Addio prof. Rodotà

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Addio prof. Stefano Rodotà, esempio di impegno per le battaglie per  le libertà  e la difesa dei diritti.
L’avrei voluta Presidente della Repubblica, sarebbe stato un buon Presidente capace di entrare nei cuori di tutti gli italiani.
Una gran brava persona che  ci mancherà moltissimo.
Paola

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La battaglia dell’acqua: di Stefano Rodotà

giornale La Repubblicadi Stefano RODOTA’, Repubblica 16 marzo 2016.Cinque anni fa il referendum. La democrazia, i cittadini e le nuove norme sui servizi idrici.
Quasi cinque anni fa, nel giugno 2011, ventisei milioni di italiani votarono sì in un referendum con il quale si stabiliva che l’acqua deve essere pubblica. Oggi, ma non è la prima volta, si cerca di cancellare quel risultato importantissimo, approvando norme che sostanzialmente consegnano ai privati la gestione dei servizi idrici. Non è una questione secondaria, perché si tratta di un bene della vita e perché viene messa in discussione la rilevanza di uno strumento essenziale per l’intervento diretto dei cittadini. Tutto questo avviene in un momento in cui si parla intensamente di referendum sì che, prima di approfondire la questione, conviene dire qualcosa sul contesto nel quale ci troviamo.
Una domanda, prima di tutto. Il 2016 è l’anno del referendum o dei referendum? Da molti mesi si insiste sul referendum autunnale, dal quale dipendono un profondo mutamento del sistema costituzionale e, per esplicita dichiarazione del presidente del Consiglio, la stessa sopravvivenza del governo. Ma nello stesso periodo si sono via via manifestate diverse iniziative dei cittadini per promuovere altri referendum, ma anche per raccogliere firme per presentare leggi di iniziativa popolare e per chiedere che la Corte costituzionale si pronunci sulla legittimità della nuova legge elettorale (e già il Tribunale di Messina ha inviato l’Italicum alla Consulta).
Questo non significa che quest’anno saremo chiamati a pronunciarci su una serie di referendum. Questo avverrà in un solo caso, il 17 aprile, quando si voterà per dire sì o no alle trivellazioni nell’Adriatico. Per gli altri dovremo aspettare il 2017. Ma già dai prossimi giorni cominceranno le diverse raccolte delle firme, con effetti politici che non possono essere trascurati. In un tempo dominato dal distacco tra i cittadini e la politica, dalla progressiva perdita di fiducia nelle istituzioni, questo attivismo testimonia l’esistenza di riserve diffuse di attenzione per grandi e concreti problemi, di mobilitazioni non sollecitate dall’alto che non possono per alcuna ragione essere sottovalutate. Ma non saremo di fronte soltanto ad un inventario di domande sociali. Poiché a ciascuna di queste domande si fa corrispondere una iniziativa istituzionale, questo significa che i cittadini diventano protagonisti della costruzione dell’agenda politica, dell’indicazione di temi di cui governo e Parlamento dovranno occuparsi. Non è un fatto secondario per chi vuole stabilire lo stato di salute della democrazia nel nostro Paese.
Seguiamo i diversi casi in cui si vuol dare voce ai cittadini. Una larga coalizione si è costituita intorno a tre referendum “sociali”, che riguardano lavoro, scuola, ambiente e beni comuni, per abrogare norme di leggi recenti (Jobs act, “buona scuola”) che più fortemente incidono sui diritti. Tre sono pure i referendum istituzionali, poiché a quello sulla riforma costituzionale se ne aggiungono due riguardanti l’Italicum. Le leggi d’iniziativa popolare riguardano l’articolo 81 della Costituzione, il diritto allo studio nell’università (per iniziativa della rete studentesca Link), la disciplina dell’ambiente e dei beni comuni. E bisogna aggiungere l’iniziativa della Cgil che sta consultando tutti i suoi iscritti su una “Carta dei diritti universali del lavoro”, mostrando come si vada opportunamente diffondendo la consapevolezza che vi sono decisioni che bisogna prendere con il coinvolgimento il più largo possibile di tutti gli interessati.
Sarebbe un grave errore archiviare queste indicazioni come se si fosse di fronte ad una elencazione burocratica. Vengono invece poste tre serissime questioni politico-istituzionali: come riaprire i canali di comunicazione tra istituzioni e cittadini, per cercar di restituire a questi la fiducia perduta e avviare così anche una qualche ricostruzione dei contrappesi costituzionali; come evitare che si determini una inflazione referendaria; come riprendere seriamente la riflessione su “ciò che resta della democrazia” (è il titolo del bel libro di Geminello Preterossi da poco pubblicato da Laterza). Ma sarebbe grave anche giungere alla conclusione che l’unico referendum che conta sia quello, sicuramente importantissimo, sulla riforma costituzionale, e che tutti gli altri non meritino alcuna attenzione e che si possa ignorarne gli effetti.
Sembra proprio questa la conclusione alla quale maggioranza e governo sono giunti negli ultimi giorni, nell’approvare le nuove norme sui servizi idrici, che contraddicono il voto referendario del 2011. Quel risultato clamoroso avrebbe dovuto suscitare una particolare attenzione politica e, soprattutto, una interpretazione dei risultati referendari la più aderente alla volontà dei votanti. E invece cominciò subito una guerriglia per vanificare quel risultato, tanto che la Corte costituzionale dovette intervenire nel 2012 con una severa sentenza che dichiarava illegittime norme che cercavano di riprodurre quelle abrogate dal voto popolare. Ora, discutendo proprio una nuova legge in materia, si è prodotta una situazione molto simile e viene ripetuto un argomento già speso in passato, secondo il quale formalmente l’acqua rimane pubblica, essendo variabili solo le sue modalità di gestione. Ma qui, come s’era cercato di spiegare mille volte, il punto chiave è appunto quello della gestione, per la quale le nuove norme e il testo unico sui servizi locali fanno diventare quello pubblico un regime eccezionale e addirittura ripristinano il criterio della “adeguatezza della remunerazione del capitale investito” cancellato dal voto referendario.
È evidente che, se questa operazione andrà in porto, proprio il tentativo di creare occasioni e strumenti propizi ad una rinnovata fiducia dei cittadini verso le istituzioni rischia d’essere vanificato. Se il voto di milioni di persone può essere aggirato e messo nel nulla, il disincanto e il distacco dei cittadini cresceranno e crollerà l’affidabilità degli strumenti democratici se una maggioranza parlamentare può impunemente travolgerli.
Questo, oggi, è un vero punto critico della democrazia italiana, non il rischio di una inflazione referendaria sulla quale Ian Buruma ha richiamato l’attenzione. Le sue preoccupazioni, infatti, riguardano un particolare uso del referendum, populistico e plebiscitario, promosso dall’alto, e dunque l’opposto del referendum per iniziativa dei cittadini, che è il modello adottato dalla Costituzione. I costituenti, una volta di più lungimiranti e accorti, hanno previsto una procedura per il referendum che lo sottrae al rischio di divenire strumento di quel dialogo ravvicinato tra “il capo e la folla” indagato da Gustave Le Bon. E che prevede una separazione tra tempi referendari e tempi della politica, per evitare che questi stravolgano il senso del ricorso a uno strumento così delicato della democrazia diretta.
Anche per questa via, dunque, siamo obbligati ad interrogarci intorno al senso della democrazia nel tempo che stiamo vivendo. Di essa si è talora certificata la fine o si sono segnalate trasformazioni tali da indurre a parlare, ben prima delle recenti sgangherate polemiche, di democrazia “plebiscitaria”, “autoritaria”, “dispotica” (forse la lettura di qualche libro dovrebbe essere richiesta a chi pretende di intervenire nelle discussioni). Per analizzare il concreto funzionamento delle istituzioni credo che non sia più sufficiente parlare di democrazia “in pubblico” e che il moltiplicarsi degli strumenti di intervento quotidiano dovrebbe farci ritenere almeno che la democrazia si è fatta “continua”. Ma forse, se vogliamo indagare il nuovo rapporto tra Parlamento e governo, con il progressivo trasferimento a quest’ultimo di quote crescenti di potere di decisione, questa nuova realtà si coglie meglio parlando, come fa Pierre Rosanvallon, di una “democrazia di appropriazione”, nella quale il mantenimento degli equilibri costituzionali è affidato alla costruzione di istituzioni in cui sia strutturato un ruolo attivo dei cittadini, passaggio necessario per recuperare una “democrazia della fiducia”.

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Rodotà: ‘Pericolo sventato’

giornale espressoRodotà: ‘Pericolo sventato’ Intervista di Luca Sappino a Stefano Rodotà (L’Espresso, 14 agosto 2013)

«Napolitano è stato chiarissimo: Berlusconi deve riconoscere la sentenza, la legge Severino gli va applicata, l’interdizione dai pubblici uffici anche. Ora è il PD che deve trarne le conseguenze in Parlamento».
«Napolitano ha fatto bene a fare la nota, chiarendo l’equivoco in cui l’aveva trascinato il PdL».
E’ sicuro Stefano Rodotà, che spegne le speranze dei falchi: «le sue parole non sono uno spiraglio verso la grazia. Quelle dette da Napolitano sono anzi ovvietà, semplici procedure». Sul piano giudiziario, poi, secondo il professore, non cambiarebbe nulla: grazia o non grazia, «Berlusconi dovrà comunque fare i conti con la legge Severino e con la pena accessoria», l’interdizione dai pubblici uffici. E sulle ripercussioni politiche, però, Rodotà, incita soprattutto il PD: «non si faccia scudo di Napolitano che difende il governo. Valuti se le pretese del PdL non sono eccessive».
Anche perché, senza andare al voto e scontentare Napolitano, volendo, «maggioranze alternative, si possono creare», con il M5S, ovviamente, «e non solo per la legge elettorale». E lui? Se tutto precipita che fa? Si candida, magari con Landini? «Non anticipiamo i tempi, abbiamo cominciato un lavoro ma dobbiamo lavorare ancora un po’ in autunno». Non sembra proprio un no.
Professore, è una gara ad interpretare il testo di Napolitano. Lo spiraglio per la grazia c’è o no?
«La mia opinione è molto netta. Napolitano non poteva non fare riferimento al tema della grazia, ma lo ha fatto dicendo quella che potremmo definire un’ovvietà: ricordando cioè le norme di legge, la giurisprudenza e la consuetudine. Se quelli del Pdl vogliono leggerci uno spiraglio lo facciano pure, ma certamente non è alle loro codizioni. Infatti, Napolitano è stato chiarissimo e il messaggio l’ha mandato, escludendo a priori l’opzione del motu proprio, auspicata invece dal Pdl, cosicché Berlusconi potesse non passare per il riconoscimento della sentenza».

Insomma, le sentenze si rispettano. E lo spiraglio non è politico ma procedurale.
«Esattamene. Se Berlusconi presenta la richiesta, Napolitano non può ignorarla. Escludendo però di muoversi spontaneamente, ha posto delle condizioni importanti».

Gli ha detto, basta insulti e basta delegittimare la sentenza.
«Dice anche qualcosa di piu: gli attacchi alla magistratura non sono legittimi. La libertà d’opinione non deve e non può superare la divisione dei poteri, impedendo il controllo della legalità che spetta alla magistratura. Nella nota di Napolitano c’è una presa di distanza nettisima».

Poi, comunque, grazia o no, per Berlusconi non cambia molto. La pena accessoria e la legge Severino resterebbero comunque.
«Assolutamente. Tutto ciò che riguarda le pene accessorie, dice chiaramente Napolitano, è fuori da quadro. E ancora, siccome le parole di Napolitano non sono mai poco ponderate, anche rispetto al precedente comunicato, quello con il riferimento alla riforma della giustizia, c’è una distanza: quella che viene considerata dal Pdl la priorita assoulta, viene così fortemente ridimensionata. E la mia è una lettura benevola ma per nulla compiacente»

Sbaglia chi, in caso di grazia, evoca l’impeachment?
«Mi pare che, se ci fosse stato domani un provvedmento di grazia, che prescinde dal cammino invece indicato, si porrebbe certo un problema, ma non direi addirittura di impeachment. L’eventualità, che andrebbe verso le richieste del PdL, mi pare comunque si stata saggiamente allontanata».

Napolitano, tirato per la giacca dai falchi del PdL, è vittima del suo protagonismo politico?
«Non direi del protagonismo politico. Semmai, tutto ciò, è la conseguenza del fatto che Napolitano, per debolezza della politica, è diventato garante della situazione che si è determinata. C’è una premessa, però, a questo suo ruolo: tre segretari di tre partiti che un venerdi sera sono andati al Quirinale e hanno detto “siamo incapaci di risolvere un prolema”, un problema che era loro. Ora questi pensano che tuttti i problemi debbano essere sciolti da Napoltiano, anche quelli che invece sono solo di Berlusconi. Chi dice però che Napolitano avrebbe dovuto tacere, sbaglia: avrebbe alimentato un equivoco generato proprio dal PdL».

Cosa deve fare ora il PD?
«Il PD dovrebbe in primo luogo seguire la via costituzionale, e quindi proseguire con l’iter parlamentare, la decadenza e l’incandidabilità, secondo un’interpretazione non severa ma corretta di norme che sono chiarissime».

E con il governo?
«Per quanto riguarda la politica, per loro credo varrà quanto detto da Napolitano, la necessità di tenere in piedi questo governo. Io però penso che il PD non possa farsi scudo di Napolitano, e debba invece chiedersi se le pretese del PdL non siano eccessive. E in caso queste risultino insopportabili, come dovrebbe, io aggiungo che il PD, senza indisporre Napolitano e sciogliere le camere, dovrebbe esplorare maggioranze alternative, per la legge elettorale ma non solo».

Lei le reputa possibili?
«Le maggioranze di governo non sono un elemento statico. Spesso si creano se si compiono le azioni politiche atte a creare le condizioni».

Insomma, sì.
«Credo che le maggioranze politiche non si desumano dai numeri e dalle dichiarazioni ma si creino ricercandole. Il punto però, ora, è se il Pd può stare o meno a rimorchio del Pdl».

E se poi invece tutto precipitasse e si andasse rapidamente al voto? Lei che fa, si candida?
«Non anticipiamo i tempi. Abbiamo cominciato un lavoro, ma dobbiamo lavorare ancora un po’ in autunno».

Acqua bene comune: occorre far rispettare l’esito del referendum

di Stefano Rodotà, da La Repubblica del 08/07/2013.
«Sapevamo che ci sarebbe stata una forte resistenza nel rendere fattuale l’esito del referendum», spiega Stefano Rodotà, che fu tra gli estensori dei quesiti sull’acqua.
acqua-5Quindi l’esito di quella consultazione è stato tradito?
«È evidente come si sia cercato di sabotare quel voto. Ma quei tentativi sono stati bloccati da sentenze importanti. In più la linea della ripubblicizzazione sta andando avanti anche in città dove non ci sono giunte della sinistra radicale, come a Torino con Fassino. Questo è un buon segnale che mi fa essere positivo».
E sul fronte delle tariffe?
«Ci sono 35 ricorsi aperti presentati dai comitati. Si sta cercando di far passare il referendum come un “consiglio”, ma è stato una piena espressione della volontà popolare».
Prima Berlusconi, poi Monti, hanno provato a depotenziare il voto di due anni fa. Il governo Letta come le sembra?
«È presto per dirlo. Sappiamo che le pressioni delle multinazionali sono forti, il Pdl vuole un piano di privatizzazioni e anche le direttive economiche di Ue e Fmi sembrano chiedere la stessa cosa. Eppure l’iniziativa dei cittadini europei per l’acqua come diritto umano in pochi mesi ha superato il milione e mezzo di firme ed è riuscita a fare breccia. Il Commissario al Mercato Interno, Michel Barnier, ha preso atto della grande mobilitazione sul tema dichiarando che il servizio idrico verrà stralciato dalla direttiva concessioni, un provvedimento che rischia di accelerare ulteriormente le privatizzazioni dei servizi pubblici. E su questo aggiungo: non dimentichiamo che dietro al pubblico ci sono i diritti fondamentali delle persone».
La creazione del gruppo interparlamentare sull’acqua sortirà qualche effetto?
«Credo sia stata un’ottima cosa. Non sono mai stato per la contrapposizione tra movimenti e istituzioni. Finora il centrosinistra aveva un po’ trascurato i comitati, quando invece l’intelligenza politica avrebbe voluto che si facesse il contrario. Ma meglio tardi che mai».
In 27 milioni votano per una cosa, poi chi governa prova a farne un’altra. Sembra che recarsi alle urne serva a poco…
«È un grande rischio che la politica “ufficiale” si assume. Quando quella che chiamo “altra politica” si manifesta come nel voto referendario e poi non viene ascoltata, ecco che prende piede l’antipolitica di chi dice “non cambia nulla, è tutto inutile”. Per questo mi appello a chi di dovere: il referendum va rispettato nelle forme e nella sostanza».

Perché va strappato il bavaglio alla libertà

di Stefano Rodotà • La Repubblica   29/09/2011.
Si dice che i colpi di coda dell´animale ferito siano i più pericolosi. È quello che sta accadendo. Un simulacro di governo e una maggioranza a pezzi vogliono impadronirsi della vita e della libertà delle persone, con un attacco senza precedenti contro i diritti fondamentali. Si dice che i colpi di coda dell´animale ferito siano i più pericolosi. È quello che sta accadendo.
Dopo che l´articolo 8 del decreto sulla manovra economica ha cancellato aspetti essenziali del diritto del lavoro, ora si proclama la volontà di far approvare, con procedure accelerate e voti di fiducia, leggi che mettono il bavaglio all´informazione e negano il diritto di morire con dignità. Sarebbero così cancellati altri diritti. Quello di ogni cittadino ad essere informato, continuando così a vivere in una società democratica invece d´essere traghettato verso un mondo di miserabili arcana imperii. Quello all´autodeterminazione, dunque alla stessa libertà del vivere, che scompare nel testo sul testamento biologico. Tutte mosse in contrasto con la Costituzione. Bisogna essere consapevoli, allora, che non si tratta soltanto di opporsi a singole leggi, ma di impedire una inammissibile revisione costituzionale.
Bloccata nella primavera scorsa da una vera rivolta popolare, che aveva svegliato dal torpore i gruppi d´opposizione, torna ora, minacciosa e incombente, la legge bavaglio. Sappiamo quale sia il suo obiettivo. Impedire le intercettazioni, impedire la conoscenza dei loro contenuti. Conosciamo le sue giustificazioni. Tutelare la privacy dei cittadini, evitare uno Stato di polizia. Mai giustificazione fu più bugiarda. Se davvero le notizie riguardanti il Presidente del consiglio e la sua corte dei miracoli fossero state solo affare privato, irrilevanti per la vita pubblica e le responsabilità che essa impone, il Presidente della Cei non le avrebbe messe al centro di un vero atto d´accusa, d´una richiesta perentoria di rigenerazione della politica. Non che ci fosse bisogno di questo sigillo ecclesiale. Ma esso vale come conferma di una opinione comune.
Ricordiamo le regole di base. Nell´articolo 6 del Codice di deontologia dell´attività giornalistica (non una raccomandazione, ma una norma giuridica) si dice che “la sfera privata delle persone note o che esercitano funzioni pubbliche deve essere rispettata se le notizie o i dati non hanno alcun rilievo sul loro ruolo o sulla loro vita pubblica”. Ho sottolineato le parole “alcun rilievo”. Chi può in buona fede sostenere che il torbido intreccio tra inclinazioni personali e bisogno di soddisfarle a qualsiasi costo, che ha avvolto il Presidente del consiglio in una rete di relazioni pericolose e sulla soglia dell´illegalità, sia del tutto irrilevante per il giudizio su di lui e sul suo modo di governare? Può farlo una maggioranza che si è piegata all´imposizione e che, votando a favore di un testo che accreditava la convinzione di una Ruby nipote di Mubarak, ha scritto la pagina parlamentare più vergognosa della storia repubblicana. Ma non può farlo un sistema dell´informazione consapevole della dignità della sua funzione. Di fronte ad una norma come quella ricordata, vi è un dovere di rendere note le notizie, perché esse diventano essenziali per un corretto rapporto tra comportamento delle persone pubbliche e valutazioni dei cittadini.
Cade così la tesi della violazione della sfera privata, perché le figure pubbliche hanno una ridotta aspettativa di privacy. Non è una tesi inventata per aggredire Berlusconi, come ha insinuato qualche appartenente alla lunga schiera degli ignoranti pubblici. E´ una linea che risale ad una decisione della Corte suprema americana del 1964 e che ha trovato conferme dalla Corte europea dei diritti dell´uomo, in particolare in un caso di pubblicazione di notizie riguardanti la presidenza Mitterrand, dove è stata addirittura ritenuta legittima la violazione del segreto istruttorio, perché la pubblicazione della notizia corrispondeva alla esigenza del pubblico di essere informato. La ragione è evidente e la Corte lo ha ripetuto molte volte: “la libertà d´informazione ha importanza fondamentale in una società democratica”.
Questa è la premessa ineludibile quando si vuole affrontare la disciplina delle intercettazioni, Che cosa, invece, si cercò di fare in primavera e si cerca di rifare oggi? Non impedire la pubblicazione di informazioni prive di rilievo, ma creare una situazione di totale opacità a protezione di figure pubbliche che vogliono sottrarsi al legittimo controllo dell´opinione pubblica. E si vuole raggiungere questo fine con una duplice strategia: limitare il potere della magistratura di disporre intercettazioni, per impedire indagini su reati sgraditi e restringere così il flusso delle informazioni a disposizione dei cittadini; e impedire la pubblicazione delle intercettazioni legittime. Un doppio bavaglio, dunque, tanto meno giustificato, quanto più la discussione pubblica indicava una soluzione che offriva garanzie. Una udienza-filtro, nella quale eliminare le informazioni irrilevanti e mantenere segrete quelle di rilevanza ancora dubbia, sì che diventano legittimamente pubblicabili solo le parti delle intercettazioni significative per le indagini e il giudizio.
Nel testo approvato dalla Commissione Giustizia della Camera era stata aperta una breccia in questa direzione, pur in un testo complessivamente inaccettabile per moltissimi motivi, uno dei quali riguarda una disciplina dei blog che, a parte la sostanziale ignoranza di questo mondo, introduce una inammissibile forma di censura. Ma le mosse annunciate dal Governo vanno oltre quel testo, usando pretestuosamente un vecchio e pessimo disegno di legge Mastella, travolto dalla critica dei mesi scorsi, per bloccare la pubblicazione fino alla conclusione delle indagini preliminari o dell´udienza preliminare (fino alla sentenza d´appello, per gli atti nel fascicolo del pubblico ministero). Almeno due anni di silenzio. Non avremmo saputo nulla della vicenda che portò alle dimissioni del Governatore della Banca d´Italia, nulla delle mille corruzioni che infestano l´Italia. Un black-out della democrazia, che creerebbe all´interno della società un grumo che la corromperebbe ancor più nel profondo. Le notizie impubblicabili non sarebbero custodite in forzieri inaccessibili. Sarebbero nelle mani di molti, di tutte le parti, dei loro avvocati e consulenti che ricevono le trascrizioni delle intercettazioni, gli atti d´indagine, gli avvisi di garanzia, i provvedimenti di custodia cautelare. Questo materiale scottante alimenterebbe i sentito dire, le allusioni, la semina del sospetto. Renderebbe possibili pressioni sotterranee, ricatti. Creerebbe un “turismo delle notizie”, la pubblicazione su qualche giornali o siti stranieri di informazioni “proibite” che poi rimbalzerebbero in Italia.
Ancor più inquietante è il testo sul testamento biologico, violentemente ideologico, che cancella il diritto fondamentale all´autodeterminazione. Il legislatore si fa scienziato, in contrasto con sentenze della Corte costituzionale, escludendo dai trattamenti terapeutici alimentazione e idratazione forzata. Azzerando il consenso informato, riconsegna il corpo delle persone al potere politico e al potere medico, lo riduce ad oggetto, ripercorrendo la strada che ha portato alle grandi tragedie del Novecento.
Torna così la questione sollevata all´inizio. Come reagire? Grandissima è la responsabilità del Parlamento, all´interno del quale le forze d´opposizione devono adottare strategie eccezionali, perché eccezionale è la minaccia. Guai alla tentazione di misurare le iniziative sulle convenienze interne ai partiti. Per questo serve anche l´attenzione sociale, frettolosamente archiviata dopo le amministrative e i referendum, verso i movimenti che nei mesi passati si sono identificati con la Costituzione e che nulla perdoneranno ad attori politici che trascurassero questa enorme risorsa. Per questo il ruolo del sistema dell´informazione è cruciale, come lo è stato in primavera.