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Nell’ascoltare la sua storia, la sensazione è di avere a che fare con uno dei personaggi narrati nei libri dello scrittore cinese Mo Yan, premio Nobel per la letteratura nel 2012. Quegli eroi di una volta che riescono a uscire da ogni situazione, anche la più difficile. E gli ingredienti di un racconto accattivante ci sono tutti: ingegno, avventura, passione, invenzioni, genialità. Sullo sfondo lui, un #Osimano come tanti, ricco della sua bella storia, figlio della nostra città nella quale vive con la leggerezza del geniale risolutore, l’eccesso di un’anima anarchica e la concretezza tipica dell’indole osimana. Anche il nome è da personaggio, un po’ da “cinema neorealista italiano” alla Pietro Germi, per intenderci: Filiberto Diamanti.
“Vengo al mondo nel gennaio del 1955, di sabato” – così Filiberto, con la sua caratteristica autoironia, inizia a raccontarmi la sua storia con aneddoti, esclamazioni osimane, vita privata e professionale che si intrecciano – “Forse dovevo nascere nel 1954, ma allora il parto cesareo si faceva solo in casi rarissimi: solo se il nascituro o la gestante rischiavano di morire. Per questo, forse, quando sono nato ero già vecchio. Mamma si chiama Maria, mia nonna Geltrude e si racconta che quando mi ha visto nascere ha esclamato sconsolata a mamma “Maria, Madonna quanto è brutto stu bardascio, è tutto naso e recchie“. Poi con il tempo un po’ mi ripresi, ero diventato quasi bellino anche a detta del fotografo Arduino, (perchè una volta si usava far fare ai figlioli le foto a Piazzanuova, sotto il monumento dei caduti). Il giudizio espresso dal fotografo Arduino – che di figlioli ne aveva immortalati tanti, e quindi se ne intendeva – tranquillizzò, non poco, i miei genitori.
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Filiberto è nato in via Cesare Battisti al numero 1, vicino le scalette del Foro Boario. La madre Maria Mengoni ha sempre lavorato nelle fisarmoniche a Castelfidardo, mentre il padre Leonello oltre ad essere stato anche lui in fabbrica nel settore delle fisarmoniche, addetto alla parte meccanica per conto della ditta Busilacchi ( ditta osimana che costruiva fisarmoniche negli anni ’50) ha spaziano in altri settori: muratore, carpentiere, salariato alla Fornace Fagioli, ecc. Una famiglia di lavoratori che non viveva nel lusso ma di essenzialità. Qualità e valori che Filiberto si è sempre portato dietro.
Racconta Filiberto: “I miei genitori – per necessità – sempre impegnati al lavoro mi lasciavano sovente solo e gran parte della mia formazione e crescita sono stati gli amici e alcuni spazi pubblici, caratteristici della nostra Osimo: i giardini di Foro Boario ( oggi Piazza Giovanni XXIII) e via Cappuccini.”
Nel parlarmi degli amici, a Filiberto gli si illuminano gli occhi. Tanti, un lungo ed interminabile elenco di nomi con i quali ha condiviso giochi, confidenze, momenti goliardici, spensieratezza, ragazzate, ma anche il dolore per tragici eventi: Tonino Borsini, Marco Mazzieri, Adriano, Mario Belelli, lo sfortunato Andrea Marchetti detto “Ciaccioni”, Mauro Mezzelani, Alfredo Graciotti, Sandro Bambozzi, Claudio Tabuzzi, Moreno Frontalini, il povero Luigi Marziani, Rodolfo Mazzoni.
Riflettendo oggi su quel periodo e sui suoi amici, Filiberto mi confida che con la maggior parte di loro, aveva in comune la grande voglia di stare insieme ( semplicemente per chiacchierare), l’esagerazione nei sentimenti e nelle azioni, la “fame di vita”, una curiosità mai doma. Oggi si direbbe, che quei ragazzi erano un gruppo che viveva volutamente ai margini. Ai margini della parrocchia e dell’oratorio di San Marco malgrado l’impegno e i tentativi di approccio di don Guerriero e di don Luigi Lucianetti. Lontani dall’impegno scolastico che veniva visto come una “perdita di tempo” ed un’ imposizione più che un’opportunità di crescita e formazione.
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Sicuramente, racconta Filiberto, il metodo “forte” del maestro Guido Ruzzini non ha aiutato, ma anche quando il maestro è cambiato e la guida è passata al maestro Carlo Gobbi, le sue nuove metodologie pedagogiche – i suoi disperati tentativi di coinvolgimento – si sono infranti con il mio e nostro disinteresse per tutto ciò che erano libri e penne, presi come eravamo per i giochi all’aperto, per le battaglie tra bande, per le avventure e le imprese pomeridiane, per tutto il mondo che c’era e si muoveva con vivacità fuori dalle “spente” mura scolastiche.
E così che – con il dispiacere di Maria, di Leonello (e della zia Viola che con i genitori si era assunta il compito di educare il piccolo Filiberto) le cui fatiche del duro lavoro quotidiane erano mitigate dalla motivazione e dalla speranza di poter offrire un avvenire migliore al loro unico figlio -, a 14 anni Filiberto abbandona definitivamente la scuola e inizia il suo percorso professionale come apprendista in una officina meccanica di stampi e tranciature per lamiere.
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Nel lavoro, anzi per meglio dire, nei tanti lavori svolti, perchè Filiberto pur figlio di una stagione, quella degli anni ’60 caratterizzata dal “posto fisso” e dal “posto di lavoro che rimaneva quello per tutta la vita” è stato – anticipando i tempi e come lo sono i giovani di oggi – un lavoratore orientato alla flessibilità.
Trovato un lavoro ed acquisitene tutte le competenze, senza alcun problema ha cambiato posto e spesso anche tipologia di lavoro, affrontando le nuove esperienze con entusiasmo e con spirito sempre giovanile, di chi vuole mettersi di fronte a nuove sfide e conoscere nuove tecnologie e nuovi mestieri.
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Con questo atteggiamento “eclettico” nell’ affrontare la vita, sempre pronto con il suo bagaglio ricco di esperienze e competenze Filiberto ha lavorato, poi, in diverse ditte artigianali: ad Osimo presso la carrozzeria di Leonardo Rossi in via Pompeiana, a Camerano presso la ditta Mobil Fer dei f.lli Bontempi, poi a Castelfidardo presso Cintioli Italo e la ditta O.T.S., in queste ultime come operaio meccanico imparando ad utilizzare le presse e la tranciatura di lamiere per la realizzazione di stampi. A 19 anni è carpentiere presso la ditta “Bugatti e Pizzichini” impegnato a calandrare e saldare putrelle in ferro che servivano per realizzare le strutture delle gallerie autostradali. A 20 anni altro lavoro pesante e di precisione, presso la ditta “OSET di Pieralisi Piero” a Castelfidardo, nuovo lavoro e un nuovo mestiere ad arricchire il bagaglio personale delle tante abilità già acquisite.
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A 21 anni per Filiberto “passa il treno della vita” l’opportunità a cui tutti gli osimani negli anni ’70 aspiravano: viene assunto “fisso” alla Lenco. Occasione che Filiberto non aveva cercato ma che gli è stata proposta dal capo officina Enzo Casavecchia che a quel tempo era alla disperata ricerca di operai specializzati, capaci di lavorare il ferro per la parte meccanica dei mangianastri e dei piatti per giradischi. Cinque anni alla Lenco, cartellino per firmare n° 780, questo per dire l’importanza che rivestiva per l’economia osimana la Lenco, praticamente quasi un osimano per famiglia lavorava nella fabbrica di via Guazzatore.
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Con l’arrivo della concorrenza asiatica finisce il “sogno industriale” osimano della Lenco. La storia è ben nota ed è stata contrassegnata da un lungo e irrefrenabile declino aziendale della fabbrica che ha visto, per i tanti dipendenti , prima la cassa integrazione straordinaria e poi il licenziamento definitivo di tutte le maestranze occupate.
Filiberto anche in questo caso, in controtendenza rispetto ai più, non ci sta a fare il “cassaintegrato” ( che voleva dire stare a casa per diversi anni, senza fare nulla, con la garanzia di circa l’ 80% dello stipendio). Viste le prime avvisaglie di crisi, – anche stanco della vita di fabbrica, delle presse, del loro rumore assordante, quei 120 “insopportabili” colpi al minuto e inorridito dai tanti incidenti di lavoro ai quali aveva assistito con svariati colleghi rimasti con le dita sotto la pressa, invalidi per tutta la vita – si licenzia.
Con i soldi della liquidazione, del ricavato della vendita della, ancor nuova “Alfa sud” e con l’aggiunta della firma di “un mare” ( come citato da Filiberto) di cambiali, si compra un camion usato e inizia una nuova attività, da tempo cullata nel cassetto dei sogni: diventa camionista.
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Un lavoro rivelatosi faticosissimo ma svolto sulle ali dell’entusiasmo. Consegne (prioritariamente di mobili) in tutta Italia da Bolzano alla Sicilia, con un mezzo vecchio, senza servo sterzo che perdeva acqua e che ogni 300 chilometri richiedeva di essere rimboccata. Inoltre a quel tempo non esistevano i “navigatori”, smartphone e computer. La guida della strada, per trovare i luoghi e le vie di consegna, era l’atlante stradale. Tante le difficoltà affrontate: ghiaccio, neve, caldo, nebbia, traffico, strade tortuose, carichi e scarichi, ecc. Un’attività che malgrado il faticoso impegno e il notevole sforzo fisico, Filiberto ha portato avanti con grande passione e soddisfazione dei suoi clienti ( i più importanti mobilieri della nostra zona) per quasi 31 anni, fino al 2012, fino alla meritata pensione.
Anni passati sulla strada, spesso partendo da Osimo il lunedì e rincasando solo il fine settimana. Anni nei quali Filiberto ha perso il contatto con i suoi “vecchi” amici osimani, ma diventando amico di migliaia di colleghi incontrati sulle strade, nei magazzini, nei ristori e con i quali è scattato un bel rapporto di solidarietà e di generosità. Sentimento quest’ultimo che è innato in Filiberto e che non si estingue facilmente, soprattutto per chi lo pratica.
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Anni passati sulla strada da solo: lui e il suo camion di consegne. Racconta Filiberto: ” sulla strada impari a riflettere, a mantenere la calma, il controllo di qualsiasi situazione che ti può capitare. A volte la sera partivi con la nebbia che ti accompagnava fino a Melegnano Milano. Dormivi tre ore, dentro la cabina del camion, e l’indomani mattina iniziavi a scaricare , entravi dentro Milano con un camion lungo 12 metri, eri in doppia fila e spesso capitava di fare questione con l’impazienza e l’intolleranza degli automobilisti che volevano passare o dei vigili che non ti facevano sostare. La gente spesso non si rende conto della fatica del lavoro di un camionista, che non eri lì per divertimento, ma per rifornire i negozi dove facevano spesa.”
In questi anni di camionista Filiberto è incappato anche in alcuni gravi incidenti stradali, il più grave nel 1984 camion distrutto, ma la forza d’animo di questo osimano “eclettico” l’ha sempre fatto ripartire, anche dopo le cadute più rovinose.
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Da una persona metalmeccanico a 14 anni, ex carpentiere di fatica, addetto alle presse dal rumore insopportabile e da ultimo da ex camionista alla guida di un bestione della strada per oltre 31 anni non puoi che aspettarti una persona con un carattere duro, determinato, un caratteraccio, “costruito” negli anni, durante quelle giornate infinite passate sulla strada, in mezzo a mille e più imprevisti.
Filiberto Diamanti, invece, non è nulla di tutto questo, è una bravissima persona. Un marito sempre vicino alla sua amata Pamela che gli è stata sempre accanto, anche nelle sue scelte più difficili, e con la quale condivide, oggi, le passioni della bicicletta, della moto e della canoa che da pensionati hanno rispolverato. Filiberto è anche un affettuosissimo padre e un tenerissimo nonno e il premuroso figlio della signora Maria, oggi 93enne.
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Fili ( come lo chiamano i suoi amici) è una persona squisita, un bravo osimano che ho voluto conoscere incuriosita dalle creazioni che spesso mette in bella mostra davanti lo stop, tra l’incrocio di via Olimpia e piazzale Giovanni XXIII.
Perchè, poi, entrando nel suo laboratorio, vicino la scuola materna del “Foro Boario”, scopri un’altra anima di Filiberto: quella dell’artista e del genio. Come Archimede Pitagorico di Walt Disney, Filiberto nella sua tana, crea giochi per la nipote o composizioni artistiche legate a qualche evento. A volte sente accendersi la lampadina in testa e trova la soluzione migliore con la quale risolvere un problema, anche quelli di piccolo conto ma che aiutano la qualità della vita. In quei momenti immagino Filiberto gridare “Eureka”, e lo senti lavorare di impegno – sempre allegro e divertito – con le sue pialle e saldatrice.
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Filiberto è rimasto meravigliato del mio interessamento alla sua storia ritenendola, senza alcun rimpianto, una storia “normale”, di poco conto, come ce ne sono tante in Osimo. Io, invece, ritengo che quella di Filiberto così come le storie delle persone comuni, della nostra piccola comunità, hanno una forza straordinaria.
Sono storie che soddisfano la nostra curiosità, con le quali possiamo confrontarci e trarne ispirazione. Questo non significa che se ne approvano sempre le idee e i valori ( ad esempio come posso da insegnante apprezzare, della testimonianza di Filiberto, il marinare la scuola o il fatto di considerarla di poco conto per la formazione personale ?) ma ai miei occhi ( e credo lo sarà anche agli occhi dei lettori della storia) Filiberto “l’ eclettico”, rimane una persona vera e credibile e la sua storia personale va ad arricchire quella collettiva della nostra piccola comunità osimana.
Grazie Fili.
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La Presidente del Consiglio Comunale
*****prof.ssa Paola Andreoni
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