“Violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato”: questo afferma la sentenza sulla Trattativa Stato-mafia.

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Fra lo Stato italiano e Cosa Nostra, negli anni fra il 1992 e il 1993, ci fu una trattativa in cui alcuni uomini dello Stato fecero da tramite fra i boss e il mondo politico per trasmettere i ricatti dei mafiosi al fine di ottenere dei benefici per essi e far cessare le bombe. Questa è la verità accertata a livello giudiziario con la sentenza da parte della Corte d’Assise di Palermo. Uomini delle istituzioni scesero a patti con i boss, che uccisero Falcone e Borsellino e i loro uomini di scorta, ne accettarono i ricatti, li trasmisero a uomini di Governo affinchè cessasse l’offensiva anti-mafia successiva iniziata con il maxi-processo del 1992 e gli ergastoli ai boss , pena nuove stragi, nuove bombe, nuovo sangue. “Violenza o minaccia a un corpo politico, amministrativo o giudiziario dello Stato”, questa l’accusa, e pesantissime sono le condanne: 8 anni per l’ex colonnello Giuseppe De Donno, ben 12 anni per gli ex capi del Ros dei Carabinieri Mario Mori e Antonio Subranni, per il fedele medico di Totò Riina Antonino Cinà, e, soprattutto, per Marcello Dell’Utri, ex senatore di Forza Italia, e prima di tutto fedelissimo di Silvio Berlusconi. Colui che, nelle parole dell’accusa, nel 1994 portò avanti sotto il primo governo del Cavaliere la trattativa iniziata due anni prima dai carabinieri, “la cinghia di trasmissione” fra i boss e il neoinsediato governo Berlusconi, quello che ne trasmetteva le richieste, colui che chiedeva benefici a nome dei boss.

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