70 anni fa, domenica 24 marzo 1946, votavamo per la prima volta.

Settant’anni fa votavamo per la prima volta. Settant’anni fa, la domenica del 24 marzo del 1946, le donne osimane parteciparono alle elezioni amministrative ( le prime libere dopo il periodo fascista). Esercitarono il diritto al voto in 6.399 ( l’84,7% delle aventi diritto). Oltre che esercitare il diritto al voto, alle donne  – per la prima volta – veniva riconosciuto il diritto di eleggibilità.
1946 candidati prime elezioni amministrativeTra i 163 candidati a ricoprire i (30) posti di Consiglieri Comunali solo 5 sono state le donne che si presentarono alla competizione elettorale e solo 3 di loro riuscirono ad essere elette:
CANALINI Gioconda candidata nella lista della lista di sinistra (partito Comunista, d’azione e socialista). Eletta consigliera comunale;
GIORGETTI Elena in Donnini candidata nella lista della lista di sinistra (partito Comunista, d’azione e socialista). Eletta consigliera comunale;
AMBROGETTI Giuseppina candidata nella lista della lista di sinistra (partito Comunista, d’azione e socialista). Eletta consigliera comunale;
BERRE’ Ida candidata nella lista della D.C., non eletta;
DIOTALLEVI Ulderica candidata nella lista Indipendenti, non eletta.
Eletti 1946

Dopo circa due mesi, il  2 giugno 1946, ventuno donne venivano elette all’Assemblea Costituente. Fra queste 21, espressione dell’avanguardia femminile del tempo, diverse per estrazione sociale e culturale, per appartenenza politica, cinque fecero parte della Commissione dei 75, organo incaricato a scrivere la storia: a redigere la nostra Carta Costituzionale.

All’insostituibile apporto di queste cinque donne (di cui mi piace ricordare i nomi: Nilde Iotti, Teresa Noce, Maria Federici, Lina Merlin e Angela Gotelli) si devono importanti articoli. Sappiamo quante speranze e quanti diritti sono rimasti disattesi; quanta di quella passione sia rimasta nero su bianco sulle righe della Carta Costituzionale di questa Repubblica fondata sul lavoro e sulla pari dignità. Ma la storia prosegue e, dopo la Costituente, la presenza delle donne all’interno delle istituzioni è stata fondamentale per la realizzazione di leggi importanti, capaci di cambiare la nostra vita e l’intera società. Spesso questo protagonismo lo dimentichiamo, troppo spesso non lo conosciamo.

Nessun intento celebrativo, tantomeno senza alcun moto nostalgico, ma con la consapevolezza di aver ricevuto un’importante eredità da mantenere e salvaguardare, da rafforzare e ampliare. Perché noi donne conosciamo la fragilità dei nostri diritti, ma altrettanto bene siamo coscienti della grandezza dei nostri orizzonti.

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8 Marzo: ritratti di donne che hanno segnato la storia recente del mondo, dell’Italia e di Osimo

Dalla politica all’attivismo, dalla scienza alla filosofia, passando per le arti, l’impegno civile e il costume.
Il ritratto e la biografia di alcune donne che hanno segnato la storia recente dell’Italia, del mondo e della nostra città
Una giornata in cui ricordare le conquiste sociali e politiche delle donne, un’occasione per rafforzare la lotta contro le discriminazioni e le violenze, un momento per riflettere sui passi ancora da compiere, la Giornata Internazionale delle donne che cade ogni anno l’8 marzo e tutto questo e anche di più. E’ un modo per ricordarsi da dove veniamo, noi donne, e dove stiamo andando

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6( 1927) La sua notorietà non deriva tanto dal contributo da lei personalmente dato alla Resistenza, quanto dall’attività politica da lei svolta nel dopoguerra. Eppure proprio la guerra partigiana ha determinato le sue scelte. Tina Anselmi, infatti, decise da che parte schierarsi quando, giovanissima, vide un gruppo di giovani partigiani portati al martirio dai fascisti che li impiccarono. Divenne così staffetta partigiana. Nel 1944 si iscrisse alla DC e – non si era ancora laureata in lettere all’Università Cattolica di Milano – partecipò attivamente alla vita del suo partito, non dimenticando mai le ragioni profonde della sua scelta antifascista. Tina Anselmi è stata via via dirigente sindacale dei tessili, incaricata dei giovani nella DC. Parlamentare dalla V alla X legislatura,  ha fatto parte delle Commissioni Lavoro e previdenza sociale, Igiene e sanità, Affari sociali, occupandosi molto dei problemi della famiglia e della donna. Ha inoltre presieduto per due volte la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla Loggia P2. Tina Anselmi è stata tre volte sottosegretaria al Ministero del Lavoro e della Previdenza sociale, una volta ministra del Lavoro, due volte ministra della Sanità. Si deve a lei la legge sulle “pari opportunità” ed è stata tra gli autori della riforma che introdusse il Servizio Sanitario Nazionale.

Nilde( 1920-1999) Si laureò in lettere all’Università Cattolica di Milano. Ebbe tra i suoi professori Amintore Fanfani e fu per qualche tempo insegnante ma decise di abbandonare la professione quando maturò un profondo spirito antifascista che la convinse ad occuparsi di politica. Dopo l’8 settembre 1943 si iscrive al PCI e partecipa alla resistenza, svolgendo inizialmente la funzione di porta-ordini, poi aderendo ai Gruppi di Difesa della Donna, formazione antifascista del PCI, diventando organizzatrice e responsabile. Fu presidente dell’Unione Donne Italiane di Reggio Emilia. Nel 1946 viene candidata dal Partito Comunista Italiano e viene eletta all’assemblea costituente. Nello stesso anno inizia a Roma una relazione con il Segretario Nazionale del PCI, Palmiro Togliatti, che terminerà soltanto con la morte del leader comunista, nel 1964. Eletta nell’Assemblea Costituente, Nilde Iotti fa parte della Commissione dei 75 incaricata della stesura della Costituzione. Rieletta nel 1948 alla Camera dei deputati, siede tra i banchi di Montecitorio ininterrottamente sino al 1999 e per lungo tempo ne presiede l’Assemblea: viene infatti eletta Presidente della Camera dei deputati per tre volte consecutive, ricoprendo così quella carica per 13 anni, dal 1979 al 1992. Nessuno nella storia d’Italia ha ancora raggiunto il suo primato. Durante la sua vita ricevette inoltre numerose mansioni di prestigio quali: la presidenza della Commissione bicamerale per le riforme istituzionali costituita il 9 settembre 1992; la presidenza della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (1996 – 1999), di cui fu anche vicepresidente nello stesso periodo. Rinunciò a tutti gli incarichi il 18 novembre del 1999 a causa di gravi problemi di salute. La Camera dei deputati accolse le sue dimissioni con un lunghissimo applauso; il futuro presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, suo vecchio compagno di partito, scrisse nell’occasione una lettera pubblica, e tornò a ricordare la Iotti nel 2006, nel discorso pronunciato alle Camere durante il giuramento per la Presidenza della Repubblica: «E ancora, abbiamo da contare – mi si lasci ricordare la splendida figura di Nilde Iotti – sulle formidabili risorse delle energie femminili non mobilitate e non valorizzate né nel lavoro né nella vita pubblica: pregiudizi e chiusure, con l’enorme spreco che ne consegue, ormai non più tollerabili.»] Nilde Iotti morì pochi giorni dopo le sue dimissioni, il 4 dicembre 1999, per arresto cardiaco, alla clinica Villa Luana di Roma. I funerali furono tenuti con rito civile secondo sue disposizioni, poiché era atea. È sepolta presso il Cimitero del Verano di Roma.

Montalcini( 1909 – 2012)  nacque a Torino in una famiglia di origine ebrea. Nonostante quella in cui vivesse fosse un’epoca ostica per le donne, si laureò in medicina col massimo dei voti, presso l’Università di Torino, nel 1936 e fu compagna di corso di personaggi come Renato Dulbecco (anche lui premio Nobel per la Medicina e scomparso anche lui nel 2012) o Salvador Luria (altro premio Nobel per la Medicina, fu uno dei padri della genetica batterica e della virologia). Tutti e tre furuno allievi del famosissimo istologo Giuseppe Levi (che non era parente della Montalcini, prima che qualcuno gridi alla raccomandazione). Subito dopo la laurea, Rita Levi Montalcini iniziò a frequentare la specializzazione in neurologia, ma la pubblicazione da parte Benito Mussolini (maiuscolo solo perché è un personaggio storico) del “manifesto per la difesa della razza” la costrinse a lasciare l’Italia e a rifugiarsi in Belgio, il quale fu invaso nel 1940 dai nazisti e la Montalcini decise di non emigrare negli Stati Uniti e rischiò di ritornare a Torino per ricongiugersi con la famiglia. A Torino iniziò le sue ricerche nella sua stanza, con pochissime risorse. Nel 1941 la città fu bombardata dagli Alleati e i Levi Montalcini si rifugiarono prima in campagna e poi a Firenze nel 1943, durante l’invasione nazista dell’Italia.Nel capoluogo toscano la scienziata entrò in contatto con la Resistenza e nel 1943, durate la liberazione dell’Italia, divenne medico presso uno dei campi rifugiati degli Alleati. Nel 1947 il professor Viktor Hamburger la invitò a St. Louis, negli Stati Uniti, per darle la cattedra di Neurobiologia del dipartimento di Zoologia presso la Washington University, dove studiò lo sviluppo neurale degli embrioni di Gallus gallus domesticus (gallina). La scoperta per cui il mondo la ricorda e che le fece meritare un Nobel avvenne proprio a St. Louis, nel 1954, ma ne parleremo fra poco. Rimase negli Stati Uniti fino al 1977 anche se rimase in contatto con l’Italia, tanto che fu direttrice del Laboratorio di Biologia del C.N.R. dal 1969 al 1979. Il Nobel arrivò nel 1986 per via della sua scoperta del 1954. Non ha mai smesso di fare ricerca, tanto che è stata collaboratrice dell’Istituto di Neurobiologia del C.N.R. dal 1989 al 1995 (ossia dall’età di 80 anni a quella di 86; vecchietta arzilla, eh?). Fu anche presidente dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana dal 1993 al 1998. Ha anche avuto il privilegio di essere ammessa alla prestigiosa Accademia Nazionale dei Lincei. Nel 2001 fu nominata senatrice a vita presso il Senato della Repubblica Italiana dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi per i suoi innegabili meriti scientifici, che hanno dato lustro all’Italia nel mondo. Morì,  il 30 dicembre 2012  Ora che ho ben inquadrato il personaggio, potete ben capire la mia rabbia quando il signor Grillo l’ha definita una “vecchia puttana” (perdonate il linguaggio scurrile: è una citazione del signor Grillo).

mar(1922 – 2013). Nata a Firenze il 12 giugno 1922, Margherita Hack è stata una delle menti più brillanti della comunità scientifica italiana. Il suo nome è legato a doppio filo alla scienza astrofisica mondiale. Era considerata una delle astrofisiche italiane più importanti e una “madre nobile” della divulgazione scientifica in Italia. La Hack è stata la prima donna a dirigere un osservatorio astronomico in Italia e ha dato un forte contributo alla ricerca per lo studio e la classificazione spettrale di molte categorie di stelle. Ma era famosa anche per il suo fiero ateismo, l’impegno politico e lo spirito da “toscanaccia” indomita.. Margherita Hack si è spenta a Trieste nel 2013 all’età di 91 anni.

Anna(1908 – 1973) Antidiva per eccellenza, Anna Magnani è stata una figura chiave del neorealismo italiano, interpretando con stile inimitabile il personaggio della popolana focosa e sboccata, ma allo stesso tempo sensibile e generosa, incarnazione dei valori genuini di un’Italia minore. I personaggi caratterizzati dal suo temperamento focoso e passionale, ma capaci anche di toccanti e imprevedibili dolcezze, le si addicevano in modo perfetto. Anna Magnani è ricordata per quella sua inarrivabile e passionale carica umana, che talvolta sfociava in sanguigne manifestazioni di rabbia o di affetto, e che la distinguevano, oltre come inarrivabile interprete, come donna forte e sensibile, anche se profondamente tormentata. Cresciuta dalla nonna materna in condizioni di estrema povertà, Anna Magnani comincia molto presto a cantare nei cabaret e nei night-club romani e contemporaneamente studia all’Accademia d’Arte Drammatica. Tra il 1929 e il 1932 lavora nella compagnia teatrale diretta da Dario Niccodemi e nel 1934 passa alla rivista. Diviene ben presto uno dei nomi più richiesti del teatro leggero italiano. Lavora con Vittorio De Sica e con Totò, fino a quando arriva la sua completa rivelazione nel film neorealista “Roma città aperta” (1945) di Roberto Rossellini, con il quale avrà una burrascosa ma intensa relazione amorosa. Nel 1948 Rossellini la chiama per interpretare l’episodio La voce umana (tratto dall’atto unico di Jean Cocteau) del film “L’amore” (1948), nel quale l’attrice si cimenta in un appassionato ed angoscioso soliloquio, un grande pezzo di bravura interpretativa, la telefonata di una donna abbandonata dall’amante. Nel 1951 un altro grande ruolo: quello della donna frustrata che trasmette le sue illusioni ed i suoi sogni infranti nell’impossibile carriera cinematografica della figlia, a costo anche di mettere in crisi il suo matrimonio, nell’amaro “Bellissima” (1951) di Luchino Visconti. Anche questo film le vale un meritatissimo Nastro d’argento. Il 1955 è l’anno in cui Anna Magnani vince addirittura il premio Oscar per la sua interpretazione nel film di Daniel Mann, “La rosa tatuata” (The Rose Tatoo, 1955), con Burt Lancaster, tratto dal romanzo diTennessee Williams. In seguito sarà interprete di pellicole di media-alta qualità, come “Suor Letizia” (1956), “Nella città dell’inferno” (1958) e “Risate di gioia” (1960), il primo e unico film che la vede accanto al suo vecchio compagno di palcoscenico Totò. Nel 1962 la Magnani prende parte al film “Mamma Roma” di Pier Paolo Pasolini. Gli anni ’60 non le offrono molto a livello cinematografico, così Anna Magnani si rituffa nel teatro, interpretando “La lupa” di Verga, diretta da Franco Zeffirelli, e “Medea” di Anhouil, diretta da Giancarlo Menotti, che la vedono trionfare su tutti i più grandi palcoscenici d’Europa.  Ma ecco che negli ultimi anni Anna Magnani vive un’altra stupenda esperienza artistica, quella della televisione. Tra il 1971 e il 1973 interpreta quattro stupendi film-tv scritti e diretti da Alfredo Riannetti. La sua ultima, breve, apparizione sugli schermi è stata nel film “Roma” (1972) di Federico Fellini, nella parte di se stessa.
L’attrice romana aveva avuto un figlio dall’attore Massimo Serato. Il ragazzo era stato colpito dalla poliomielite, e la madre aveva dedicato il resto della sua vita ad occuparsi di lui. La grande Anna Magnani muore di cancro a Roma il 26 settembre 1973, all’età di sessantacinque anni, assistita fino all’ultimo dall’adorato figlio Luca.

Mont(1870 -1952) Maria Montessori nasce a Chiaravalle (Ancona) il 31 agosto 1870 da una famiglia medio borghese. Trascorre l’infanzia e la giovinezza a Roma dove decide d’intraprendere studi scientifici per diventare ingegnere, un tipo di carriera che a quel tempo era decisamente preclusa alle donne. I suoi genitori l’avrebbero voluta casalinga, come la maggior parte delle donne della sua generazione. Grazie alla sua ostinazione e all’ardente desiderio di studiare, Maria riesce però a piegare l’ottusità della famiglia, strappando il consenso per l’iscrizione alla facoltà di medicina e chirurgia dove si laurea nel 1896 con una tesi in psichiatria. Per rendersi ben conto quale sforzo dovette costarle questo tipo di scelta e quali sacrifici dovette intraprendere, basti dire che, nel 1896, diventò la prima dottoressa d’Italia.
I primi passi della sua straordinaria carriera, che la porteranno a diventare un vero e proprio simbolo e un’icona del filantropismo, la vedono alle prese con i bambini disabili, di cui si prende amorevolmente cura e a cui rimarrà affezionata per il resto della sua vita, dedicandovi tutti i propri sforzi professionali. Intorno al 1900 inizia un lavoro di ricerca presso il manicomio romano di S. Maria della Pietà dove, tra gli adulti malati di mente, si trovavano bambini con difficoltà o con turbe del comportamento, i quali sono rinchiusi e trattati alla pari degli altri malati mentali adulti e in stato di grave abbandono affettivo. Dopo numerosi tentativi, anni di osservazioni e prove sul campo, la Montessori arriva ad elaborare un nuovo e innovativo metodo di istruzione per bambini disabili.Il risultato di questo sforzo conoscitivo la porta ad elaborare un metodo di insegnamento del tutto differente da qualsiasi altro in uso all’epoca. I risultati sono talmente sorprendenti che, addirittura, in una prova controllata da esperti e dalla stessa Montessori, i bambini disabili ottengono un punteggio più alto di quelli considerati normali. Ma se la stragrande maggioranza delle persone si sarebbe ritenuta soddisfatta da un tale risultato, questo non vale per Maria Montessori che viceversa ha una nuova, propulsiva idea (da cui si può ben valutare il suo eccezionale spessore umano). La domanda di partenza che si pone è: “Perché i bambini normali non possono trarre profitto dallo stesso metodo?”. Detto fatto, apre allora una “Casa dei Bambini” nelle borgate di Roma, uno dei suoi primi centri. Maria Montessori è stata anche scrittrice e ha esposto i suoi metodi e i suoi principi in numerosi libri. In particolare, nel 1909 pubblica “Il metodo della pedagogia scientifica” che, tradotto in numerosissime lingue, darà al metodo Montessori una risonanza mondiale. Visse in diverse parti d’Europa prima di far ritorno in Italia, dopo la caduta del fascismo e la fine della Seconda Guerra Mondiale. Muore il 6 maggio 1952 a Noordwijk, in Olanda, vicino al Mare del Nord. La sua opera continua a vivere attraverso le centinaia di scuole istituite a suo nome nelle più disparate parti del globo. Durante gli anni ’90 il suo volto è stato raffigurato sulle banconote italiane da Mille Lire, rimpiazzando quello di Marco Polo, e fino all’entrata in vigore della moneta unica europea.

te(1900 -1980) Nata nel 1900 a Torino da famiglia operaia e costretta ad abbandonare molto presto la scuola, continuò a istruirsi da autodidatta, svolgendo vari mestieri.
Nel 1921 fu fra le fondatrici del Partito comunista italiano; nell’ambiente politico torinese conobbe Luigi Longo, studente di ingegneria che ricopriva già incarichi di responsabilità politica. Si sposeranno nel 1926 e avranno tre figli, uno dei quali morirà in tenera età. Nel gennaio 1926 i due espatriano, stabilendosi prima a Mosca e poi a Parigi. Da qui Teresa Noce compì numerosi viaggi clandestini in Italia per svolgervi propaganda e attività antifascista. Nei primi anni trenta, fece ritorno a Mosca con Longo e, quindi, nuovamente a Parigi, dove partecipò, con Xenia Silberberg, alla fondazione del giornale Noi donne, inizialmente uscito come foglio clandestino. Nel 1936 insieme con il marito si recò in Spagna tra i volontari accorsi in difesa della Repubblica dopo lo scoppio della guerra civile spagnola, nel corso della quale curò la redazione del giornale degli italiani combattenti nelle Brigate internazionali, Il volontario della libertà. Lì assunse il nome di battaglia di Estella.
Rientrata in Francia, dove pubblicò, nel 1937, Gioventù senza sole, romanzo autobiografico dedicato al racconto della sua giovinezza torinese, allo scoppio della Seconda guerra mondiale venne internata nel campo di Rieucros; liberata per intervento delle autorità sovietiche e autorizzata a lasciare la Francia e a ritornare a Mosca, dove vivevano i figli, ne fu impedita dall’invasione tedesca dell’Unione Sovietica, avvenuta nel giugno 1941. Rimase in Francia, a Marsiglia, dove prese a lavorare per il Partito comunista francese come responsabile della MOI (Mano d’opera immigrata) e partecipò alla Resistenza nel gruppo dei Francs-tireurs-et-partisans. Nel 1943 venne arrestata e, dopo alcuni mesi di  carcerazione, deportata in Germania, prima nel campo di concentramento di Ravensbrück, poi in Baviera a Flossenbürg e infine a Holleischen, campo cecoslovacco in cui furono deportati molti prigionieri quando, nell’autunno del 1944, il lager bavarese fu chiuso. A Holleischen fu adibita a lavoro forzato in una fabbrica di munizioni fino alla liberazione del campo da parte dell’esercito sovietico. Alla fine della guerra, ritornata in Italia, il 2 giugno 1946 fu tra le 21 donne elette all’Assemblea costituente italiana; insieme con Maria Federici (DC), Nilde Iotti (PCI), Lina Merlin (PSI), Ottavia Penna (Uomo Qualunque) fu una delle cinque donne entrate a far parte della Commissione speciale incaricata di elaborare e proporre il progetto di Costituzione da discutere in aula, divenuta nota col nome di Commissione dei 75, presieduta da Meuccio Ruini, già presidente del Consiglio di Stato. Fu segretaria nazionale della FIOT, il sindacato delle operaie tessili e nel 1948 fu eletta nella prima legislatura del parlamento repubblicano, nel quale si distinse come proponente della legge 26 agosto 1950 n. 860 per la “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri” che, sostituendo la precedente normativa in materia del 1934, costituì la base della legislazione sul lavoro femminile fino alle leggi degli anni settanta sulla parità tra donne e uomini. L’impegno sindacale portò Teresa Noce a ricoprire l’incarico di presidente dell’Unione Internazionale Sindacale dei Lavoratori tessili e dell’abbigliamento (UISTA) con sede a Varsavia e, da quando nel 1955 lasciò la segreteria della FIOT, divenne segretaria dell’UISTA stessa la cui sede venne spostata a Milano. Nel 1954, dopo essersi separata da Luigi Longo, si allontanò dalla vita politica attiva ritirandosi gradualmente a vita privata, ma dal 1959 fu attiva nel CNEL quale membro della CGIL; nel 1974 pubblicò la sua autobiografia, Rivoluzionaria professionale, che racconta, insieme alla sua storia personale, la vicenda del partito comunista italiano dalla sua fondazione. Morì a Bologna, all’età di 79 anni, il 22 gennaio 1980.

FracciFiglia di un tranviere, Luigi Fracci, sin dal 1946 studia alla scuola di ballo del Teatro alla Scala con Vera Volkova ed altri coreografi, diplomandosi nel 1954. Dopo solo due anni diviene danzatrice solista, quindi prima ballerina nel 1958. Da quell’anno le sue apparizioni sono state numerosissime. Tra la fine degli anni cinquanta e durante gli anni settanta danza con alcune importanti compagnie straniere, quali il London Festival Ballet, il Sadler’s Wells Royal Ballet, lo Stuttgart Ballet e il Royal Swedish Ballet. Dal 1967 è tra le artiste ospiti più apprezzate dell’American Ballet Theatre. La sua notorietà si lega alle interpretazioni di ruoli romantici e drammatici, quali Giselle, La Sylphide, Giulietta, Swanilda, Francesca da Rimini. Ha danzato con i migliori ballerini, tra i quali Rudolf Nureyev, Vladimir Vasiliev, Henning Kronstam, Mikhail Baryshnikov, Erik Bruhn, Gheorghe Iancu, Francesco Elio Bruno, Giuseppe Picone, Roberto Bolle. La Giselle danzata con Bruhn è indimenticabile e ne viene tratto un film nel 1969. Altrettanta fama le viene dal cimentarsi in opere contemporanee, quali Medea, Concerto barocco, Les demoiselles de la nuit, Il gabbiano, Pelléas et Mélisande, Il fiore di pietra. Il marito e regista Beppe Menegatti si occupa della regia di quasi tutte le creazioni da lei interpretate e ne cura scrupolosamente e diffusamente l’immagine mediatica. Nel 1982, è protagonista di una fiction televisiva: compare infatti nello sceneggiato RAI, diretto da Renato Castellani, Verdi, dove interpreta il ruolo di Giuseppina Strepponi. Alla fine degli anni ottanta dirige il corpo di ballo del Teatro San Carlo di Napoli. Molte restano, negli anni successivi, le sue interpretazioni: Il pomeriggio di un fauno, Eugenio Onieghin, La vita di Maria, La bambola di Kokoschka,La primavera romana della signora Stone con Giuseppe Picone ed Alma Manera con la regia di Beppe Menegatti per citare solo alcune delle principali. Dal 1996 al 1997 dirige il corpo di ballo dell’Arena di Verona. Dal 1994 è membro dell’Accademia di Belle Arti di Brera, dal 1995 è presidente dell’associazione ambientalista Altritalia Ambiente e nel 2004 viene nominata Ambasciatrice di buona volontà della FAO. Dal novembre del 2000 al luglio del 2010 dirige il corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma. Ne incrementa la produzione nel repertorio tradizionale (con gli allestimenti de Il lago dei cigni, La bella addormentata, Lo schiaccianoci, Raymonda, Don Quixote, Le Corsaire, Romeo e Giulietta, Les Sylphides e Giselle) ed in quello firmato da Diaghilev per i Ballets Russes (da La sagra della primavera nella ricostruzione di Millicent Hodson a Shéhérazade, L’uccello di fuoco e Petruška nelle versioni di Andris Liepa). Il mancato rinnovo del suo contratto da direttrice – avvenuto nel clima tesissimo per la riforma delle fondazioni liriche del ministro della Cultura Sandro Bondi – scatena una dura polemica che il 17 maggio 2010, nel corso di una manifestazione sindacale, culmina in un clamoroso attacco verbale della ballerina al sindaco di Roma Gianni Alemanno. Dal giugno 2009, è assessore alla Cultura della Provincia di Firenze.

Gari(1821 –  ) il vero nome completo è Ana Maria de Jesus Ribeiro da Silva  nasce il 30 agosto 1821 a Morrinhos, nello Stato brasiliano di Santa Catarina. Il padre è il mandriano Bento Ribeiro da Silva, la madre è Maria Antonia de Jesus Antunes. I genitori hanno dieci figli e Ana Maria è la terzogenita. Riceve un’istruzione elementare, è molto acuta e intelligente. Il padre Bento muore presto così come tre dei suoi fratelli, per cui la madre Maria Antonia deve occuparsi della famiglia molto numerosa, che è precipitata in una situazione di estrema indigenza, da sola. Le figlie maggiori si sposano in giovane età. Ana sposa Manuel Giuseppe Duarte alla giovane età di quattordici anni nella città brasiliana di Laguna. Il marito svolge più professioni, il calzolaio, il pescatore, avendo degli ideali conservatori. Nel 1839 Giuseppe Garibaldi giunge nella città di Laguna con l’obiettivo di conquistarla in modo tale da fondare la Repubblica Juliana. Si è rifugiato nell’America meridionale, poiché condannato a morte in Italia per avere partecipato ai moti risorgimentali e per essersi iscritto all’organizzazione di Giuseppe Mazzini, la Giovine Italia.
Dopo essere arrivato nella città, nel mese di luglio, Garibaldi conosce Ana, rimanendo molto affascinato dalla sua bellezza e dal suo carattere. Presto deve lasciare la città di Laguna e Ana, dopo avere abbandonato il marito, decide di partire con lui, seguendolo nelle sue avventure. Combatte accanto al compagno Giuseppe e ai suoi uomini, difendendo le armi in occasione delle battaglie via terra e via mare. A Mostardas, vicino a San Simon, il 16 settembre 1840 nasce il loro primo figlio che viene chiamato Menotti per ricordare l’eroe italiano Ciro Menotti. Dodici giorni dopo la nascita del figlio, Ana detta Anita, riesce a salvarsi nuovamente dal tentativo di cattura da parte delle truppe imperiali che hanno circondato la sua casa e a fuggire a cavallo con in braccio il piccolo Menotti.Dopo quattro giorni passati nel bosco, viene ritrovata insieme al figlio da Garibaldi e i suoi uomini. La famiglia Garibaldi vive momenti difficili anche dal punto di vista economico, poiché Giuseppe rifiuta i soldi che gli vengono offerti dalle persone che sta aiutando. L’anno dopo i due coniugi lasciano il Brasile, ancora colpito dalla guerra, per trasferirsi a Montevideo, in Uruguay.
Nella città la famiglia prende una casa in affitto. In quegli anni hanno altri tre figli: Rosita che muore alla tenera età di due anni, Teresita e Ricciotti. Nel 1842 Ana e Giuseppe Garibaldi si sposano a Montevideo. Cinque anni dopo Anita, insieme ai piccoli, segue il compagno in Italia. A Nizza i due sono accolti dalla mamma di Giuseppe, Rosa. In Italia diventa la moglie del Generale Giuseppe Garibaldi, che deve guidare il Paese verso un sogno, l’Unità nazionale. Quattro mesi dopo l’arrivo in Italia, Giuseppe Garibaldi deve partire alla volta di Milano in occasione dello scoppio dei moti risorgimentali (“Le Cinque giornate di Milano”). Nel 1849 è nominato deputato della Repubblica Romana che è guidata da Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi e Carlo Armellini. Anita, in quest’occasione, lascia Nizza per partire verso Roma, con l’obiettivo di vedere il marito con cui condivide gli stessi ideali rivoluzionari. Quindi torna sul terreno di battaglia molto presto, perché il Papa Pio IX, avendo il sostegno degli eserciti spagnolo, borbonico e francese, mira alla riconquista di Roma. I garibaldini tentano di difendere eroicamente Roma con tutte le loro forze, ma la superiorità degli eserciti che aiutano il Papa è devastante. La Repubblica Romana cade in mano nemica dopo quattro settimane dalla sua nascita. Anita in quel momento si trova al fianco del marito e, dopo essersi tagliata i capelli e vestita da uomo, decide di combattere insieme a lui. I garibaldini hanno come obiettivo quello di lasciare Roma e di raggiungere la Repubblica di Venezia fondata da Mazzini. Il generale italiano e sua moglie attraversano con i loro uomini l’area appenninica, trovando sempre l’aiuto delle popolazioni locali. Durante il viaggio la donna contrae la malaria e nonostante potesse essere anche aiutata dalle popolazioni che le offrono la loro ospitalità, è decisa a continuare il viaggio. I due coniugi e gli altri volontari arrivano a Cesenatico, si imbarcano, ma al loro arrivo a Grado trovano una situazione difficile, poiché iniziano dei cannoneggiamenti.
Dopo essere arrivati a Magnavacca, continuano il tragitto a piedi aiutati sempre dalla gente del posto.
Dopo tanta fatica, giungono a Mandriole di Ravenna, dove vengono ospitati da Stefano Ravaglia, un fattore. Dopo essere stata stesa su un letto, Anita Garibaldi muore a causa della malaria il 4 agosto 1849. Il corpo della donna viene sepolto dal Ravaglia nel campo chiamato Pastorara. Trovato pochi giorni dopo da tre piccoli pastori, è sepolto senza nome nel cimitero di Mandriole. Dopo dieci anni, Garibaldi si reca a Mandriole per avere le spoglie dell’amata moglie e portarle nel cimitero di Nizza. Nel 1931 il corpo di Anita viene trasferito per volontà del governo italiano nel Gianicolo, a Roma. Accanto a questo è stato eretto in suo nome anche un monumento che la rappresenta a cavallo con il figlio in braccio.

Pivano(1917 – 2009 ) Giornalista, critico musicale e traduttrice, Ferdinanda Pivano è stata una figura importantissima nella scena culturale italiana: il suo contributo alla divulgazione della letteratura americana in Italia è considerato preziosissimo.
Nasce a Genova il 18 luglio 1917. E’ adoloscente quando con la famiglia si trasferisce a Torino. Qui frequenta il liceo classico “Massimo D’Azeglio”, dove tra i suoi insegnanti vi è Cesare Pavese. Si laurea in Lettere nel 1941; la sua tesi (in Letteratura americana) verte su “Moby Dick” il capolavoro di Herman Melville e viene premiata dal Centro di Studi Americani di Roma. E’ il 1943 quando inizia la sua attività letteraria, sotto la guida di Cesare Pavese, con la traduzione  dell'”Antologia di Spoon River” di Edgar Lee Masters. La sua prima traduzione (sebbene sia parziale)viene pubblicata per Einaudi.
Sempre nello stesso anno consegue la laurea in Filosofia con il professore Nicola Abbagnano, di cuiFernanda Pivano sarà assistente per diversi anni.  La sua carriera di traduttrice prosegue con molti noti e importanti romanzieri americani: Faulkner, Hemingway, Fitzgerald, Anderson, Gertrude Stein. Non è raro che prima di ogni traduzione la scrittricepreponga articolati saggi critici, che compiono un’analisi biografica e sociale dell’autore.
La Pivano ha avuto anche un ruolo di talent scout editoriale, suggerendo la pubblicazione di opere di scrittori contemporanei statunitensi, da quelli già citati fino a quelli del cosiddetto “dissenso negro” (ad esempio Richard Wright), dai protagonisti del dissenso non violento degli anni ’60 (Allen Ginsberg, William Burroughs, Jack Kerouac, Gregory Corso, Lawrence Ferlinghetti) fino ad autori giovanissimi quali David Foster Wallace, Jay McInerney, Chuck Palahnjuk, Jonathan Safran Foer, Bret Easton Ellis. Di quest’ultimo Fernanda Pivano ha inoltre scritto un lungo saggio che costituisce un riassunto storico del minimalismo letterario americano. La Pivano presto si afferma come saggista confermando un metodo critico basato sulla testimonianza diretta, sulla storia del costume e sull’indagine storico-sociale degli scrittori e dei fenomeni letterari. Divenendo ambasciatrice e instaurando amicizie con autori leggendari, Fernanda Pivano diviene nel tempo a tutti gli effetti protagonista e testimone dei più interessanti fermenti letterari di quegli anni. Incontra Ernest Hemingway nel 1948 a Cortina; con lui instaura un intenso rapporto professionale e di amicizia. L’anno successivo sarà pubblicata la sua traduzione di “Addio alle armi” (Mondadori). Il suo primo viaggio negli USA risale al 1956; sarà poi seguito da numerosi altri in America, India,Nuova Guinea, Mari del Sud, oltre a numerosi altri Paesi orientali e africani.
E’ anche autrice di alcune opere di narrativa dove sullo sfondo è possibile scorgere risvolti velatamente autobiografici: nei suoi lavori Fernanda Pivano riporta spesso ricordi, impressioni ed emozioni di viaggio, raccontando di incontri con personaggi dell’ambiente letterario.  Durante la sua carriere la scrittrice è inoltre stata considerata un’esperta e un’apprezzato critico dimusica leggera italiana e internazionale. Innato il suo amore per Fabrizio De André. E’ rimasta famosa la risposta che diede in un’intervista quando le venne chiesto se Fabrizio De André fosse il Bob Dylan italiano: “Credo che Bob Dylan sia il Fabrizio De André americano!”.  Fernanda Pivano è scomparsa all’età di 92 anni il 18 agosto 2009.

Mafai(1926 – 2012) Figlia del pittore Mario Mafai, fondatore con Antonietta Raphael e con Scipione della “Scuola romana”, aveva preso parte, giovanissima, alla Resistenza nella Capitale. Dopo la Liberazione si è impegnata nell’attività politica e nel giornalismo. Dal 1951 al 1956 è stata assessore comunista al Comune di Pescara. Il 1957 la vede a Parigi come corrispondente del settimanale Vie Nuove. Nel 1960 è redattrice parlamentare dell’organo del PCI l’Unità. Dal 1965 al 1970 ha diretto Noi Donne. Inviato speciale prima di Paese Sera e poi di la Repubblica, ha presieduto dal 1983 al 1985 la Federazione Nazionale della Stampa Italiana. Ha scritto molti libri, dei quali ricordiamo qui, del 1979. L’apprendistato della politica: le donne italiane nel dopoguerra. Nel 1992 ha pubblicato Il lungo freddo: storia di Bruno Pontecorvo, lo scienziato che scelse l’URSS. Del 1996 sono: Botteghe Oscure addio:com’eravamo comunisti e Dimenticare Berlinguer: la sinistra italiana e la tradizione comunista, che vinse il “Premio Cimatile”. Dell’anno successivo è Il sorpasso: gli anni straordinari del miracolo economico, 1958-1963. Con Vittorio Foa e Alfredo Reichlin ha pubblicato nel 2002 Il silenzio dei comunisti. Di Miriam Mafai (che è stata per molti anni compagna di Giancarlo Pajetta, che è stata anche parlamentare – eletta come indipendente del Partito Democratico della Sinistra – e che nel 2005 ha ottenuto il “Premio Montanelli” per il suo contributo allo sviluppo della cultura italiana e all’emancipazione delle donne), nel 2006 è uscito Diario italiano, 1976/2006. Tra i temi di maggior interesse e attualità, Miriam Mafai si è espressa su divorzio, aborto, referendum, laicità dello Stato, legge sulla fecondazione assistita e condizione femminile, oltre che sui temi più generali della politica e dei diritti dei lavoratori. Per questo suo impegno sociale e su tematiche care alle donne Eugenio Scalfari, fondatore de la Repubblica ebbe modo di definirla “una donna laica e libera” ed ancora, riferendosi ai trascorsi degli anni cinquanta nel Partito Comunista Italiano “una femminista nel partito più maschilista di tutti”. Nonostante questa sua forte tensione morale seppe sempre coniugare la forza dell’impegno con la dolcezza del carattere che le era proprio, meritando da Ezio Mauro, direttore de la Repubblica al momento della scomparsa, la definizione di “fortissima e dolcissima”. Il giorno della scomparsa il Presidente della Repubblica Italiana in carica, Giorgio Napolitano, la ricorda in un messaggio di cordoglio ufficiale rammentandone la forte personalità, il temperamento morale alieno da convenzionalismi e faziosità ed il grande talento giornalistico uniti alla combattività che le permisero di divenire una significativa scrittrice strettamente legata al movimento per l’emancipazione delle donne e, più in generale, all’attività politica della sinistra italiana. Il messaggio si conclude con un ricordo personale che ne sottolinea l’umanità: «Nel ricordare la schietta amicizia che ci ha così a lungo legati, mi resta vivissima l’immagine della sua umanità appassionata, affettuosa ed aperta». È morta a Roma il 9 aprile 2012.

1asRosa Luxemburg (1871 – 1919) di origini polacche, fu una politica, filosofa e rivoluzionaria tedesca, grande teorica del socialismo

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Indira Gandhi  (1917 -1984) “Non ho l’ambizione di vivere a lungo, ma sono fiera di mettere la mia vita al servizio della nazione. Se dovessi morire oggi, ogni goccia del mio sangue fortificherebbe l’India”

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56Simone de Beauvoir (1908 – 1986) Considerata la madre del movimento  femminista, nato durante la contestazione studentesca del maggio 1968. Fu una grande scrittrice e filosofa francese.

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Anne Frank (1929 -1945)  Sognava di diventare, da grande, una scrittrice. Morta bambina nel campo di concentramento di Bergen-Belsen, continua a far parlare di sé attraverso il suo diario, scritto durante l’olocausto.
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67Frida Kahlo (1907 1954) Coraggiosa pittrice del Messico, “i Piedi, a cosa mi servono se ho ali per volare”. Militante, donna dirompente che ha vissuto fino in fondo una passione d’amore anche sofferta e ha saputo trascendere nei suoi quadri la malattia del corpo, una malattia che l’ha costretta all’immobilità negli ultimi anni della sua vita.

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71Marie Curie (1867 – 1934) La prima grande scienziata della storia. Premio Nobel per la fisica e per la chimica per i suoi studi sulla radioattività

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Margaret Thatcher (1925 – 2013) La Lady di ferro, una delle donne più influenti nella storia inglese ma che non si è distinta per  l’allargamento dei diritti, né degli uomini né delle donne.

Pussy Riot è un gruppo punk rock russo, femminista e politicamente impegnato che agisce sotto rigoroso anonimato.Tre donne del gruppo sono state arrestate con l’accusa di “teppismo e istigazione all’odio religioso” per aver messo in scena, durante una celebrazione religiosa nella Cattedrale di Cristo Salvatore, un’esibizione non autorizzata contro Putin.

Eleanor Roosevelt (1884 – 1962) La First lady che lottava fermamente per i diritti civili. Tra le prime femministe, fu un’attivista molto impegnata. Ebbe un ruolo importante nella creazione delle Nazioni Unite e presiedette la commissione che approvò la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Emanuela Loi ( 1967 – 1992) è stata la prima poliziotta ad essere uccisa dalla mafia, morì nella strage di Via D’Amelio il 19 luglio del 1992. Emanuela aveva detto: “Se ho scelto di fare la poliziotta non posso tirarmi indietro. So benissimo che fare l’agente di polizia in questa città è più difficile che nelle altre, ma a me piace”. Amava il suo lavoro ma non trascurava gli affetti. Emanuela era prossima al matrimonio. Le è stata conferita la Medaglia d’oro al valor civile con questa motivazione:
«Preposta al servizio di scorta del giudice Paolo Borsellino, pur consapevole dei gravi rischi cui si esponeva a causa della recrudescenza degli attentati contro rappresentanti dell’ordine giudiziario e delle Forze di Polizia, assolveva il proprio compito con grande coraggio e assoluta dedizione al dovere. Barbaramente trucidata in un proditorio agguato di stampo mafioso, sacrificava la vita a difesa dello Stato e delle Istituzioni.»

Malala Yousafza la studentessa sedicenne e attivista pakistana, lo scorso 12 luglio, la studentessa e attivista pakistana che ha tenuto all’ONU un discorso che ha lasciato tutti esterefatti dopo essere stata quasi uccisa da un assalto talebano. Nel discorso sulla necessità di istruzione ai bambini di tutto il mondo ha affermato: “Non possiamo farcela se metà di noi ragazze non ha accesso alla scuola .”
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Cécile Kyenge ex Ministro dell’Integrazione, contro cui si sono scagliati i leghisti e i razzisti italiani per tutta la durata della legislatura, condendo gli attacchi con insulti razzisti di ogni genere, dall’orango al gorilla della pubblicità di una nota bevanda. E Matteo Renzi non ha avuto il coraggio di riconfermarla, grande delusione per la mancanza di coraggio dimostrato da parte di chi si propone  come” nuovo e aperto ai diritti”;

Se non ora quando ? la voce di ribellione delle donne che vogliono reagire contro modelli di violenza, di mancanza di rispetto  e movimento che  chiede pari dignità e pari opportunità.

Teresa Cordopatri è una baronessa calabrese che lotta contro il potere mafioso. I suoi uliveti sono stati tenuti sotto sequestro dalla ‘ndrangheta per oltre 30 anni e nel 1991 suo fratello è stato ucciso. Per quei terreni sono state pagate anche le tasse, la protesta della donna ha visto momenti drammatici quando si è incatenata davanti al tribunale.
Queste le sue parole: “Sono una donna sola, impoverita dalla mafia, privata violentemente dell’unico affetto che sarebbe stato di conforto alla mia vecchiaia. “.

Anna Stepanovna Politkovskaja (1950 – assassinata il 7/10/2006) è stata una giornalista russa, molto conosciuta per il suo impegno sul fronte dei diritti umani, per i suoi reportage dalla Cecenia e per la sua opposizione al Presidente della Federazione Russa Vladimir Putin.

Miriam Makeba (1932 – 2008) Cantante sudafricana – chiamata Mama Afrika – nota, anche, per il suo impegno politico contro il regime dell’apartheid e per essere stata delegata alle Nazioni Unite. È morta nella notte fra il 9 e il 10 novembre 2008 per un attacco cardiaco a Castel Volturno dopo essersi esibita in un concerto contro la camorra, che pochi mesi prima aveva lì ucciso sei immigrati africani. Il concerto era dedicato allo scrittore Roberto Saviano.

Alda Merini ( 1932 – 2009) “Per questo il manicomio è stato per me il grande poema di amore e di morte”. La “poetessa dei Navigli”, donna che ha vissuto l’esilio della malattia mentale e che ha cantato gli esclusi.

Lucia Annibali, l’avvocatessa sfregiata con l’acido dall’ex fidanzato e tutte le donne che hanno subito violenze “per amore” e che hanno avuto il coraggio di ripartire e di affrontare quei mostri a testa alta.

Una menzione speciale agli uomini che rispettano le donne: Tutti gli uomini dovrebbero essere femministi. Se gli uomini si preoccupassero dei diritti delle donne il mondo diventerebbe un posto più buono. Quando la parità delle donne è legittimata possiamo beneficiarne tutti, perché conduce a una società migliore.

Madre Teresa di Calcutta (1910 – 1997)  Una vita intera spesa a prendersi cura dei “più poveri dei poveri e di tutte quelle persone che si sentono non volute, non amate, non curate dalla società, tutte quelle persone che sono diventate un peso per la società e che sono fuggite da tutti”

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Rivolgendo uno  sguardo al  passato della nostra città  ritroviamo donne che ci hanno tramandato la libertà e il benessere materiale in cui gran parte di noi oggi vive e che ci hanno lasciato profondi messaggi di benessere etico e spirituale.

Donne operaie alla filanda, nei tabacchi ed alla Fornace
1920330_586436841449244_790645478_n( foto Argentina Graziosi)
filanda Alessandrini  nell’anno 1940
filanda Alessandrini( foto Luciano Francioni)
Le filande costituivano un’importante fonte di reddito familiare, grazie all’impegno e alla tenacia di tante donne che, per quanto prostrate dai massacranti ritmi di lavoro e dalle terribili condizioni dei locali, trascorrevano in filanda gran parte della giornataLa vita quotidiana delle filandaie era veramente dura, quasi insopportabile, anche se a quei tempi la mancanza delle comodità e degli agi attuali rendeva il tutto più sopportabile, se non addirittura doveroso.
La condizione della donna in fabbrica era resa ancora più difficile dall’inesistenza del congedo di maternità introdotto solo nel 1930: si trattava di un mese appena di astensione dal lavoro prima del parto. Un lavoro in fabbrica privo di tutele: dodici ore al giorno in condizioni durissime, un salario basso corrispondente ai giorni di lavoro effettivamente prestati e bastante appena per soddisfare i bisogni primari, un’età minima di dodici anni per l’assunzione. Inoltre al lavoro in fabbrica spesso si associava, per molti, il lavoro nelle campagne. Solo nel 1919  e dopo  una lunga e dura lotta, le filandaie ebbero un aumento di salario, la riduzione dell’orario giornaliero ad otto ore ed il riconoscimento del diritto alla pensione.
Per le donne osimane il lavoro era anche la Fornace e i tabacchi anche qui il lavoro era molto pesante e faticoso.  Lavorare ai tabacchi significava per le  donne stare ore in piedi a lavorare, dopo essersi levate presto per cucinare il pranzo per i mariti operai e per mandare i figli a scuola; e finito il lavoro, la sera, le faccende di casa da sbrigare.

Le foto, pubblicate su Facebook nel gruppo “Sei di Osimo se”  ci aiutano  a preservare dall’oblio le sofferenze, i sacrifici, i dolori della nostra  gente,   nei secoli scorsi, e spesso si trattava di donne che si spezzavano la schiena e si vedevano devastare le mani dall’artrite, per poche lire.

Un’ultima pensiero  lo rivolgo alle BADANTI che anche ad Osimo sono sempre più numerose e le si incontrano nei loro giorni liberi in giro per la città.  Nemmeno a chi ce la vuole a morte con gli extracomunitari verrebbe mai in mente di contestare le badanti. Sono figlie del nostro tempo, sia perché chi viene da paesi più poveri si adatta ai lavori più ingrati pur di sopravvivere, sia per l’invecchiamento della popolazione nei paesi più ricchi. E’ un fenomeno che conosciamo bene: anziani con le patologie più varie, spesso drammaticamente soli; famiglie raramente in grado di assisterli esclusivamente con le proprie forze. Per anni le badanti sono state sfruttate, pagate in nero; ora sono trattate in maniera più decorosa. Ma è un lavoro di assistenza e di cura della casa, in genere  duro e  sgradevole. Le badanti accompagnano molti dei nostri vecchi nell’ultimo scorcio della vita, offrendo un’assistenza che salvaguarda la dignità dell’anziano.  Anche per loro, le badanti, domani sarà l’8 marzo.
A tutte, e ad ognuna di Voi un abbraccio e   TANTI AUGURI.
Paola