La bandiera nera di un governo in agonia

di Eugenio Scalfari • 31-Lug-2011 Il Paese deve affrontare un mare sempre più tempestoso con al governo un gruppo di naufraghi su una zattera senza timone né timoniere.
Bisogna evitare che le banche italiane, solide e liquide, siano considerate una propaggine del nostro debito pubblico. Bisogna evitare che il nostro Paese conquisti sui mercati agli occhi degli investitori e delle forti mani della speculazione la palma della fragilità a causa di un quadro politico logorato dal suo maxi-debito pubblico e da una malattia ormai strutturale qual è quella della debole crescita.
 Queste parole i nostri lettori le conoscono ormai a memoria per averle lette infinite volte su queste pagine, ma quella qui sopra riportata è una citazione: le ha scritte ieri il direttore del Sole 24 Ore, Roberto Napoletano, nell’articolo di fondo del suo giornale. È il giornale della Confindustria e Napoletano non è certo un giornalista di sinistra e tuttavia sono nette e impietose e altrettanto impietoso è il seguito dell’articolo. A nostro avviso sono l’esatta rappresentazione dello stato d’animo dei cosiddetti ceti moderati che ormai non esprimono più soltanto disagio ma una vera e propria disperazione.
Un’altra prova di quella disperazione ce la fornisce Sergio Romano in un articolo sul Corriere della Sera con il quale risponde alla lettera che Giulio Tremonti gli aveva indirizzato per giustificarsi sulla questione dell’appartamento a lui affittato dal suo amico e collaboratore Marco Milanese. Romano non è certo un bolscevico, ma l’asprezza del tono e il merito dei suoi giudizi nei confronti del ministro dell’Economia sono tali che Berlusconi l’avrebbe sicuramente ascritto alla genia del Comintern se non fosse che il Cavaliere è animato da un vero e proprio odio verso il suo ministro che vorrebbe veder morto ma del quale non può disfarsi senza mettere a repentaglio il suo governo sempre più traballante.
Questo complicatissimo rapporto, politico e psicologico, tra il presidente del Consiglio e il suo superministro dell’Economia è un altro dei tanti nodi che costringono il nostro Paese ad una assoluta immobilità salvo i pochi provvedimenti che servono a mettere al riparo Berlusconi dalle sentenze della magistratura. Se cade Berlusconi cadrebbe anche Tremonti che dopo lo scandalo Milanese (che tende ad allargarsi giorno dopo giorno) non ha più alcuna “chance” di potergli succedere a Palazzo Chigi. Ma se cade Tremonti comincerebbe a sussultare l’intero edificio governativo. Perciò “simul stabunt, simul cadent” con gli effetti che questa convivenza forzosa proietta sul governo: un gruppo di naufraghi su una zattera senza timone né timoniere.
Il Paese deve affrontare un mare sempre più tempestoso in queste condizioni, dove ad una situazione economica obiettivamente difficilissima si affianca una crisi di credibilità che coinvolge con la stessa intensità il “premier” e il superministro, avvinghiati l’uno all’altro dall’odio e dall’istinto di sopravvivenza.
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Ma perché le banche italiane, solide e solvibili come abbiamo più volte scritto, sono ritenute “propaggini del debito pubblico” e ne sopportano ogni giorno le conseguenze sui mercati finanziari? Al punto di registrare una capitalizzazione di Borsa che in situazioni normali stimolerebbe numerosi tentativi di Opa nei loro confronti?
Secondo stime ufficiali la percentuale dei titoli di Stato nel loro portafoglio e in quello di privati cittadini e imprese italiane affidabili raggiunge il 56 per cento mentre la percentuale dei titoli del nostro debito in mani straniere non supera il 44, un rapporto che dovrebbe evitare la qualifica di “propaggini”.
Purtroppo però le cose non stanno propriamente così. Da un rapporto analitico della Morgan Stanley i titoli italiani in mano a istituzioni, banche e investitori stranieri ammontano a 790 miliardi contro 787 in mano a banche, imprese e investitori italiani. Il rapporto sarebbe dunque del 50 per cento. Ma, osserva la Morgan Stanley, se si aggiungono ai detentori stranieri anche i titoli intestati a italiani ma gestiti dall’estero, la quota “straniera” sale al 56 per cento del totale. Questa proporzione è del tutto anomala ed accresce il rischio che i fondi monetari e le banche d’affari internazionali vendano titoli italiani per alleggerire i portafogli e sostituirli con “asset” più affidabili. Sorge la domanda del perché l’affidabilità dei titoli italiani sia diminuita. Molto dipende dal nostro “spread” con il Bund tedesco che viaggia ormai dai primi di luglio intorno ai 300 punti-base e nelle ultime settimane si colloca al di sopra dei 330.
In più la situazione politica italiana è giudicata universalmente volatile, la credibilità del governo è minima, il tasso di interesse delle nostre emissioni è salito al 6 per cento e tale sarà in autunno quando il Tesoro dovrà emettere una massa notevole di titoli. In queste condizioni l’onere del debito pubblico a carico del Tesoro si è già mangiato un terzo della manovra appena votata dal Parlamento. La crescita è zero. Le previsioni della Confindustria parlano addirittura di un Pil negativo nel 2012.
Speriamo forse che i mercati dormano sonni tranquilli fino alla fine dell’anno?
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È evidente che queste analisi tecniche e politiche che servono a spiegare le reazioni negativi dei mercati finanziari si intrecciano con la questione morale. Il declino della moralità pubblica è ormai un dato oggettivo, testimoniato dalle iniziative della magistratura inquirente e da quella giudicante. Coinvolgono il presidente del Consiglio, il ministro Romano, il deputato Papa, il deputato Milanese, il giudice Capaldo, l’ex capo di Stato Maggiore della Guardia di Finanza, Adinolfi. Lambiscono Giulio Tremonti. Investono anche l’ex capo della segreteria di Bersani, Filippo Penati. Le reazioni di Bersani e del Pd sono state molto ferme. Manca la sospensione di Penati dal partito. Abbiamo già scritto che a noi sembra necessaria e urgente. Ma sull’altro lato dello schieramento i comportamenti sono ben diversi e le iniziative legislative sono vergognose, tanto più perché rappresentano il solo soprassalto di vitalità di un governo morente. Processo lungo e prescrizione breve: questi sono gli scatti del governo. Sembrano gli ultimi segnali, più automatici che vitali, d’un corpo che si disfà. Il Presidente Napolitano è ben consapevole di quanto sta accadendo. Ha incontrato tutte le parti sociali firmatarie del documento che invoca “discontinuità”. Ha incontrato i partiti di maggioranza e quelli di opposizione. Aspetta che anche Bossi si metta a rapporto. Ma il clima è estremamente pesante.
Enrico Berlinguer, nel luglio del 1981, descrisse la questione morale che stava erodendo lo Stato. Abbiamo rievocato giovedì scorso la sua intervista a “Repubblica” e il significato che ebbe allora la sua denuncia. Oggi tuttavia la condizione della moralità pubblica è molto più grave. Il malaffare di allora serviva a pilotare consensi ai partiti; quello di oggi serve invece a procurare benefici personali a chi inalbera la bandiera del Re. Ricordiamo ancora le parole della Minetti quando aspettava una candidatura al Parlamento che fu poi trasformata nella sua partecipazione al consiglio della Regione lombarda: “Potrei rendere gli stessi servizi a Lui e pagherebbe lo Stato”.
Hanno privatizzato i benefici pubblicizzando la corruzione: questi sono i frutti avvelenati del berlusconismo. Nel contratto con gli italiani stipulato a “Porta a Porta” nel 2001 non erano previsti ma aveva già avvelenato le radici del partito azienda dalle quali è nata la Seconda Repubblica.
L’intreccio è dunque perverso: questione morale, questione politica, errori e manchevolezze d’una manovra finanziaria che ha il solo effetto di comprimere il potere d’acquisto del ceto medio-basso, penalizzando consumi e investimenti. In realtà l’anomala accoppiata Berlusconi-Tremonti dovrebbe andarsene a casa lasciando al Capo dello Stato il peso delle necessarie decisioni. Ogni indugio aumenta il costo che peserà sulle spalle degli italiani.

La battaglia della terra, Un interessante articolo sulla questione FOTOVOLTAICO sui terreni agricoli e Impianti Biogas piaga osimana e non solo

di Carlo Petrini • 29-Lug 2011 Il boom delle energie rinnovabili spinge molti agricoltori a cambiare mestiere. E i campi diventano centrali per fotovoltaico e biogas. Agricoltura industriale. Riflettiamo sull´ossimoro. In suo nome, l´uomo ha pensato di poter produrre il cibo senza contadini, finendo con l´estrometterli dalle campagne. Oggi siamo addirittura arrivati all´idea che possano esserci campi coltivati senza produrre alimenti: agricoltura senza cibo. Agricoltura che, se si basa soltanto sul profitto e sulle speculazioni, riesce a rendere cattivo tutto ciò che può essere buono: il cibo, i terreni fertili (che sono sempre meno), ma anche l´energia pulita e rinnovabile. Come il fotovoltaico, come il biogas.
S´è già parlato di come l´energia fotovoltaica possa diventare una macchina mangia-terreni e mangia-cibo. Se i pannelli fotovoltaici sono posati direttamente a terra e per grandi estensioni essi tolgono spazi alla produzione alimentare e desertificano i suoli fino a renderli inservibili. Allora bisogna dirlo chiaro: sì al fotovoltaico, ma sui tetti, nelle cave dismesse, lungo le strade. No a quello sul terreno libero.
Adesso poi è il momento delle centrali a biogas che sfruttano le biomasse, vale a dire liquami zootecnici, sfalci e altri vegetali. Questi materiali si mettono in un digestore, qui si genera gas che serve a produrre energia elettrica e ciò che avanza – il “digestato” – adeguatamente trattato poi può essere utilizzato come ammendante per i terreni. Questi impianti sarebbero ideali per smaltire liquami (problema annoso di chi fa allevamento) e altri rifiuti biologici, integrando il reddito con una produzione di energia che può essere utilizzata in azienda o venduta. Se sono piccoli o ben calibrati rispetto al sistema chiuso dell´azienda agricola funzionano e sono una benedizione – esattamente come può fare il fotovoltaico sul tetto di un capannone o di una stalla. Ma se c´è di mezzo il business, se si fanno sotto gli investitori che fiutano affari e a cui non importa che l´agricoltura produca cibo e che lo faccia bene, allora il biogas può diventare una maledizione. Sta già succedendo in molte zone della Pianura Padana, soprattutto laddove ci sono forti concentrazioni di allevamenti intensivi. È una cosa che stanno denunciando alcune associazioni ambientaliste a livello locale e per esempio da Slow Food Cremona mi segnalano che nella loro provincia ormai la situazione è sfuggita al controllo. Tant´è vero che hanno chiesto alla Provincia una moratoria sull´installazione e autorizzazione di nuove centrali a biogas.
Che succede? Molti agricoltori, stremati dalla crisi generalizzata del settore, si trasformano in produttori di energia, smettendo di fare cibo. In pratica, si limitano a coltivare mais in maniera intensiva per farlo “digerire” dagli impianti a biogas. C´è anche chi lo fa solo in parte, ma sta di fatto che tutto quel mais non sarà mangiato dagli animali e quindi indirettamente neanche dagli umani. Gli investitori li aiutano, a volte li sfruttano. Esistono soccide in cui gli agricoltori sono pagati da chi ha costruito l´impianto per coltivare mais: sono diventati degli operai del settore energia, altro che contadini. Tutto è cominciato nel 2008 con la finanziaria che prevedeva un nuovo certificato verde “agricolo” per la produzione di energia elettrica con impianti di biogas alimentati da biomasse. Impianti “piccoli”, di potenza elettrica non superiore a 1 Megawatt. Ma 1 Mw è tanto: ciò ha incentivato il business, perché a chi produce viene riconosciuta una tariffa di 28 cent/kWh, circa tre volte quanto si paga per l´energia prodotta “normalmente”.
Ecco allora che il sistema degli incentivi, cui si uniscono quelli europei per la produzione di mais, ha fatto sì che convenga costruire impianti grandi e costosi (anche 4 milioni di Euro), che possono essere ammortizzati in pochi anni. Soltanto nel cremonese nel 2007 c´erano 5 impianti autorizzati, oggi sono 130. E lì oggi si stima che il 25% delle terre coltivate sia a mais per biogas. In tutta la Lombardia si prevede che entro il 2013 dovrebbero esserci 500 impianti. Ci sarebbe da riflettere su quante volte un cittadino che versa anche le tasse arrivi a pagare quest´energia “pulita”, ma l´emergenza è di altro tipo: così si minacciano l´ambiente e l´agricoltura stessa.
Primo e lapalissiano: si smette di produrre cibo per produrre energia. Secondo: la monocoltura intensiva del mais è deleteria per i terreni perché deve fare largo uso di concimi chimici e consuma tantissima acqua, prelevata da falde acquifere sempre più povere e inquinate. Senza rotazioni sui terreni si compromette la loro fertilità e si favorisce la diffusione di parassiti come la diabrotica, da eliminare con un´ulteriore aggiunta di antiparassitari. Se il mais non è per uso alimentare, poi, sarà più facile mettere due dosi di tutto invece di una, senza farsi tanti scrupoli. Terzo: chi produce energia coltivando mais può permettersi di pagare affitti dei terreni molto più alti, anche fino a 1500 euro per ettaro, il che crea una concorrenza sleale nei confronti di chi invece ne ha bisogno per l´allevamento. È lo stesso fenomeno che si è creato con i parchi fotovoltaici, dunque sta piovendo sul bagnato. A chi alleva servono terreni soprattutto per rientrare nella “direttiva nitrati”, che dovrebbe regolare lo smaltimento dei liquami in maniera sostenibile. Chiedete ai contadini e agli allevatori: i terreni non sono mai stati così costosi come oggi, e per un´azienda che già subisce i danni di un mercato drogato da speculazioni e imposizioni di prezzi bassi da parte del sistema distributivo può voler dire soltanto una cosa, la chiusura.
Ma andiamo avanti. Quarto: gli impianti stessi, quelli da 1 Mw, sono grandi strutture e per costruirle si consuma terreno agricolo sacrificandolo per sempre. Quinto: ci sono già le prime voci sulla nascita di un mercato nero di rifiuti biologici, come gli scarti dei macelli, venduti illegalmente per fare biogas. Non andrebbero mai utilizzati come biomasse, perché ciò che avanza dalla “digestione” poi viene sparso per i campi come ammendante e in questi casi oltre a inquinare potrebbe anche diffondere malattie.
Il problema è la scala. Diciamo chiaramente che in sé il biogas da biomasse non avrebbe nessun difetto. Ma se è realizzato a fini speculativi ed è sovradimensionato, se fa produrre mais al solo scopo di metterlo nell´impianto, se fa alzare i prezzi del terreno, lo consuma e lo inquina, allora bisogna dire no, forte e chiaro. Da questo punto di vista sarà bene che le amministrazioni (comunali per impianti piccoli, provinciali per quelli più grandi) comincino a valutare i fini reali degli impianti prima di concedere autorizzazioni, e sicuramente questi problemi andranno affrontati e debellati con la nuova PAC, la politica agricola comune, che si è iniziata a discutere a Bruxelles.
Da un punto di vista umano capisco gli agricoltori che hanno intravisto con il biogas un modo per risalire la china di un´agricoltura industriale sempre più in crisi. Ma sono sicuro che ci sono altri modi di fare agricoltura, più puliti, diversificati, che puntano alla vera qualità. Questa agricoltura può essere molto remunerativa e dare futuro ai giovani, mentre è soprattutto quella di stampo industriale che sta collassando. Inoltre, prima o poi gli incentivi finiranno. Il biogas con grandi impianti è una pezza sporca che alcuni stanno mettendo alla nostra agricoltura malata, ottenendo l´effetto di darle così il colpo di grazia. Sarà molto difficile tornare indietro: i terreni fertili non si recuperano, le falde s´inquinano, la salubrità sparisce, chi fa buona agricoltura è costretto a smettere a causa di una concorrenza spietata e insostenibile. Agricoltura industriale, che ossimoro.

Quanto costa vivere a Osimo

Quanto costa vivere a Osimo di Paola Andreoni per la Meridiana del 29 luglio 2011
Le difficoltà economico finanziarie in cui versa il Paese si sono riflesse in maniera marcata sulla gestione Simoncini-Latini che ha dimostrato la più totale incapacità a intraprendere quelle politiche che il difficile momento suggeriva. Prendiamo in considerazione il costo dei servizi. In riferimento a questo, le scelte effettuate per il 2011 dall’’Amministrazione Comunale rappresentano per i cittadini un ennesimo salasso di cui le famiglie si accorgeranno a settembre, alla ripresa dell’attività scolastica. Tenuto conto delle tasse che i cittadini pagano, si può affermare, con piena cognizione di causa, che, con l’Amministrazione delle liste civiche,  vivere ad Osimo costa veramente molto di più. Infatti, oltre al “caro” irpef, che per gli osimani ha già raggiunto l’aliquota più alta, continua con Simoncini&Latini il caro tariffe. Per portare un esempio, è sufficiente fare riferimento alla tariffa dei rifiuti, che, dopo l’impennata del 16% dello scorso anno, continuerà ad aumentare per un valore medio del 6,16 %. E l’aggravio inciderà maggiormente su chi vive da solo: per questi, infatti, le bollette potranno aumentare da 3 a 10 €.   Anche gli asili nido, in Osimo, costeranno di più, in particolar modo le strutture gestite dalla Asso. Per il “Cullaverde” di San Biagio, che passerà sotto la gestione Asso, le tariffe per i nuovi iscritti, comprensive di 20 pasti, aumenteranno di circa 50,00 €, passando da 265,18  a 324,00 € per fascia oraria (7,30-13,00).
Aumenteranno, secondo i valori istat, anche le mense, il trasporto scolastico, l’assistenza domiciliare agli anziani, i centri aquilone e il centro diurno per disabili. Inoltre, rispetto al 2010,  è stato azzerato il fondo garanzia per le famiglie, previsto per un importo pari a 25.000 € e destinato a sostenere coloro che versano in particolari difficoltà economiche.
Il PD, in sede di bilancio, aveva posto al centro della discussione proprio il costo, a carico delle famiglie,  delle mense e degli  altri servizi, mettendo in evidenza come, sotto l’amministrazione delle Liste Civiche, le tariffe non avessero fatto altro che subire, negli anni,  continui aumenti. Inoltre  il PD aveva fatto notare come le tariffe, stabilite in misura uguale per tutti, non tenessero conto dei diversi redditi delle famiglie e non rispondessero,dunque, alle vere necessità di coloro che si trovano in difficoltà. Purtroppo, ad Osimo,  molti nuclei familiari sono costretti a rinunciare a tali servizi proprio per l’alto costo. Invitammo i nostri amministratori a tenere conto di tale realtà, ma l’Amministrazione Comunale, sorda alle proposte costruttive del PD, approvò tutti gli aumenti delle tariffe e fra questi anche quelle delle mense e del trasporto. Credo che i dati si commentino da soli e non corrisponde certo al vero che l’Amministrazione, per via delle ristrettezze economiche, abbia fatto della politica del sociale una priorità. Si apprende dalla stampa di questi giorni come ci sia un tentativo da parte di Simoncini di rivedere a ribasso alcune tariffe, seguendo proprio i suggerimenti del PD. Speriamo che questa volta l’Amministrazione Simoncini&Latini non si fermi ai proclami estivi, ma  faccia seguire ai medesimi atti concreti finalizzati  ad un effettivo abbassamento delle tariffe.
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Intanto, il Consiglio Comunale sembra si sia trasformato in un libro dei sogni. Infatti si discutono  più che altro  atti di indirizzo per progetti che, seppur buoni nella sostanza, probabilmente saranno destinati a permanere sulla carta. Mi riferisco al progetto di social housing, al progetto del parco naturalistico lungo il fiume Musone, un’idea che viene per l’ennesima volta riproposta, anche se con una veste diversa, al “quoziente Parma”, che dovrebbe prevedere agevolazioni delle tariffe per le famiglie numerose, nonché ai vari ordini del giorno che hanno tanto il sapore di propaganda politica per le liste civiche, ma che sono destinati a incidere poco sulla vita sociale della nostra città.
Ciò che, invece, dovrebbe essere discusso in Consiglio Comunale, in quanto  di sua propria competenza, sono ad esempio le linee d’indirizzo che riguardano le Società Partecipate. Siamo, infatti, venuti a conoscenza che il Sindaco ha inviato ad ogni Società Partecipata delle schede contenenti indirizzi strategici per l’anno 2011, indirizzi  sulla cui attuabilità lo stesso  Sindaco, ad una mia interrogazione con risposta scritta, ha dichiarato l’esistenza di un contraddittorio con i Presidenti delle società stesse. Ma c’è di più: alla mia richiesta di accesso agli atti per conoscere il contenuto di tali indirizzi strategici, il Sindaco ha risposto che la divulgazione degli stessi avrebbe potuto comportare pregiudizio all’azione dell’Amministrazione Comunale, negandomi dunque il diritto di accesso. Credo che a questo punto ogni possibile commento sia superfluo: i fatti da me esposti sono quanto mai eloquenti e la dicono lunga sul modo trasparente di gestire la cosa pubblica delle liste civiche e dell’amministrazione Simoncini-Latini. Ad ogni buon conto la questione verrà discussa nei prossimi Consigli Comunali grazie alle interrogazioni e alla richiesta presentata dal gruppo consiliare   del PD di invitare gli stessi Presidenti delle Partecipate a   relazionare sull’andamento delle società e dei servizi da queste gestiti. 
 
Paola Andreoni 
capogruppo PD Osimo

è domenica

L’albero

L’albero non rifiuta riparo neppure all’uomo che viene a tagliarlo.                                                                                                          

  (detto buddista )