o faccio commenti che portano in sé connotati razzisti e sessisti.
Dopo tanti anni di emigrazione ci si abitua alla mancanza, e le cose che prima sembravano essenziali dell’Italia poi diventano accessorie. Però ci sono delle esperienze che mi sono mancate terribilmente in questi anni: non avere visto crescere i miei nipoti Gemma, Filippo e Caterina e trovarmeli ogni volta che venivo in Italia più grandi e cresciuti. Quando ci penso sento una terribile nostalgia e mancanza, poiché sono delle fasi di vita che non torneranno mai più. Poi mi mancano le mie amiche storiche che mi hanno accompagnato nei momenti belli e meno belli di vita.
Ad Osimo ho frequentato le elementari, medie e poi il Liceo Classico. Ho imparato molte cose, e ringrazio in particolare la Prof.ssa Guendalina Marini di Italiano, il Prof Piero Mutinelli di Scienze ed il Prof. Attilio Coltorti di Storia dell’Arte, le cui lezioni così appassionanti sono ancora vivide nella mia memoria. Di certo non tornerei indietro. Il sistema italiano si regge su riforme datate, con un programma non adatto ai tempi di oggi e poca apertura all’innovazione e scienza. Il
mondo sta cambiando velocemente; senza conoscere l’economia, l’informatica, le basi dell’intelligenza artificiale, robotica, genetica si crea un nuovo analfabetismo dove gli individui saranno delle pedine del mondo economico, dei detentori dei “big data” e “social media”. Penso che la scuola italiana debba fare un lungo cammino per integrare la classicità, a cui per ragioni storiche è legata, e modernità-innovazione, altrimenti i nostri giovani non saranno competitivi in un panorama internazionale.
Debbo invece tantissimo alle esperienze dello scoutismo nell’Osimo Uno. Lì ho imparato a conoscere me stessa e misurami con le mie abilità e limiti. Ad esempio, le mie capacità organizzative (o leadership) e manageriali le ho imparate e scoperte facendo lo scoutismo. Ho imparato inoltre moltissime discipline dall’hebertismo alla topografia, all’animazione liturgica e pioneristica. Ho imparato a suonare la chitarra, recitare, cantare. Sono delle competenze che non ho più avuto occasione (e tempo!) da dedicare, per via degli studi di medicina e di un lavoro super-esigente che non permette altri hobbies o studi complementari. Lo scoutismo mi ha poi insegnato ad essere me stessa, e relazionarmi con gli altri per quello che ero, cosa che la scuola mi aveva offerto molto poco. Poi ricordo i campi di specializzazione nazionali ed internazionali che mi hanno aperto le prime finestre sul mondo. Nel mondo anglosassone questo insegnamento “globale” fa parte del curriculum scolastico o extrascolastico a caro prezzo, mentre in Italia dobbiamo compensare queste carenze con un sistema di volontariato e associazionismo.

Osimo è cambiata dagli anni 80 e 90, i centri commerciali hanno preso il posto della centralità del Corso e i giovani hanno abbandonato il giretto in Piazza. Dopo il deserto nel centro storico dei primi anni 2000, mi ha fatto piacere rivedere Osimo più animata e con gente in centro. Le attività culturali sono tornate, ma non sono certo quelle di cui ho goduto nella mia adolescenza, quando Osimo aveva una ricca stagione teatrale, operistica e di danza che mi hanno permesso di acquisire una conoscenza culturale vastissima. Il mio primo lavoro remunerato (13 Euro o 25.000 lire) fu la comparsa all’opera “La Gioconda” nel 1983 al Teatro La Fenice. Sarebbe bello poter offrire di nuovo questa ricchezza culturale ai nostri giovani e farli sognare per un avvenire migliore. Senza sogni non c’è futuro.
La cosa che più vorrei vedere cambiata nel nostro Paese è una maggiore responsabilità civile e partecipazione al Bene comune, attenzione verso i giovani che sono il motore della nostra società ed il nostro futuro, nonché una maggiore attenzione al ruolo delle donne. Quando studio storia con mia figlia, ogni capitolo del libro di testo parla di almeno una donna che ha fatto la storia. A 10 anni i bambini e bambine studiano l’importanza delle leggi degli anni 80 in Québec a favore delle donne, che hanno potenziato asili per tutti a prezzi abbordabili ed assistenza finanziaria a
donne che hanno figli per permettere loro di lavorare e rivestire un maggiore ruolo nella società.
In Italia vige ancora un impercettibile potere maschilista, difficile da essere scalfito.

Infine, come ultimo messaggio, vorrei dire ai miei giovani concittadini di seguire i propri sogni e le strade che la vita presenta, anche se inaspettate. Nel mio laboratorio accolgo molti giovani italiani e italiane che sono tornati a lavorare in Italia con una mentalità completamente nuova.
Ognuno dovrebbe amare il proprio Paese, che può cambiare non criticando i politici e amministratori, ma impegnandosi nel nostro piccolo a rispettare la società civile, pagare le tasse, offrire un posto di lavoro ad un giovane, ad una donna, un immigrato. Rispettare la meritocrazie chi è più bravo di noi. La cosa bella della società nord-americana è che chi è bravo/a diventa un modello/a per altri e non una persona da distruggere ed annichilire. La vita offre sempre un posto per esprimere i nostri talenti e aiutare gli altri, rendendo il mondo “un po’migliore di come
lo abbiamo trovato”.


Ciao Gabriella. Ogni tanto, in Osimo,  ci arriva l’eco di prestigiosi riconoscimenti che continui a ricevere (come il premio intitolato al prof. Lal Samarthji, o quello della  fondazione canadese “Graham Boeckh”, e da ultimo il premio Venezia Award) dando prestigio, di riflesso, anche alla nostra città di cui sei cittadina onoraria.
Premi che credo siano poca cosa rispetto alla gratificazione per il bene che riesci a procurare, grazie alla ricerca ed ai tuoi studi,  alle persone che  soffrono di disturbi psichici , offrendo loro terapie opportune.
Ti immagino nelle corsie dell’Ospedale  con la stessa sensibilità, professionalità, umanità e calore – come lo eri al tempo del gruppo scout – che accompagni e curi queste persone fragili nelle loro esistenze ferite.
Grazie Gabriella, osimana  che si fa valere per le strade del Mondo.
Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo

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Don Flavio Ricci: un padre e un prete innovatore ad Osimo

Questo 5 agosto 2021, ricorre il 4° anniversario della morte di don Flavio già curato a Osimo “Chiesa del Sacramento” e del Duomo, Direttore della Caritas Osimana e guida spirituale del movimento scoutistico del gruppo Osimo 1.

Per me, e sono sicura sia anche la  testimonianza delle tante persone che lo hanno conosciuto e amato,  don Flavio è stato una figura carismatica, una guida, un’innovatore, con lui partirono bellissimi indimenticabili campeggi estivi,  animatore infaticabile  dell’oratorio di San Filippo, grazie a lui al Duomo e poi in tutta la diocesi  ha preso vita il centro di Ascolto, iniziative sociali pro terremoto in Irpinia e  a Trasaghis, a lui si deve la realizzazione della casa per immigrati a Santa Palazia, come l’avvio dell’Associazione “A piene Mani”, ed è stato anche promotore di  iniziative culturali come la realizzazione del Museo  e dell’archivio diocesano.   

Io amo ricordarlo come sacerdote premuroso e sempre disponibile a dedicarmi un minuto del suo tempo per accompagnarmi nelle mie inquietudini spirituali e consigliarmi nelle scelte di vita. Flavio ha lasciato traccia  in tutti noi ragazze e ragazzi dell’oratorio e del gruppo scout. Una traccia per nulla sfuggita e dimenticata, ancor oggi,  alle tante osimane e osimani che accorrevano a sentire la spiegazione del vangelo domenicale che riusciva mirabilmente ad attualizzare nel contesto delle scelte di  vita odierna. Sempre al fianco degli ultimi e delle persone meno fortunate, Flavio,  ha avuto al centro della sua vita, l’amore per Osimo.
Ciao Flavio, sono stata fortunata di averti incontrata sul cammino della vita per le tante cose e l’esempio che mi hai trasmesso, ….. mi manchi.  

Paola 

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Osimo calls World: Perla Mignanelli

Perla Mignanelli nata in Osimo, classe 1987. Perla è una ragazza coraggiosa partita da Osimo si è fatta conoscere e apprezzare per il suo talento artistico  con cui sprigiona tutta la sua affascinate ed estroversa personalità. Oggi vive a Londra dove è riconosciuta come una artista emergente, le cui  opere sono ricercate ed apprezzate.

Perla MIgnanelli

Quando penso ad Osimo, penso alla mia grande famiglia, ai miei amici, ai posti dove sono cresciuta e che frequentavo da ragazzina, ai posti dove ho lavorato e a quelli che mi fa sempre piacere rivedere ogni volta che torno. Quando mi chiedono se un giorno tornerò a casa, la mia risposta è sempre la stessa: “nella vita mai dire mai”.

 Mi chiamo Perla Mignanelli, sono nata il 4 febbraio del 1987 ad Osimo. Mio padre è osimano, precisamente del Borgo, mia mamma di Castelfidardo. Vivo da sempre in via Montefanese e ho frequentato le scuole elementari del San Carlo trasferendomi in quarta elementare alle Fornaci Fagioli quando i miei genitori decisero di aprire il loro negozio di argenteria “L’Argentiere”, in via Marco Polo.

Mio padre Ermanno è un artigiano, e credo la mia vena artistica sia in parte dovuta al suo grande talento e alla passione con cui da sempre svolge il suo lavoro. Mia madre Simonetta Mengarelli, ha una laurea in giurisprudenza che però non ha mai utilizzato poiché, conosciuto mio padre, si è affiancata a lui fondando l’azienda familiare.

 Ho frequentato le scuole medie alla Caio Giulio Cesare e la mia indole da sempre creativa mi spinse poi a lasciare il mio paese per iscrivermi alla scuola superiore statale d’arte “G. Cantalamessa” di Macerata.

Credo che gli anni delle superiori siano stati gli anni più belli, quelli che ricordo sempre con un sorriso. Anni in cui si sono formate delle bellissime amicizie ed in cui ho iniziato a scoprire me stessa. Sono stati gli anni della ribellione, dell’istinto, della musica rock e punk, del doversi in qualche modo distinguere, delle prime cotte e dell’abbigliamento alternativo. Pur frequentando la scuola superiore a Macerata non ho mai abbandonato le amicizie osimane e noi ragazzi ci incontravamo quasi tutti i pomeriggi al piazzale della Sacra Famiglia e ricordo con grande affetto Don Giovanni Bianconi che puntualmente brontolando usciva dalla chiesa per rimproverarci per la troppa confusione.

Mi sono diplomata nell’estate del 2006 e a settembre dello stesso anno ho iniziato il mio percorso all’Accademia di Belle Arti di Macerata e frequentando il corso di Decorazione pittorica ho scoperto la profonda passione che tutt’ora mi lega al mondo dei colori e dei pennelli. Durante questi anni universitari è iniziata a crescere in me la voglia di esprimermi artisticamente e quindi di farmi conoscere, così iniziai ad esporre in mostre collettive su gran parte del territorio marchigiano.

La mia prima mostra è stata organizzata dal comune di Osimo nella chiesa di S. Filippo a Piazza Nuova nel settembre 2008, durante la festa del patrono S. Giuseppe. La Ricordo, come un’emozione grandissima ed un gran successo e quella mostra è stata la prima di una lunga serie. Negli anni successivi infatti ho partecipato a diversi eventi culturali messi a disposizione sia dal comune di Osimo, che dai paesi limitrofi, come Castelfidardo, Numana, Sirolo per poi arrivare fino a San Benedetto del Tronto passando per Macerata, Civitanova, Grottammare ed Ascoli Piceno.Credo che  il percorso accademico, il rapporto con i miei docenti universitari, la loro fiducia nelle mie capacità, il grande desiderio di farmi conoscere come artista non solo sul territorio nazionale, siano state le basi necessarie per intraprendere quel viaggio che mi ha poi spinta qui in Inghilterra.
Non ho mai avuto dubbi sulla scelta di trasferirmi e tornassi indietro lo rifarei altre mille volte, partendo molto prima e magari frequentando l’Università o un Master qui in Inghilterra considerando,  anche,  che il sistema universitario Britannico permette buoni sbocchi lavorativi. Qui vige il sistema del numero chiuso in tutte le facoltà consentendo così, dopo una rigorosa selezione, a tutti gli studenti ammessi di usufruire appieno di tutte le risorse messe a disposizione dall’ateneo. Inoltre gli studenti universitari provenienti da altri Paesi UE possono richiedere un supporto finanziario al governo inglese.

Sono partita per Londra il primo dicembre 2013, trasferendomi poi definitivamente il 22 settembre 2014. Essendo figlia unica, all’inizio non è stato per niente facile per i miei genitori accettare la mia scelta e per tranquillizzarli ricordo di aver detto qualcosa del tipo: “non vi preoccupate, sarà solo un’esperienza di qualche mese”. Sono trascorsi sette anni.

Mi piacciono molte cose della mia vita qui a Londra, soprattutto il fatto di potermi presentare come artista a tutti gli effetti. Londra è il centro del mondo e il motivo principale che mi ha spinta qui è proprio il desiderio di lavorare nell’ambito artistico, di mettermi in gioco dando spazio ai miei sogni, alle mie capacità e ambizioni, facendomi conoscere nel campo internazionale, ed essendo Londra una vetrina sul mondo, penso di essere nel posto giusto. Qui ho riscoperto me stessa nel modo di vestire, parlare, di rapportarmi con gli altri, qui ho la possibilità di relazionarmi tutti i giorni con gente completamente diversa da me, che arriva da ogni parte del mondo, ognuno con la sua storia, ognuno con le sue esperienze. Ho visto gente andare al supermercato in pigiama, in vestaglia, in ciabatte, con i bigodini in testa per esempio. Nessuno ti guarda, nessuno ti giudica. Vivere a Londra significa avere mille opzioni per ogni cosa, significa controllare le previsioni del tempo per il giorno dopo per poi rendersi conto che è inutile visto che ti vestirai comunque a strati. Significa avere sempre con te un ombrello ed un paio di occhiali da sole. Significa che se vuoi fare una cosa la fai e che però, purtroppo, il tempo per la vita sociale è poco.

 Londra è una citta veloce, impari a camminare veloce, a mangiare veloce, a correre per prendere la metro o il bus, perché se sei in ritardo a volte anche un minuto può fare la differenza. Vivere a Londra significa darti una possibilità, fare quello che più ami, i sacrifici fanno parte del gioco, ed il segreto è non smettere mai di credere che un giorno ce la farai.

Ho sempre amato viaggiare sin da bambina, scoprire nuovi luoghi, paesi, città. Le gite scolastiche fuori porta sono sempre state le mie giornate preferite caratterizzate dal tipico panino con la cotoletta che non mancava mai. Sin da piccola sono sempre stata appassionata di arte e storia e proprio per questo motivo durante le scuole elementari ho partecipato alle Mini Guide di Osimo, un’associazione che vedeva protagonisti i bambini come guida alla scoperta della città.
Mio padre Ermanno mi ha tramandato l’amore per la mia città attraverso le sue meravigliose narrazioni di storie osimane, con le profonde e divertenti poesie in dialetto,  dandomi la possibilità di percorrere Osimo visivamente e mentalmente in lungo e largo così come lo conosce lui. Sono cresciuta frequentando la parrocchia del San Carlo, con il catechismo il sabato pomeriggio e la messa a seguire; ho anche fatto parte del coro della chiesa per parecchi anni e ricordo con tanto affetto Padre Ampelio e Padre Mario, colonne portanti della parrocchia.

Le difficoltà qui a Londra non sono mancate, considerando che all’inizio di questa città sapevo ben poco. Il mio primo alloggio è stato un appartamento condiviso con altre ragazze a Bethnal Green, quartiere Est della città. Ricordo ancora il giorno in cui sono arrivata, avevo solo una grande valigia rossa con me, con dentro qualche vestito, un pigiama e dei maglioni che mia madre aveva accuratamente preparato dicendo “copriti bene mi raccomando, che a Londra fa freddo”. Arrivo in quello che sarà per me la dimora di qualche mese; non mi aspettavo di certo un’accoglienza regale, ma neanche una porta in faccia ed un tizio in cucina in mutande che mangiando un toast mi guarda e chiede chi fossi. Nella mia camera riescii a malapena ad entrare quando mi accorsi del livello di sporcizia, polvere e muffa che vi risiedeva probabilmente da anni.

Ho impiegato, forse, più di una settimana per pulire e sistemarmi completamente ed essendo una persona molto testarda ed orgogliosa ad ogni chiamata con i miei genitori fingevo andasse tutto bene rassicurandoli, dicendo di trovarmi in una bella casa, confortevole e ben arredata con delle coinquiline meravigliose. Effettivamente l’inizio non è stato un gran che, ma ad oggi non riuscirei a raccontare la mia esperienza senza citare quello che poi sarebbe diventato uno dei periodi più belli della mia vita londinese.

 Il mio primo lavoro è stato come commessa in un negozio di abbigliamento all’interno del mercato di Camden Town, zona molto famosa e turistica di Londra, miscuglio di mercati di oggettistica e bancarelle che ripropongono tutti i cibi del mondo: dal cinese, all’ungherese, dal giapponese all’italiano con stand di pasta fresca e piadina romagnola oltre alla tanto amata pizza.

Ed è qui che tra le zone insolite ed improbabili ho conosciuto le mie amiche, quelle che poi sono diventate le compagne di vita e avventure. La creatività di Camden è stata sempre un grande punto di ispirazione e fascino, con gente vestita nei modi più strani che canta e balla per la strada come se fosse la cosa più normale del mondo. Il suono della chitarra ad ogni ora,  birre tra le mani dei passanti, spensieratezza ed allegria uniche. La libertà nella scelta della musica, degli stili,  delle diverse personalità dal metal al punk, dal gotico al vintage, dal pop al rock, generi e culture diverse unite in quello che forse è ancora il più alternativo e stravagante dei quartieri londinesi.  

In questi sette anni a Londra la mia carriera si è sviluppata prevalentemente nel settore commerciale. Sono ormai quasi tre anni che lavoro come Manager in una compagnia inglese di arredamento e design d’interni.
La mia buona volontà e persistenza mi hanno permesso di arrivare dove sono, passando per anni di gavetta con un salario minimo e lavorando prevalentemente nei weekend.

All’inizio non è stato facile e la lingua sembrava essere un ostacolo insormontabile, ma poi con il tempo, un po’ per abitudine un po’ per testardaggine, si va avanti convinti che la propria occasione prima o poi arriverà.  

Gli Inglesi sono molto diversi da noi italiani, per abitudini, cultura, modo di vestire e di parlare. In principio sono freddi e non danno confidenza, molto formali e rigidi, non dicono mai quello che pensano e si nascondono spesso dietro le buone maniere per non inceppare in conversazioni scomode o di disagio.  Nonostante tutto, la mia permanenza qui è sempre stata contornata da brave persone, dal cuore grande,  disposte ad aiutarmi. Gli inglesi amano l’Italia più di noi italiani, apprezzano il nostro cibo, la nostra arte e cultura, ci apprezzano e ci trovano persone estremamente simpatiche e creative.

Il “made in Italy” nel Regno Unito è ancora sinonimo di qualità e quando dico che sono italiana oltre a pasta, pizza e mandolino vengono citate molte altre cose che ci rendono unici al mondo. L’azienda in cui lavoro è multiculturale e aperta all’interazione, io sono l’unica dipendente italiana e i miei colleghi sono per lo più europei. Non sono stata io a trovare questo lavoro, ma il mio titolare a trovare me durante un pomeriggio del novembre 2017,  mentre passeggiava per i negozi del centro. Al tempo lavoravo per una compagnia di arredamento e mentre stavo aiutando un cliente in negozio vengo gentilmente approcciata con un biglietto da visita e una proposta di lavoro. Incredula, ma decisamente contenta decido di fare il colloquio ed accettare quindi il lavoro. Quando dicono che Londra è la città delle opportunità si parla proprio di questo, della casualità degli eventi che a volte si trasforma in possibilità.

Il sistema lavorativo britannico si basa sul merito; il personale viene scelto non solo tramite agenzie o mandando il proprio CV, ma sono gli stessi imprenditori o titolari di aziende affiancati dai manager che in incognito fingendosi clienti, valutano e scelgono il personale adeguato per la propria azienda.  

Il lavoro di artista è sempre andato di pari passo al mio impiego a tempo pieno. I miei giorni di riposo settimanali li ho sempre dedicati alla pittura e all’inizio non potendo permettermi uno studio, dipingevo in camera. La mia produzione pittorica si è sviluppata e si sta sviluppando tutt’ora grazie a questa città che è sempre in movimento e non smette mai di sorprendermi. Traggo ispirazione da luoghi, architetture, da gente che incontro in metro o nei pub. I musei qui sono gratuiti, perciò una delle cose che amo fare è andare alla National Gallery o alla Tate con il mio album da disegno, sedermi davanti ad un Caravaggio o un Picasso e iniziare a disegnare. Ci sono persone che si portano colori, tele e cavalletti al museo, bambini distesi sul pavimento che disegnano, guide che spiegano i dipinti e le storie dei pittori in tutte le lingue del mondo. I musei sono luoghi affascinanti, dove perdere la cognizione di tempo e spazio e dove l’unica cosa che conta è sentirsi ammaliati da tanta bellezza.
Ho iniziato ad esporre i miei dipinti in mostre collettive a Londra nel 2017. Qui il mercato dell’arte è molto eccitante e vasto, anche se mostre ed eventi artistici non sono proprio alla portata di tutti considerando che il prezzo di uno spazio espositivo si aggira mediamente intorno alle mille sterline. In questi ultimi anni grazie alla mia presenza sul mercato artistico inglese sono riuscita sia ad avere successo nelle vendite di dipinti originali, sia a lavorare su commissione realizzando dipinti su tela, su parete o per vetrine di negozi.  Ovviamente da marzo 2020, causa COVID il mercato artistico si è spostato online, con gallerie che spesso organizzano concorsi per artisti emergenti e fiere d’arte virtuali. Il progetto di farmi conoscere ed esporre i miei quadri è sempre il principale e mi piacerebbe organizzare mostre personali ed eventi artistici in tutto il mondo.

Londra mi ha cambiata quasi completamente, qui ho scoperto una dimensione a me totalmente sconosciuta, una capacità di sopravvivenza che non sapevo di avere, una me stessa più forte e coraggiosa di quello che immaginavo ed una creatività che forse, se fossi rimasta in Italia, non sarebbe mai emersa. Tutti i miei amici che negli anni sono venuti a trovarmi, mi hanno sempre detto che sembro proprio fatta per vivere qui, che sono totalmente me stessa e che il grande amore per questa città si legge nei miei occhi.  Nonostante io sia figlia unica, i miei genitori sin da piccola hanno sempre creduto in me, supportando le mie decisioni e se sono quella che sono oggi, lo devo maggiormente a loro e all’infinita libertà di scegliere che ho sempre avuto.  So che ci sono molti Osimani residenti qui, e con alcuni di loro ogni tanto ci sentiamo, ma essendo Londra una città molto grande a volte le distanze, e quindi gli spostamenti, diventano un problema.
Cosa mi manca dell’Italia? Decisamente la pizza al taglio e le mangiate di pesce la domenica al mare. Mi manca il rumore del mare e il calore del sole in primavera-estate. Mi mancano le chiacchiere al baretto sotto casa e salutare la gente che conosci in giro per strada. Mi mancano gli incontri in piazza e gli aperitivi.  Mi mancano le tradizioni osimane come la processione del venerdì santo seguita dal gelato del “Bar 4+1” per esempio.

Quando si intraprende un viaggio così lungo, come fare un’esperienza all’estero, i ricordi sono ciò a cui ti aggrappi tutte le volte in cui ti senti solo e vulnerabile e non importa quanto lontano sei o andrai,  loro ti accompagneranno sempre.

 Oggi le possibilità di viaggiare e conoscere sono infinite e tutto è diventato abbastanza semplice quindi mi piace pensare a me come cittadina europea e cittadina del mondo. Conoscere persone provenienti da altre nazioni, stati, continenti non può far altro che aprire la mente, ampliare la nostra cultura e aiutarci nel rapporto con una realtà che non è solo quella delle nostre quattro mura. Ho amici da tutte le parti del mondo che purtroppo con la situazione COVID hanno dovuto abbandonare Londra, ma la forza dell’amicizia sta anche nel fatto di continuare a sentirsi nonostante la distanza.  Pur trovandomi in contesti diversi e sempre nuovi, non ho mai smesso di far conoscere Osimo raccontando di come si vive in Italia, della mia realtà e la vostra, osimani che state leggendo, e mi sono sempre impegnata ad invitare gente nuova a trascorrere le vacanze estive nelle nostre meravigliose terre. E dove non arriva l’aereo arriva “Google”, mostrando foto dei nostri paesaggi collinari, del mare, di edifici storici e perché no, anche di qualche piatto di pasta. I miei colleghi adorano l’Italia ed ogni volta che torno dalle vacanze cerco sempre di portare qualcosa di tipico da far assaggiare; vanno matti per il panettone e dolci natalizi, la pasta fatta in casa, i formaggi, il vino. Ho scoperto per esempio, che uno dei miei colleghi inglesi adora il Verdicchio, chi l’avrebbe mai detto?  Sono tornata ad Osimo lo scorso Natale, dopo un lungo anno di assenza dovuto al COVID. Riabbracciare i miei genitori dopo così tanto tempo è stata una delle emozioni più grandi.

Descrivere la situazione che abbiamo vissuto qui in Inghilterra l’anno scorso sin dall’inizio della pandemia è tutt’ora difficile considerando le lunghe notti insonni, fatte di paure e ansie al pensiero che forse non avrei mai più rivisto la mia famiglia. Il governo britannico, nonostante le innumerevoli testimonianze riguardo alla veloce e pericolosa propagazione del virus, sembrava all’inizio non curarsene. Noi italiani a Londra abbiamo fatto di tutto per diffondere video, foto, notizie, quanto più possibile riguardo alla situazione COVID in Italia, ma non sembrava avere alcun effetto neanche sulla popolazione inglese. L’inizio della pandemia è stato forse il più difficile per noi italiani qui, perché consapevoli della situazione italiana ci sentivamo impotenti davanti ad una società che non voleva vedere. Ricordo che subito dopo il primo discorso di Boris Johnson in cui parlò di immunità di gregge o ancor peggio di essere pronti a perdere i propri cari capii immediatamente che qualcosa non andava e mi iscrissi a quanti più gruppi sui social che parlavano del COVID, ed iniziai la mia battaglia di diffusione notizie trasmettendo tutte le testimonianze raccolte dall’Italia. Aldilà di qualche commento spiacevole, molte persone sono state solidali e gentili, ringraziandomi per l’impegno preso e per la costanza con la quale mostravo una realtà qui ancora così difficile da vedere.

 Dopo un anno speso tra vari lockdown, aperture, chiusure, misure di sicurezza, posso dire che la situazione sembra pian piano migliorare soprattutto grazie alla rapida diffusione dei vaccini, anche se tutt’ora si vede ancora in giro gente senza mascherina, nonostante sia diventato ormai obbligatorio indossarla sui mezzi pubblici, nei i negozi e supermercati.
La mia vita durante questa terribile pandemia, come penso quella di molti altri, è cambiata radicalmente. Io che mi sono sempre vista al centro del mondo, attiva, inarrestabile, piena di voglia di fare, esplorare, d’un tratto chiusa in casa, nella città che tanto ho amato e che all’improvviso si è rivelata una prigione con il mondo che mi stava crollando addosso. Mi sono sentita sola, spaventata, triste, senza speranza e se non fosse stato per il supporto della mia grande famiglia e dei miei amici sia qui che in Italia, non so davvero come avrei fatto. Da parte del governo britannico non ci sono mai state indicazioni chiare riguardo la pandemia a parte lo slogan: “Stay home, save lives”.
Ho trascorso gran parte del 2020 in casa, continuando a percepire uno stipendio ridotto, ma più che necessario per pagare l’affitto, le bollette e per fare la spesa. Nonostante tutte le difficoltà emotive, questo tempo a casa mi è servito molto per dedicarmi interamente alle mie passioni ed è stato forse uno dei periodi più produttivi che abbia mai attraversato.

 Quando penso a me, penso ad una ragazza con tanti sogni nel cassetto ancora da realizzare. Mi presento generalmente come pittrice con una grande passione per il mondo della moda. Perla non è solo un nome,  una firma d’autore su un quadro, un brand di moda, Perla è un universo artistico che si muove attorno ad idee sempre nuove, uniche ed innovative. Perla è un misto di esperienze, studi, talento, grinta e passione.  

Nasce così nel marzo 2021 il progetto “Wearable Art” (arte indossabile) che vede come protagonisti i miei dipinti inseriti nell’abbigliamento quotidiano. Gli studi artistici, la mia creatività, le mie esperienze hanno fatto sì che moda e arte si uniscano per creare qualcosa di nuovo, di fresco e innovativo influenzato dall’eleganza della moda italiana, mista alla creatività di quella inglese.
Il mio progetto di arte indossabile è molto ambizioso ed ampio, con una linea di prodotti di abbigliamento e accessori totalmente progettati e realizzati a mano da me con l’aiuto di sarte e modelliste professioniste. Gonne, maglie e giacche fanno da protagoniste ad una linea che verrà lanciata quest’estate grazie alla campagna di raccolta fondi essenziali per sostenere un progetto ambizioso ed originale, fatto di ricerca e dettagli.
Uno stile in cui tutto è connesso, dove la pittura diventa protagonista combinata a tessuti e colori di vario genere. Abbigliamento che diventa opera d’arte, che racconta una storia, che si mescola ad oggetti ed accessori giornalieri. Abbigliamento che diventa reazione, coesione, contrapposizione alla realtà, modelli protagonisti dell’apparato urbano, dove le nostre città e i centri storici fanno da passerella, sfondi storici per accogliere un abbigliamento del tutto contemporaneo.

Creare prodotti unici è in qualche modo raccontare una storia e l’ispirazione dal passato crea nuove idee per il futuro. Qui arriva la mia collezione di abiti senza tempo, dove unicità è la parola chiave e stile la forma. Dico sempre che essere se stessi significa essere unici e seguire la propria consapevolezza è la chiave per avere successo non arrendendosi ed il mio scopo è creare bellezza in ogni momento, in ogni cosa, in ognuno.   

Il mio consiglio ai giovani è di viaggiare il più possibile, di aprirsi a nuove esperienze, di non avere paura, di camminare sempre a testa alta e guardare al futuro come possibilità di scelta e di vita. Ognuno di noi ha dei sogni da realizzare e darsi la possibilità di realizzarli significa essere già a metà strada.

Nulla è impossibile,  l’importante è non smettere di credere nelle proprie capacità e non importa ciò che dicono gli altri, credere in se stessi è il primo segreto del proprio successo.
Il mio progetto futuro è di avere successo nell’ambito artistico e nella moda, vorrei vedere il mio progetto realizzato, incontrare gente per strada indossare la mia collezione di abiti, avere i miei dipinti esposti in gallerie e fiere d’arte di tutto il mondo. Vorrei essere una donna di successo, orgogliosa di tutto quello che sono riuscita a realizzare con le mie forze, non smettendo mai di credere che nonostante le difficoltà a volte la realtà può essere anche meglio dei sogni.

Vorrei esprimere – da ultimo – la mia gratitudine verso Paola Andreoni per avermi contattata, dandomi la possibilità di scrivere questo articolo come testimonianza di osimana all’estero ed essere stata anche così paziente nell’attenderlo. Colgo l’occasione anche per annunciarvi la mia campagna, iniziata il primo luglio e della durata di sessanta giorni,  di “Raccolta fondi per le arti” in collaborazione con altri artisti e con tre diverse associazioni di beneficienza di Londra a cui doneremo il 10% del ricavato.

 Questa campagna nasce dal mio desiderio di iniziare un progetto di Arte Indossabile (Wearable Art) dove i miei dipinti e disegni diventano stampe per una collezione di moda interamente disegnata da me con l’aiuto di sarte e fashion designers. Ispirata allo stile alternativo di Vivienne Westwood, innovativo di Alexandre Mc Queen e decorativo di Roberto Capucci, la mia collezione di abbigliamento totalmente a serie limitata, fonde lo stile inglese con quello italiano e vede i miei dipinti, stampati su stoffe e materiali di vario genere, diventare protagonisti di capi ed accessori originali.
Arte non è solo quello che si trova in musei o gallerie. Arte è qualcosa di speciale, personale, arte è ciò che siamo e soprattutto ciò che vogliamo comunicare. Arte è personalità, amore, sentimento, emozione, vibrazione. Arte è ciò che ci fa sentire speciali, unici, anticonformisti e quindi perché non indossarla?  Ringrazio inoltre tutte le attività commerciali di Osimo e dintorni che si sono offerte di diventare sponsor e supporto per la mia campagna, offrendo prodotti e servizi che potete trovare nel nostro sito :

https://www.indiegogo.com/projects/the-crowdfunding-festival-of-arts/x/26673160#/

Chiunque volesse supportare il mio progetto di Arte Indossabile può direttamente contribuire tramite il sito con una donazione o acquistando prodotti o servizi a disposizione. Ringrazio tutti anticipatamente per ogni singolo piccolo o grande contributo, essenziale per costruire un ambizioso progetto. progetto.


Grazie Perla  è un motivo di grande orgoglio per la nostra città vedere “spiccare il volo” una giovane come te, che sa unire arte, bellezza ma anche solidarietà. Emergere “dal rumore di fondo” è tutt’altro che facile e tu stai riuscendo in questa sfida. A te  un plauso e le congratulazioni di tutta la nostra comunità cittadina.
Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo.

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Perla promuove: The Crowdfunding Festival of Arts

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