In attesa di sentire cosa ci vuol dire, ecco i veri numeri della Giustizia.

Silvio Berlusconi Angelino Alfano

Berlusconi ha annunciato che “parlerà agli italiani” della riforma della Giustizia. Vespa è subito corso a ordinare un paio di scrivanie di ciliegio e una lavagna. Non si sa mai salti fuori un bel contrattino da firmare. Gli youtubers invece stanno affilando i videoregistratori e verificando i collegamenti: c’è aria di videoclip più cliccata del web.

 Se Porta a Porta assomigliasse di più a una trasmissione di informazione politica e di meno a una televendita, quel giorno in studio vedremmo un rappresentante della magistratura argomentare circa i “teoremi” del premier che ruotano intorno all’inefficienza dei giudici, così come vedremmo un giornalista come Marco Travaglio argomentare circa il tormentone della persecuzione giudiziaria iniziata “solo” con la sua discesa in campo, nel 1994.

 Invece non vedremo nulla di tutto questo: tutt’al più il solito Sansonetti intimidito di fronte alle battute sul Milan. Se poi un’Odifreddi qualsiasi si dovesse permettere di tirare fuori Noemi e la D’addario, basterà inquadrare La Russa che, al segnale di Vespa, scatenerà un inferno di filastrocche infantili turandosi naso ed orecchie come solo un vero ministro della Difesa sa fare. Del resto, sappiamo tutti qual è la situazione delle scuole d’infanzia e quanto costerebbe parcheggiare Ignazio al doposcuola. No, il contraddittorio ce lo faremo da soli, e giacché ormai siamo diventati bravi, questa volta arriveremo preparati.

  La prima argomentazione sarà che la Giustizia in Italia costa troppo. Berlusconi vi dirà che abbiamo troppi magistrati rispetto agli altri paese europei. Le fonti dove attinge i suoi dati sono le stesse dei sondaggi di Emilio Fede: ad personam, come le leggi del PDL. Noi invece, in quattro rapidi click ci portiamo sul sito del Consiglio d’Europa (noto covo di comunisti), consultiamo le pubblicazioni della Commissione Europea per l’Efficienza della Giustizia, il CEPEJ (noto covo di magistrati rossi), e scarichiamo il documento European Judicial Systems – Edition 2008 (dati riferiti al 2006).

  Scopriamo che nel 2006 l’Italia ha destinato a tutto il sistema giudiziario (tribunali, procure della Repubblica e patrocinio gratuito) ben 4 miliardi di euro. Per l’esattezza: 4.088.109.198€. Se è vero che non siamo tra i più virtuosi – Spagna e Francia hanno fatto meglio, rispettivamente con 2.983.492.000€ e 3.350.000.000€ -, è falso che siamo i più spendaccioni. Peggio di noi hanno fatto Inghilterra e Galles, con 5.343.199.553€ spesi, e la Germania, che addirittura ci doppia: 8.731.000.000€, quasi nove miliardi!

  Ad ogni italiano, il funzionamento della giustizia costa 70 l’anno. Spendono di più, tra le altre, la Norvegia, l’Olanda, la Scozia, il Galles, la Germania, la Svizzera, l’Irlanda e Monaco, in un crescendo che arriva fino a ben 168€ l’anno pro capite.

Costo procapite giustizia
 Mi direte voi: è un dato incompleto. Vero, va rapportato al Prodotto Interno Lordo, che misura – o quantomeno dovrebbe – la ricchezza di un paese. Se sperate però di ottenere così un responso meno clemente, per assecondare le tesi catastrofiste di Alfano & Co, rimarrete delusi. L’Italia risulta essere nella fascia alta dei paesi virtuosi per quanto riguarda la spesa pubblica destinata al funzionamento della giustizia, espressa come percentuale del PIL pro capite. Per l’esattezza, siamo il diciassettesimo paese più virtuoso. Ben 26 paesi fanno peggio di noi, tra cui: la Svizzera, l’Olanda, la Spagna, la Scozia, l’Inghilterra, la Germania, passando per l’Irlanda del Nord fino alla Croazia e alla Bosnia. Il cittadino del paese più virtuoso, l’Irlanda, spende ogni anno lo 0,10% del PIL pro capite. Un italiano spende lo 0,26% e un Bosniaco arriva a spendere lo 0,86%.
Costo Giustizia Pro Capite percentuale PIL
 In tutti i paesi oggetto della valutazione, ma proprio tutti, il più alto costo da sostenere sul budget allocato se ne va per gli stipendi dei magistrati. Inoltre, dove si è capito che per fare processi brevi bisogna dotare la Giustizia di infrastrutture tecnologiche meno obsolete, una larga fetta del budget viene investito nell’IT (computer, reti e accessori). E’ questo il caso dell’Olanda, della Norvegia, dell’Irlanda e del Regno Unito.

 Veniamo ora all’annosa questione del numero totale di magistrati: secondo Berlusconi qui in Italia ne abbiamo troppi. Bene, sfogliamo con il ditino il nostro documento PDF e andiamo a pagina 110. Limitiamoci al numero di magistrati professionisti, definiti come coloro che hanno sostenuto un apposito corso di formazione e sono stati assunti per lavorare unicamente come magistrati.
 
 Quanti magistrati professionisti abbiamo ogni 100 mila abitanti? Undici, sì: qui in Italia ne abbiamo undici! Troppi? Vediamo: meno di noi ne hanno solo l’Irlanda (3,1), l’Inghilterra (7), la Spagna (10,1) e la Norvegia che però ne ha più o meno tanti quanti noi (10,9).
 La Francia ne ha 11,9, l’Olanda 12,7, la Svizzera ne ha 16,5, l’Austria più di 20, per non parlare della Germania (24,5), della Grecia (28,4), del Montenegro (37,2) e di Monaco, che arriva ad averne ben 54,5. Cinque volte tanto rispetto a noi.
Numero di magistrati ogni centomila abitanti 
 Se poi vogliamo parlare del numero di magistrati non professionisti, ogni centomila abitanti, ecco la nostra più che onorevole posizione: quarti. Con dodici magistrati, veniamo dopo solo la Francia (5), la Bosnia (4) e il Portogallo (4).
Magistrati non professionisti per centomila abitanti 

Beh, ma allora forse il problema risiede nel personale non giudicante (un po’ come gli operatori di piano nelle scuole), ovvero i portinai, i cancellieri, i segretari e gli uomini di pulizie dei tribunali. Saranno loro ad essere di troppo. O no?
 No. Ne abbiamo solo 46 ogni centomila italiani contro, per esempio, i 70 della Germania, i 93 della Spagna, i 135 della Slovenia e i 161 della Croazia!

PERSONALE GIUSTIZIA OGNI CENTOMILA ABITANTI
  Uff… Beh! Ma allora forse sono questi benedetti magistrati che non lavorano. Passano il tempo a giocare a freccette, possibile? 

 Neppure, mi spiace: proprio no. Nel 2006 in Italia, rispetto ai casi civili, è stata presa una decisione nel merito, ovvero il processo è arrivato a termine, in 2.653.113 casi, contro i 1.588.198 casi della Germania, i 1.624.484 casi della Francia e i 1.094.505 casi della Spagna. Semmai i processi in Italia si accumulano perché siamo l’unico paese dove nel solo 2006 se ne sono aperti 2.825.543, un numero più che doppio rispetto a quelli aperti in Germania (1.104.828), in Spagna (1.169.750) e superiore di un milione rispetto a quelli francesi (1.624.484). Non sarà che in Italia la percentuale di manigoldi ogni centomila abitanti è superiore a quella di un qualsiasi altro paese civile europeo? 
  Sembrerebbe di sì, visto che siamo il paese con il più alto numero di nuovi processi penali per atti criminosi gravi. Nel 2006 abbiamo avuto ben 1.230.085 nuovi processi. La Germania, seconda classificata, non arriva che a 854.099 casi.  Tra l’altro, li abbiamo risolti quasi tutti, dato che il numero di processi chiusi è stato di ben 1.168.044.
  In compenso, questo sì, siamo la nazione europea dove divorziare dura di più: ben 634 giorni di litigate coniugali prima di arrivare a un compromesso, contro i 477 della Francia, i 321 della Germania e i 227 della Spagna.
 Ma allora non converrebbe mettere fuori legge il divorzio per una decina d’anni? Così, giusto il tempo di risolvere la coda del penale. Facciamo così: ci penso e nella notte – in perfetto stile PDL – butto giù un bel disegno di legge per riformare la giustizia, sulla base di questo accorgimento. Sono sicuro che a Silvio l’idea piacerebbe, visto il capitale che deve versare a Veronica per la procedura di divorzio in corso.

  Insomma, avete capito bene? Fotocopiate questi dati, consegnateli agli amici e ai colleghi di lavoro, attaccateli alle stazioni degli autobus, dei treni, alle vetrine e alle pareti dei pubblici esercizi. Soprattutto, faxateli alla redazione di Porta a Porta durante la registrazione della fatidica puntata. Dopo la performance, diffondete uno, dieci, cento, mille videoclip dove rispondete punto a punto alle confuse motivazioni delineate grossolanamente e in maniera demagogica da un esecutivo un po’ troppo allergico ai dati, che qualsiasi giornalista con la schiena dritta potrebbe mettere in difficoltà sventolando una semplice fotocopia. ( E poi, ve lo ricordate Berlusconi l’ultima volta da Vespa? Non mi era parso un campione di lucidità).

  Se la riforma della Giustizia acquisisce assoluta priorità sui gravi problemi che investono questo paese, il motivo non è che il potere giudiziario funziona peggio rispetto alle modalità in cui viene amministrato altrove. Forse, al contrario, dimostra di funzionare anche meglio.

 Ecco, sì. Forse è questo il problema: certe toghe dovrebbero prendere esempio dai politici ed essere un po’ meno zelanti!

Il solito razzismo leghista (e pensare che sono coloro che raccolgono le firme per il crocifisso):No agli insegnanti meridionali in Friuli

L’assessore leghista  Narduzzi, ha presentato una interrogazione al consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia con la quale si chiede di non “pescare” più i docenti dal meridione, dove l’offerta fomativa è più bassa. Il Trentino guidato dalla Lega si mostra nella sua faccia inospitale.

Ora è chiaro,  per la Lega  il sud serve solo per riversare i liquami tossici e radioattivi delle industrie del nord (vedi Napoli) o da centrale energetica da cui attingere le risorse che il nord non ha, vedi la Sicilia che sarà trasformata in hub energetico.

 Il recinto adesso va chiuso, ma per lasciare i buoi fuori dalle verdi praterie. La suddivisione culturale del lavoro dell’impero morente vuole una pianificazione più accurata, che lasci i posti strategici alla gente del nord, quella che “conosce le tradizioni locali” o è residente in loco.

Uno strano leghismo che non rinuncia ai privilegi di aver messo le mani sulle casse romane, basti pensare al flop cinematografico da 30 milioni finanziati dal servizio pubblico RAI e non esclusivamente padano, per produrre il falso storico su “Barbarossa“.

Riforma dei Servizi Locali: le novità e le conseguenze.

Il 19 dicembre è diventato legge il  D.L. n.135/2009 cd “Ronchi”, dal nome del  ministro per le politiche comunitarie.
La Camera ha votato per il sì con 302 voti favorevoli, 263 contrari e nessun astenuto. Il testo resta identico a quello del Senato dove gli articoli erano saliti da 20 a 32. Poiché sulle votazioni agli ordini del giorno la maggioranza é andata sotto quattro volte, il Ministro ha deciso di accogliere come raccomandazioni tutti gli ordini del giorno, tra cui l’impegno del Governo a valutare deroghe alla liberalizzazione della gestione dell´acqua per i comuni più virtuosi.
Il decreto legge “Disposizioni urgenti per l´attuazione di obblighi comunitari e per l´esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee” (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 25 settembre scorso) è stato approvato per risolvere le criticità della normativa italiana evidenziate da Bruxelles, al fine di scongiurare l’applicazione di pesanti sanzioni all’Italia, e contiene, fra le altre, la riforma dei servizi pubblici locali, tra cui la gestione dell´acqua e la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti (dalla riforma restano escluse la distribuzione di gas naturale ed energia elettrica, il trasporto ferroviario regionale e la gestione delle farmacie comunali).

 PRINCIPALI NOVITA’DELLA RIFORMA SUI SERVIZI
Il decreto “Ronchi”  ha riacceso il dibattito attorno alla riforma dei servizi locali, prevedendo in buona sostanza che la gestione dei servizi pubblici locali debba essere conferita “in via ordinaria” attraverso gare pubbliche, riducendo ad ipotesi “eccezionali” la c.d. gestione in house.
Ambito di applicazione. Nell’attuale legislatura il comparto dei servizi pubblici locali di rilevanza economica era già stato oggetto di una riforma  disposta con il decreto legge n. 112 del 2008 . L´art. 15 del decreto “Ronchi” riformula l’art. 23 bis  della D.L. 112/2008 (convertito in legge n. 133/2008) modificando, con l’obiettivo dichiarato di adeguamento ai principi comunitari ed incentivazione alla liberalizzazione, la disciplina sull´affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, compresa la gestione dell´acqua (si precisa che la proprietà pubblica del bene acqua dovrà essere garantita) ed escludendo dalla disciplina di carattere generale su tali servizi la distribuzione di energia elettrica, il trasporto ferroviario regionale e la gestione delle farmacie comunali (il settore del gas era già stato escluso dalla legge 99/2009, art. 30, comma 26).
Società miste. Si prevede che, oltre al conferimento in favore di imprenditori e società in qualunque forma costituiti, l’ente locale possa optare per l’affidamento del servizio a società mista pubblico-privata, ma solo a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione dei compiti operativi connessi alla gestione del servizio (cosiddette gare “a doppio oggetto”). In altre parole il bando di selezione dovrà contemperare, contenendoli entrambi, i requisiti propri del soggetto-socio e quelli del soggetto-operatore. A questo la norma aggiunge l’ulteriore condizione di una partecipazione del socio privato non inferiore al 40% del capitale sociale.
Affidamenti in house
Nel decreto sono qualificate come “eccezionali” le situazioni per le quali, ferma restando la necessità , già prevista dall’art. 23  bis, di “peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento” sia possibile ricorrere all´affidamento in house, in deroga agli affidamenti ordinari con gara. La norma richiama espressamente la necessità che la società affidataria in house sia totalmente pubblica,  abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione in house,  e che comunque  l’affidamento debba avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano. Le modifiche vanno nel senso di limitare il ricorso all’in house da parte degli enti locali in linea con gli esiti (pressoché tutti negativi) dei pareri emessi dall’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato cui gli enti locali si sono rivolti, sotto il profilo della verifica circa l’interesse del mercato all’affidamento del servizio mediante gare aperte.
Authority
Si chiarisce che il parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato è preventivo rispetto alla scelta definitiva di affidamento, e in caso di mancata emissione entro 60 giorni dalla richiesta, il parere deve intendersi come favorevole (silenzio assenso). Si prevede anche che l’A.G.C.M. abbia il compito di individuare, con propria deliberazione, le soglie oltre le quali gli affidamenti di servizi pubblici locali assumono rilevanza ai fini dell’espressione del parere di cui sopra (in altre parole soglie sotto alle quali, per la loro relativa modestia, è indifferente per il mercato l’affidamento in house).
Regole per i gestori Per le società che già gestiscono, a qualunque titolo, servizi pubblici locali, nonché i soggetti cui è affidata la gestione delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, qualora separata dall’attività di erogazione dei servizi, è previsto che debbano limitare la loro attività alla gestione dei servizi affidati ab origine, restando negli ambiti territoriali di competenza, e senza poter svolgere, né direttamente, né tramite loro controllanti o altre società che siano da esse controllate o partecipate, servizi o attività per altri enti pubblici o privati, né potendo partecipare a gare indette da altri enti.   Per le società quotate in borsa sono previste delle deroghe a tali limitazioni.
Infine, si prevede che gli affidatari diretti di gestioni già in essere possano partecipare alla prima gara indetta per lo svolgimento dei servizi a loro già affidati.
Regime transitorio Per gli affidamenti non conformi viene previsto direttamente nel decreto un regime transitorio.
La disciplina transitoria prevede diverse scadenze per gli affidamenti “difformi”:

– affidamenti in house:  cessano il 31 dicembre 2011 ovvero alla scadenza del contratto se, a quella data, gli enti affidanti cedono ai privati il 40% della proprietà;

– società quotate: gli affidamenti cessano alla scadenza del contratto se la quota pubblica scende, anche progressivamente, sotto il 40% entro il 30 giugno 2013 e sotto il 30% entro il 31 dicembre 2015, altrimenti cessano il 30 giugno 2013 o il 31 dicembre 2015;

– atri casi: la scadenza è al 31 dicembre 2010

Norme sulle utilities
Il decreto  modifica norme varate appena un anno fa. Il settore delle utilities nel corso degli ultimi tre anni  è stato interessato, a vario titolo, da diverse normative: 

D.L. n. 223/2006: art. 13 “Decreto Bersani” sulle società che erogano servizi strumentali;
Legge n. 296/2006: art. 1 comma 734 L.F. 2007, sui vincoli alla nomina degli amministratori di società miste;
Legge n. 244/2007: art. 3 comma 27 L.F. 2008, sul divieto per gli enti di detenere partecipazioni in società che non perseguono fini istituzionali;
D.L. n. 112/08: art. 18 in materia di assunzioni del personale delle società miste e, appunto, art. 23-bis;
D.L. n. 78/09: art. 17 che modifica il D.L. n. 112/08;
Legge n. 69/09: di modifica dell’art. 3 comma 27 L.F. 2008;
Legge n. 102/09: che modifica il D.L. n. 78/09.

Il teatrino della politica di Gheddafi

A nome di tutte le  donne del PD osimano voglio esprimere il disgusto per il recente teatrino messo in atto dal  premier libico Gheddafi, il quale ha reclutato a Roma un gruppo di avvenenti signorine che gli facessero da uditorio per la sua lezione di Islam. Anche se il vero e proprio casting assomigliava piuttosto ad una ricerca di ragazze per una sfilata autunno-inverno  (fisico da modelle, alte almeno un metro e settanta e di bell’aspetto), le fanciulle si sono presentate numerose e incuriosite dalle perle di saggezza che il premier ha voluto condividere con generosa disponibilità, omaggiandole, alla fine, di una copia del Corano che esibivano orgogliose alla stregua di un’elegante borsetta firmata. Di fronte all’ennesimo tentativo di svilire le donne utilizzandole come vuoto orpello o strumento di bieca promozione della propria posizione di leader, non voglio che sperare che di fronte a tali tentativi di svilire la dignità e l’intelligenza femminile ci sia una ferma opposizione da parte di tutti.

ministro Rotondi, pigliate ‘na pastiglia!

Gianfranco Rotondi, ministro per l’Attuazione del programma di governo. Il nome della carica è altisonante, ma conta come il due di picche. Rotondi, per farsi notare, ha dichiarato: “La pausa pranzo è un danno per il lavoro, ma anche per l’armonia della giornata. Non mi piace questa ritualità che blocca tutta l’Italia”. E’ incredibile! I nuovi barbari vogliono dare lezioni di stile e di vita al popolo. E’ vero, molti lavoratori, seguono già l’esempio del ministro, ma non per scelta, bensì per necessità. Mancano i soldi, persino per comprarsi un panino. Ed anche quando la situazione non è così disperata uno preferisce risparmiare quei 4 euro di panino o 11 euro per il pranzo (fatto di surgelati o cibi di qualità scadente). Leggo sul sito del ministero che Gianfranco Rotondi è nato ad Avellino ed è coniugato con una farmacista di Salerno. Ricordando la canzone del mitico maestro Renato Carosone, consiglio a Rotondi prima di sparare ancora cazzate: Pigliate ‘na pastiglia!

Savonarola