Bontempo Silvia nata in Osimo il 10 luglio 1981.
Silvia Bontempo da via Pignocco in Spagna. Medico Pediatra a Barcellona, dopo aver esercitato la professione medica come volontaria in Equador, Perù, Bolivia, Cile, Argentina e Mozambico, sempre con lo stesso spirito: farsi carico delle esigenze dei più deboli e aiutare le persone in difficoltà.
Bontempo Silvia medico pediatra al servizio del sistema sanitario pubblico catalano
Innanzitutto un sincero ringraziamento a te, Paola Andreoni, per l’ iniziativa. Mi lusinga pensare che la mia storia possa essere considerata come spunto di riflessione per qualcun’ altro. Non ci siamo mai conosciute personalmente, ma le nostre traiettorie si sono comunque incrociate qui oggi, grazie a questa iniziativa; inizio quindi con le doverose presentazioni.
Sono Silvia Bontempo, nata a Osimo un caloroso 10 Luglio del 1981, e vissuta nella casa dei miei genitori che è sempre stata lì, in Via Pignocco: “in fondo al Guazzatore a sinistra”. Babbo Mario, tecnico della Telecom; mamma Donatella Ciminari, operaia in fabbrica.
Ho frequentato la scuola elementare Fornace Fagioli, vivendo il privilegio di ricevere gli insegnamenti dalla straordinaria maestra Clara Schiavoni, attualmente premiata scrittrice di romanzi storici. Dopo aver studiato le medie, alla scuola Caio Giulio Cesare, sono approdata alle cosiddette “scuole magistrali, dalle suore”, che nel mio caso, dopo la riforma scolastica, passarono a chiamarsi Liceo Socio Psico-Pedagogico “P.G. Frassati” di Osimo. Accompagnata da altre 15 compagne e un unico compagno di classe, abbiamo potuto godere degli ultimissimi anni di insegnamento del caro Don Aldo Compagnucci, il tutto diretto dalla nostra instancabile e appassionata, suor Eleonora.
Durante gli anni universitari, motivata dall’ amore per il teatro e il cinema che mi ha trasmesso proprio Don Aldo, ho lavorato per diversi anni come Capo maschera al nostro teatro cittadino: La Fenice di Osimo. Sin dal primo giorno della sua emozionante riapertura, sotto la guida di Manuela Castellani e l’ intramontabile Gabriele Santarelli, ho avuto il piacere di conoscere altri personaggi importanti per la nostra cittadina, come: Mauro Pellegrini (avvocato ed Assessore alla Cultura del nostro comune), Alessandro Marocchi e Luca Marchetti (che lavoravano come attori), Michele Pirani (attualmente cantante lirico e maestro di canto), Bruno Severini (rinomato fotografo), etc…
Nel 2007 mi sono laureata in Medicina e Chirurgia all’Università Politecnica delle Marche. La curiosità verso il nuovo, l’amore per il viaggio e la mia professione medica; mi hanno spinta a vivere prima l’ esperienza Erasmus a Cadiz (Spagna) nel 2005-2006, e poi un susseguirsi di altri viaggi in diversi Paesi. Ne elenco alcuni: Equador, Perú, Bolivia, Cile, Argentina, Mozambico.
Nel 2009, però, ho preparato forse le valigie più importanti, perché mi accompagnarono a Barcellona, città nella quale ancora vivo da allora. Una città che ha saputo accogliermi con affetto e generosità, tanto me, così come tutta la mia nuova famiglia.
Credo di essere una persona felice, sicuramente emotiva, curiosa e tendenzialmente positiva; a volte un po’ inquieta, ma sempre serena e appassionata. Medico pediatra, moglie, amica di tante splendide persone e, non da ultimo, sono stata scelta come madre da tre meravigliose creature: Emma, Anna e Giulia.
Il mio sogno professionale, poi realizzato, era ottenere una specializzazione che mi permettesse lavorare come pediatra ambulatoriale. Ho sostenuto l’esame di specializzazione in Spagna nel 2010, ed ottenuto un punteggio che mi ha permesso di intraprendere la specializzazione di medicina generale. Ho fatto pratica lavorando per l’ospedale “Clínic de Barcelona”, per circa quattro anni. Dopo aver ottenuto la specializzazione, ho lavorato come medico di base nella “Casa della Salute” (si tratta di un poliambulatorio pubblico) qui vicino casa, nel quartiere dove vivo: il “Poble Sec”, e nel contempo ho completato un master in Pediatria. Così finalmente, dal 2017, lavoro felicemente come medico pediatra, al servizio del sistema sanitario pubblico catalano.
Come dicono i nostri amici, la nostra è una famiglia europea e i nostri figli sono frutto della generazione Erasmus. Siamo Silvia e Johannes, una osimana ed un tedesco che si sono incontrati a Cadiz nel 2005, e si sono innamorati sotto al sole di una spiaggia dorata dell’ Andalusia, la quale, ironia della sorte, ha un nome italiano: spiaggia di Bologna. Una volta tornata a casa dal folle e intenso anno Erasmus, ho sentito la sensazione che uno dei miei due piedi se ne fosse definitivamente andato da Osimo, per non parlare poi della mia mente e del mio cuore. Quindi, una volta laureata nel 2007, anche l’ altro piede decise di rimettersi in marcia per ritrovare il primo. Dal 2007 al 2009, ho vissuto anni di voli frequenti Bologna – Berlino, di perfezionamento della lingua spagnola e di introduzione all’ idioma e cultura tedesche (si sa, con i suoceri bisogna capirsi).
Sono stati anche e soprattutto anni di volontariato in America Latina. Munita di una laurea fresca fresca, appoggiata ad una ONG tedesca, e accompagnata da una grande energia, ho lavorato per mesi realizzando progetti che avessero come obiettivo il miglioramento delle condizioni igienico sanitarie di alcune comunità indigene.
In particolare mi sono soffermata quattro mesi in Equador, cercando di trasmettere conoscenze basiche di rianimazione e primo soccorso, nozioni sull’ uso di medicinali più comuni; e tentare di mettere a conoscenza del servizio sanitario pubblico ecuadoriano, l ’ esistenza di certe comunità dimenticate, che vivono nel mezzo del Delta del fiume Guayas, vicino la città di Guayaquil. La difficoltà maggiore è stata ottenere tutto questo, senza “snaturare” o “violentare” la cultura delle persone locali. Non cadere cioè nell’ errore comune di arrivare con la superbia e arroganza occidentale del “io ti insegno come si fa”, stravolgendo i loro usi e costumi.
Tutte queste comunità indigene dispongono già di un “curanderos o curanderas”: persone molto importanti nei villaggi che, dotati di conoscenze ancestrali, tramandate di generazione in generazione e di “poteri curativi”, finiscono per essere figure fondamentali che accudiscono gli indigeni in caso di malattia. Consideriamo anche, aspetto non de tutto secondario, che l’ ospedale pubblico più vicino stava a sei ore di canoa a remi.
I metodi di cura erano tutt’ altro che scientifici, ma il mio compito non era ne sminuirli, ne ridicolizzarli; piuttosto effettuare una integrazione di conoscenze, che fosse soprattutto sostenibile nel tempo, anche e soprattutto in mia assenza. Posso ritenermi orgogliosa, perché ci sono riuscita. Dal 2008, in quella comunità di Cerrito de los Morrenos (così si chiama) , le persone sono state riconosciute dal ministero della salute (ho toccato porta per porta e conosciuto 550 persone, che sono finalmente risultate censite). Dal 2008 esiste un programma di medicina preventiva che prima non esisteva (a esempio: si vaccinano i bambini, si fa la profilassi malattie a trasmissione sessuale, si promuove l’ igiene dentale, etc); e le persone, per esempio, hanno capito che un antibiotico non toglie il mal di testa, un paracetamolo non è un anticoncezionale e le ferite non si curano mettendo terra sopra, etc. Mi hanno insegnato tanto quegli anni, soprattutto il rispetto verso gli altri. Una volta ritornata in Europa, io e Johannes, di comune accordo, abbiamo deciso di vivere nella stessa città, ma che non doveva essere ne in Italia , ne in Germania.
Preferivamo uno spazio “neutro” dove entrambi partissimo da zero. Quindi, quasi a occhi chiusi, con il mappamondo che girava e il dito puntato, la fortunata scelta cadde su Barcellona: città viva culturalmente, dai mille colori e sfaccettature, crudele e dura per certi versi; solare, allegra, calda ed accogliente per altri. E cosi è stato. Dopo due anni a Barcellona ci siamo sposati: prima con rito civile ad Osimo; poi , in un secondo momento, con un rito tutto nostro qui vicino a Barcellona. Abbiamo motivato e mobilitato tutti i nostri familiari e amici a seguirci su un isola, qui in Costa Brava, per celebrare il nostro amore per una settimana intera. Ovviamente la festa più bella che potevamo fare per noi, perché un po’ metafora della nostra vita: tante meravigliose persone insieme, di diverse età (venne anche mia nonna) e origini (tedeschi, francesi, spagnoli, italiani, croati, russi, peruviani, polacchi, messicani, e probabilmente dimentico qualcuno) tutti parteciparono alla celebrazione come meglio sapevano fare e desideravano partecipare: chi cucinava, chi suonava, chi decorava, chi pitturava, chi si inventava uno spettacolo, o chi semplicemente stava li, con tutta la sua positività, il tutto spontaneamente. Ah, che voglia di tornarci!
Durante l’ ultimo anno di specializzazione ho chiesto ed ottenuto la possibilità di lavorare due mesi in un ospedale rurale in Mozambico, nella cittadina di Chowke. Paese estremamente povero, e piagato da malattie mortali come la malaria, l’AIDS e la tubercolosi; cercai di apportare le mie conoscenze e dare letteralmente una mano a un gruppo minuscolo di 3 medici e 4 infermieri, nella gestione di un ospedale di 150 pazienti adulti, e 50 bambini; in cui tutti i medicinali scarseggiano, anche la morfina per accompagnare i malati terminali (l’80 % del totale). Non dimenticherò più certe immagini e certi suoni, violenti, disarmanti, strazianti; mai più. Da questo viaggio tornai devastata, soprattutto emotivamente, ma molto più consapevole di cosa significhi la povertà, le conseguenze della corruzione politica e la mancanza di cultura.
Tornai con il desiderio di donare vita, e quindi l’ anno successivo, nel 2014 ricevemmo Emma, seguita da Anna nel 2018 e Giulia che oggi ha appena quattro mesi.
Essendo madre, adesso capisco il timore che la mia famiglia aveva nel “lasciarmi andare”, soprattutto quando decisi di attraversare l’ Oceano, per poi avventurarmi in alcune realtà dove la povertà estrema, faceva da padrona. Devo comunque riconoscere che, nonostante i timori di mia madre, (accentuate dal fatto che nel 2006 rimase vedova dopo la morte del mio caro papà), lei seppe metterli da parte, ascoltando le mie necessità, così che, a denti stretti ha sempre approvato i miei viaggi. Sono altresì sicura che la paura e il timore vengano spesso dal “non sapere”. Adesso posso dire di avere un po’ di conoscenza e consapevolezza in più, che sono sicura mi aiuteranno ad appoggiare le mie figlie, qualora volessero avventurarsi in viaggi simili. I rischi ci sono sempre, ma esistono modi per evitarli. Le esperienze e le conoscenze di vita che poi entrano a far parte di noi e ci formano come esseri umani, non hanno prezzo.
Se qualcuno mi chiedesse se “il mio percorso scolastico in Italia mi è stato di aiuto”, potrei rispondere di SI. Alcuni professori e alcune professoresse, oltre ad essere stati trasmettitori di conoscenze sono stati veri e propri maestri di vita, che sicuramente hanno contribuito ad ampliare la mia mente e quindi di conseguenza i miei orizzonti. Mi piace ricordare e citare a riguardo: Clara Schiavoni, una maestra eccezionale, che con grande esperienza, ma soprattutto tanto amore per il suo lavoro, ha saputo trasmettermi il fondamentale amore per la lettura (insieme ad altre innumerevoli cose); Don Aldo. A lui devo l’ amore per la letteratura italiana e internazionale. In lui risiedono le mie radici e l’ amore per la la lingua italiana (ahimè oramai da me ampiamente maltrattata e sempre meno correttamente usata, mannaggia!). Un ricordo su tutti: le sue lacrime al leggerci Leopardi in classe, o la sua interpretazione della Divina Commedia. Sapeva trasformare quella cattedra in un palcoscenico. Indimenticabile.
Un ricordo speciale, anche, alla professoressa Carla Cesari, che ha saputo farmi amare la filosofia e grazie anche alla quale ho iniziato il processo di conoscenza interiore verso me stessa, tutt’ ora in cammino. Che dire dell’ Università? Ci sono tanti modi per approcciarsi alla medicina, come quello di lasciarla entrare nella tua vita per poi restituirla agli altri. Nel mio caso quest’ ultimo aspetto credo sia stato fondamentale: metterla al servizio degli altri. Questa consapevolezza, insieme al “potere” che regala la medicina a chi la possiede: di poter curare l’ altro, mi ha stimolato ad ampliare il mio concetto geografico di “altro”, così da poter arrivare a più gente possibile. Il mio percorso di specializzazione finale a Barcellona, in un ospedale così grande, e internazionale, dotato di un servizio di medicina tropicale così all’ avanguardia e stimolante, ha contribuito enormemente.
Barcellona mi ha accolta benissimo fin da subito. Probabilmente il fatto che conoscessi già lo spagnolo mi ha aiutato, anche se qui in Catalogna, si parla soprattutto il catalano, che è un’ altra lingua. In pochissimo tempo ho trovato casa e lavoro , ma soprattutto una “nuova famiglia acquisita” di amici e amiche. Come aneddoto carino devo dire che la “Osimo connection” mi ha aiutato molto all’ inizio: uno dei migliori amici di mio fratello (“i fratelli Bianchi”, originari di Montoro) vivevano qui nel 2009, e grazie anche a loro, l’ atterraggio a Barcellona è stato morbido e “familiare”.
Io e Barcellona ci siamo capite subito, fin dall’ inizio e non mi ha mai delusa. La città, e tutta la Catalogna in generale, offre tanto: arte, cultura, bellezze naturalistiche. Qui potete trovare interessantissimi musei dedicati a Mirò e Picasso, per non parlare del Museo Dalì a Figueres. Non mi dilungo sui ben noti architetti modernisti, perché ampiamente conosciuti, Gaudì il più famoso. Generalmente si da spazio agli artisti, o per lo meno si cerca di farlo, anche agli artisti così detti di strada. Il comune di Barcellona promuove delle vere e proprie audizioni ogni anno, rilasciando una “patente” ufficiale, che permette agli artisti di esprimersi nelle strade, nelle piazze, nelle spiagge, il tutto in maniera tutelata e rispettata. L’ offerta culturale, includendo teatri, mostre, musei e concerti è molto ampia, e può soddisfare quasi tutti i gusti ed è adatta a tutte le età. Parlando dei servizi, credo che il sistema sanitario pubblico sia eccellente, nonostante i tagli alle spese degli ultimi anni. Il sistema scolastico invece potrebbe migliorare (difficile burocraticamente il processo di iscrizione alle scuole, asili nidi un po’ cari, limitati aiuti alle famiglie più bisognose, qualità dell’ insegnamento con molti alti e bassi, spesso molta discontinuità della permanenza del gruppo docente). Le Università sono più economiche che in Italia, e a livello di insegnamento trovo fondamentale, parlando della medicina, inserire lezioni pratiche fin dal primo anno (e non solo dal quarto come in Italia); per non parlare poi dei medici Latino Americani che arrivano preparatissimi perché abituati a lavorare in guardia medica fin dai primissimi anni universitari. In Spagna, come in altri Paesi, si privilegiano gli esami orali solo su quesiti pratici e concreti; le nozioni si valutano sulla base di esami scritti e molto spesso con quesiti a risposta multipla. Lo trovo giusto da un lato, perché a mio parere, si ovvia la soggettività della valutazione; ma dall’ altro ricordo con affetto alcuni esami orali con i nostri professori, perchè solo discutendo e ragionando insieme, si finiscono per possedere nozioni importanti per tutta la vita; quindi forse proporrei un sistema misto di valutazione e meno classi frontali universitarie, a favore di quelle più’ pratiche e partecipative.
Mi manca l’Italia e la nostra Osimo ? C’è questa parola in tedesco che è “HEIMAT“. Viene tradotta da Google come “patria”, anche se la traduzione giusta per me sarebbe “casa”, intesa come “focolare”. E’ più cioè, un posto interiore, intimo; un po’ quel luogo in cui i ricordi sanno accarezzarti e avvolgerti come un balsamo. Ecco, se c’ è una cosa che mi manca dell’ Italia è il “mio Heimat”, che per me é: l’ odore del pollo arrosto o la “ciambella de nonna” la domenica, “senti parlà osimà supp’el corso”, la Piazza dell’ Erbe, le panchine di Piazzanova, le passeggiate e i luoghi segreti in campagna dove giocavo da bambina, la pizza di formaggio, le spiagge del Conero…… solo per nominarne qualche aspetto.
L’Italia, in generale, forse mi manca meno. Qui a Barcellona c’ è una grande comunità italiana, per cui è facile trovare dell’ ottima cucina, ci sono negozi fornitissimi di prodotti locali italiani esportati, ed in fondo non siamo poi così lontani geograficamente. Parlando della cultura italiana, beh quella me la porto con me, sempre. Cerco sempre di trasmetterla orgogliosa agli altri, nelle conversazioni, negli inviti a cena, in cucina, nel mio modo di essere in generale.
Solitamente torniamo in Osimo ogni anno d’estate, e rimaniamo 2-3 settimane. A mio marito e alle bimbe piace moltissimo Osimo, il Conero e le Marche in generale. Ho visto con molto piacere un avvicinamento all’ arte in generale, quella contemporanea e giovanile (come il dipinto sul tetto del mercato coperto o l’ esposizione dedicata a Bansky), così come quella classica, con la mostra a cura di Vittorio Sgarbi. Apprezzo anche i lavori di ristrutturazione fatti, e credo sia fondamentale continuare su questa strada di rinnovamento ed apertura artistica.
Come e cosa vorresti che cambiasse in meglio il nostro Paese e la nostra Osimo ? Per la nostra Osimo, credo fondamentale creare continuamente tempi e spazi per i giovani, dove potersi incontrare, parlare. Fomenterei sempre di più situazioni in cui le persone possano semplicemente esprimersi e possano essere viste, e ascoltate; la considero un ottimo presupposto per le future generazioni. Si fanno assemblee cittadine? Fomenterei gli incontri musicali di ogni tipo, includendo anche la danza, e cercherei di aprirci sempre più anche in ambito internazionale: gemellaggi tra scuole, corsi di lingua per varie fasce di età a prezzi accessibili, facilitare vacanze studio. Dall’ Italia in generale desidererei tantissimo che si svegliasse un po’ e che si aprisse, a vari livelli: vorrei che si aprisse di più mentalmente verso altre lingue e culture, e non si manifestasse così razzista. Vorrei che aprisse le porte ai bisognosi e meno fortunati, senza nascondersi dietro ad “argomentucci” mediocri e demagogici. Vorrei che il mio Paese aprisse gli occhi e riconoscesse le barriere che i nuovi fascismi e nazionalismi costruiscono; vorrei un’ Italia più femminista, dove finalmente esista un vera emancipazione e parità di genere.
Oggi mi sento una cittadina europea, con quello che ciò significa: godere di più libertà, avere più opportunità, più sicurezza, più diritti, più sviluppo. Far parte di questa ampia comunità, per esempio, vuol dire avere la possibilità di muoversi più liberamente, anche da un punto di vista commerciale, dentro un’ economia comune. Dà la possibilità di poter studiare senza molti ostacoli in qualsiasi Università pubblica europea, con una semplice omologazione dei titoli di studio. Mi dà sicurezza l’ idea dell’ esistenza di un grande gruppo che ci possa sostenere se ne avessimo la necessità, non solo mediante aiuti monetari, ma anche con un controllo internazionale sull’ attività politica dei singoli Paesi. Essere una cittadina europea, per me significa essere anche un po’ più libera, e avere più opportunità di lavoro. Non da ultimo la vedo come una garanzia di pace tra le nazioni in gioco. Per essere cittadini europei bisogna accettare il confronto con gli altri, sapersi mettere in gioco, saper vedere nel diverso una ricchezza e non una minaccia, senza perdere di vista la propria natura e le proprie origini. Per tutto questo, sicuramente, posso dire di sentirmi cittadina europea.
Come sta rispondendo la Spagna all’emergenza Coronavirus ? Forse la Spagna ha vissuto una situazione sovrapponibile all’ Italia, in termini di qualità del servizio sanitario pubblico e di numeri drammatici sull’ entità della pandemia. Dopo il durissimo lockdown dello scorso anno, adesso siamo più rilassati e fiduciosi verso gli effetti positivi della vaccinazione generale. Personalmente credo che il governo di centro sinistra che abbiamo, abbia saputo gestire il momento al meglio delle proprie possibilità, su ampia scala. Forse alcune decisioni, col senno di poi, sarebbero dovute essere state prese diversamente, con l’ attenuante (forse) che nessuno era preparato a questo. Noi sanitari non ci siamo mai arresi, anche grazie al supporto costante della gente comune. Solo un esempio: ogni sera, per 4 mesi consecutivi, alle 8, tutti uscivano dalle finestre e dai balconi per applaudirci; era meraviglioso. Un piccolo gesto che caricava di grandissima energia e speranza. Come medico, sicuramente una pandemia mondiale ha segnato per sempre non solo la mia storia, ma anche il mio modo di essere medico e concepire la medicina, soprattutto nel lavoro di tutti i giorni.
I miei progetti futuri ?
L’attraversamento delle frontiere è stato un mio desiderio fin dall’infanzia, comprese le frontiere mentali, non solo geografiche. Conoscere, scoprire, spostare, imparare: verbi che in qualche modo mi definiscono, tutti legati all’esercizio della libertà. Sono una ragazza che, come tante altre, è alla ricerca di un significato e di verità. Mi sono ritrovata, in primo luogo, nel concetto del “viaggio”; riconoscendo il valore dei confini ma sapendo guardare oltre. L’amore per il proprio Paese è una cosa splendida. Ma perché l’amore dovrebbe fermarsi al confine? Io immagino il Mondo come una grande casa, guardando oltre i simboli e le bandiere. Mi sono inoltre riconosciuta nel lavoro del “medico”, inteso come una professione in cui è fondamentale prendersi cura di se stessi, per poi curare l ‘altro , accoglierlo, ascoltarlo, mettersi nei suoi panni, con empatia.
Un messaggio ai miei coetanei, ed ai giovani della nostra città ? É difficile sceglierne uno. Mi vengono in mentre quattro parole: resistenza: dobbiamo essere sempre svegli e non lasciarci offuscare dai fumi dei populismi, sovranismi, e fascismi moderni; gentilezza: se fossimo tutti un po’ più gentili verso noi stessi e gli altri, ci sentiremmo più accolti, ascoltati e amati, e risulterebbe più facile condividere e confrontarsi; conoscenza: leggiamo, leggiamo tanto , con spirito critico e cercando le fonti delle nostre conoscenze, per non basare la nostra esistenza su pericolosa demagogia spicciola e falsità; viaggiare: per conoscere e conoscersi, alimentandoci di storie, culture e realtà diverse.
Tutto questo può solo che aiutarci a sviluppare una personalità più empatica e rispettosa, un pensiero più democratico e onesto, caratteristiche di cui questo mondo e la sua umanità ha profondamente bisogno. Viaggiare non richiede necessariamente molti soldi, e non è la distanza percorsa a determinare l’ esito del viaggio o il suo successo, ma solo la nostra predisposizione mentale.
Passo ai saluti finali. Innanzitutto un gran augurio di buon lavoro al giovane sindaco e alla sua altrettanto fresca giunta comunale. Spero che proseguano portando vento di cambiamento e novità.
Un ricordo e un saluto speciale alle mie compagne di classe delle superiori, e Fabrizio Baleani, unico rappresentante del sesso maschile.
Molte di loro hanno continuato nel campo dell’insegnamento e adempiono ogni giorno al fondamentale compito di accompagnare le nuove giovani menti nella realizzazione di se stesse. Forza ragazze! Fate un lavoro incredibilmente difficile, che richiede tanta passione e dedizione.. e sono sicura lo state facendo al meglio, nonostante la pandemia.
Un saluto speciale a Eli (Elisa Esposto) la mia fedele compagna di banco.
Un saluto a tutti gli osimani che mi hanno incrociato lungo il proprio cammino di vita: sarebbe impossibile nominarvi tutti, ma vi porto sempre con me, così come la mia famiglia.
Un ultimo saluto anche a chi, pur non conoscendomi, ha dedicato 20 minuti del proprio tempo per leggermi, ne sono onorata.
Ci si vede presto IN OSIMO.
Silvia Bontempo
Ciao Silvia grazie!! Sei una bravissima e coraggiosa ragazza. Sei partita lasciando a casa tutto: gli affetti e la sicurezza del “sistema Italia” per raggiungere il tuo obiettivo, ma soprattutto sempre pronta ad aiutare gli altri. Medico, osimana di nascita ma figlia di questa più estesa comunità che è il Mondo, pronta a dare il tuo aiuto a quanti si trovano ai margini della società. Grazi Silvia sei un orgoglio per tutta la nostra comunità cittadina
Paola Andreoni vice Sindaco di Osimo
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